Una delle aspirazioni più profonde della persona umana è quella di appartenere a qualcuno su cui poter contare. Io potrò sempre rivolgermi a Cristo e a voi, voipotrete trovare nella mia persona qualcuno cui potrete sempre rivolgervi”. Son queste le parole che il Vescovo Eugenio indirizzava, il sabato 28 giugno 1986, dagli schermi della Televisione della Svizzera Italiana, a tutti gli abitanti del Cantone Ticino, il giorno prima della sua ordinazione episcopale.
L’uscita del primo numero di questo Bollettino dell'Associazione Internazionale Amici di Eugenio Corecco, Vescovo di Lugano rientra, come già ci siamo detti in altra occasione, in questa stessa logica. La sua morte non ha rotto il legame di comune appartenenza a Cristo e, quindi, non ha interrotto la possibilità dello scambio, del rivolgersi di lui a noi e di noi a lui.
Come è maturata, nell’esperienza della sofferenza, questa appartenenza reciproca in questi mesi di separazione fisica dal nostro caro amico? Ognuno di noi potrebbe dire, in proposito, non poche cose. Tuttavia ciò che vogliamo fare col Bollettino è soprattutto, ancora una volta, ascoltare lui.
In questo primo numero proponiamo, tra l’altro, due generi di interventi del Vescovo Eugenio. Sono certo che ci mobiliteranno nel profondo.
Il primo è costituito da duepezzi che distano, tra di loro, trentanni. Si tratta di una breve ed incisiva nota scritta da don Eugenio sul Bollettinoparrocchiale diPrato-Leventina, subito dopo l'ingresso comeparroco, nel 1956. Il secondo testo è, appunto, l’Omelia televisiva dal Monastero di Claro, la sera prima dell’ ordinazione episcopale e della presa di possesso della Diocesi di Lugano. Non è né necessario né opportunofare commenti a questiscritti. Finirebberoper diventare un diaframma, anziché permettere un incontro. Voglio solo fare notare che lafreschezza di quelprimo saluto aiparrocchiani di Prato, formulato a partire dall'interrogativo pieno di sorpresa e di meraviglia del bambino che definisce il nuovo parroco “il don Colombo nuovo ”, si ritrova intatta, anche se con ben più radicale motivazione, nella profondità con cui il Vescovo Eugenio presenta ilsenso della sua Ordinazione, delsuo motto e del suo stemma a tutti i ticinesi.
Il secondo genere di testi cui voglio fare cenno, lasciando poi alla vostra attenzione il compito di esaminare il resto del materialeproposto in questo numero, rientra nell’ambito dell’azione pedagogica di don Eugenio e si riferisce, nella prima parte, all’intenso rapporto con gli studenti di Gaunia e di Lepontia prima, di Gioventù Studentesca e di Comunione e Liberazionepoi. Sono alcune lettere scritte da Monaco di Baviera a dei giovani liceali, in un momento delicato della loro scelta, che coinvolse un nutrito gruppo di studenti e, soprattutto, li portò a decidere il luogo (Friburgo) e la modalità con cui vivere l'esperienza universitaria dall’interno dell’orizzonte unico della fede, definito da don Eugenio come “ilprincipio di metodo sintetico capace di costruire una vera esperienza ”,
Queste lettere sono paradigmatiche del metodo pastorale di don Eugenio, che egli estenderà da Vescovo a tutti gli ambiti della sua azione: dalleparrocchie ai mondi della cultura, della politica, dell’economia; dall’Azione Cattolica ai vari movimenti. Ciò ben si documenta, per esempio, nella lettera scritta a distanza di venticinque anni ad una giovane dell’Azione Cattolica e nei brani della lezione che ne costituiscono l’immediato sviluppo.
L'interesse dei testiproposti non è tanto quello di trattenere un ricordo, ma dirinnovare una memoria. Un ricordo si riferisce ad unpassato che domina una circostanza presente; la memoria è un presente che fa capire meglio circostanzepassate. La memoria esprime la natura di segno che è propria della realtà, la sua profonda natura sacramentale. Nella memoria della presenza in Dio dei nostri cari che ci hanno preceduto all’altra riva nasce così un dialogoprivilegiato. Il loro apparente silenzio, in realtà, è un intenso parlare al nostro cuore.
Questi scritti del caro Vescovo Eugenio sono una traccia che rinvia allapresenza dell’autore. Essi edificano così il nostro cammino, di noi 4 che siamo ancora nel pellegrinaggio della vita. Lo edificano richiamandoci alla necessità della fede come sguardo compiuto che ci consente di vivere il reale (fatto di rapporti, circostanze, situazioni più o meno eccezionali) come la strada normale mediante la quale Dio ci conduce e non come un nemico da temere e da evitare.
Angelo Scola Presidente dell’Associazione