Eugenio Corecco un Vescovo e la sua Chiesa: Volume 1
Introduzione
Capitoli
A dieci anni dalla dipartita di S. E. Mons. Eugenio Corecco rispunta in me , sempre piu’ forte, la domanda: “Per quale disegno misterioso il Padre che è nei cieli ci ha sottratto cosi’ presto una figura di uomo, di cristiano e di pastore cosi’ imponente?”. Mi rendo conto che si tratta di una tentazione e, tuttavia, anche dopo la recente esperienza dell’XI Assemblea del Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia, non posso fare a meno di affermare che se Corecco fosse tra noi di questi tempi non poche urgenze che provocano i cristiani troverebbero nella sua fede e nella sua acuta riflessione originali suggerimenti ed accurati tentativi di risposta.
La raccolta di taluni scritti pastorali, che Ernesto William Volonté, presenta in questo volume, puo’ –almeno in parte- supplire alla sua dolorosa assenza terrena e confortare l’impegno di noi cristiani di rendere ragione della fede a tutti i nostri fratelli uomini.
Infatti, percorrendo questi testi, di varia natura, ma tutti attraversati da un intelligente amore alla Chiesa e da un’appassionata indagine sull’umano, si resta sorpresi per la loro efficace attualità.
Corecco ha avvertito il grande trapasso di un’epoca che la caduta del muro di Berlino andava via via significando. Con il suo ben noto senso critico, sorretto dalla concretezza del giurista, si è reso conto che con l’89 un’epoca secolare, quella della modernità, era giunta a compimento. Il vasto panorama dei temi affrontati dal pastore mostra, infatti, il peso dato dal Vescovo Eugenio ai temi della libertà e della felicità svolti da diversi angoli di visuale. Queste due categorie hanno sostituito oggi, nell’epoca che taluni chiamano post-moderna, quella di ragione e di giustizia dominanti la scena lungo tutto il cosiddetto secolo breve. Secolo tragico che conclude la modernità.
Per questi motivi sono sicuro che la presente raccolta di scritti continuerà a provocare in quanti gli furono amici non solo una benefica riflessione, ma anche l’intensificarsi di quella comunione che Gesu`. Risorto nel suo vero corpo, assicura tra coloro che ci hanno preceduto all’altra riva e noi tutti ancora pellegrini su questa terra.
Poche cose l’uomo sente preziose come l’amicizia, perché l’amicizia, che è tra le forme supreme dell’amore, è, come l’amore, piu’ forte della morte. La lettura di questi scritti pastorali di don Eugenio me l’ha confermato.
Lo scrittore Claudio Magris, in un suo articolo, sottolineava come “nella tradizione biblica, uno dei piu’ profondi attributi di Dio è quello di ricordare fino alla terza, quarta, alla centesima generazione”. Il nostro Dio è un Do che ricorda, vincendo quello che Nietzsche chiama il “terribile potere di annientamento della storia”. Dio ricorda , perché Dio è, e l’essere non puo’ che conservare in sé tutto cio’ che è stato, è e sarà. L’uomo purtroppo, che per sua natura è effimero e transuente, dimentica. Ricordare e partecipare in qualche modo all’essere di Dio, che non lascia cadere in dimenticanza nessuno dei suoi figli, ma tutti custodisce con amorosa attenzione nella pienezza del suo essere.
Ricordare diviene allora un’ atto di giustizia, perché vuol dire rendere a chi ci ha preceduto il riconoscimento di quello che ha operato e resta dentro la nostra storia, la nostra Chiesa e chiede di essere verificato, valutato, compreso continuato e superato. Infatti, cio’ che i nostri Predecessori hanno compiuto non è legato solo al loro passato, bensi’ anche al nostro presente e continua ad esistere, e tocca a noi mantenerlo, farlo crescere o abbandonarlo.
Atto di giustizia, ma anche di amore, che ci aiuta a ricordare non per compiacenza , nemmeno per semplice nostalgia, ma per discernere il bene, e criticamente valutare quello che resta ancora valido e buono, utile e attuale.
Ricorre quest’anno il decimo anniversario della morte del Vescovo Eugenio Corecco, avvenuta l’1 marzo 1995. era il mercoledì delle Ceneri. Lo ricordo senza la pretesa di fare un discorso esaustivo, anche perché un sereno giudizio storico richiede un maggiore distacco nel tempo e il superamento di ogni convenzione retorica. In particolare intendo cogliere questi tre aspetti della sua ricca, poliedrica personalità: fu un uomo nuovo, un Vescovo nuovo;fu un Vescovo di fede forte ed esigente, con sé e con gli altri; inizio’ una pagina nuova che dobbiamo discernere per condurre a compimento.
Sappiamo che nella classicità latina l’Homo novus era colui che approdava alle supreme magistrature, non provenendo dalla cursus honorum, dalla trafila convezionale di servizio.
Credo si possa dire lo stesso del Vescovo Eugenio giunto all’episcopato per superiore decisione del pontefice romano, piu’ che per indicazione degli addetti alla designazione. La sua scelta, se no fu una sorpresa per tutti, fu da tutti sentita come una designazione che intendeva introdurre un elemento non solo di novità, ma addirittura di rottura nella vita di Diocesi. Uomo nuovo per la sua provenienza dagli studi universitari, ma soprattutto per le scelte personali, che ne avevano segnato in maniera originale e nuova la formazione e l’indirizzo ecclesiale. Uomo nuovo per quella sua adesione convinta ad un Movimento ecclesiale, che non gli fece mancare con l’entusiasmo dei suoi, le incomprensioni e le diffidenze degli altri. Uomo nuovo anche di fronte al servizio episcopale affrontato con intenso dinamismo innovativo per esperienze e proposte, avanzate con coraggio, parso a piu’ d’uno spesso temerario.
Non subito e non sempre fu capito questo Vescovo, che veniva dagli studi del diritto canonico e dalla cattedra universitaria, che aveva militato nel Movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione, che si presentava sorprendentemente giovane, persino sbarazzino nell’atteggiamento non conformista, particolarmente attento ai giovani, vicino al bene della gente , non condizionato da steccati storici, inventivo nella ricerca del bene delle anime e nelle proprie proposte pastorali.
Eugenio Corecco, lo ripeto, fu un Vescovo di fede forte ed esigente con sé e con gli altri.
Siate forti nella fede, è il titolo del volume che raccoglie la memoria, le prime note biografiche, gli estratti piu’ significativi del suo magistero, le testimonianze di molti che l’hanno conosciuto.
Ma forti nella fede è anzitutto il titolo che dice il contenuto della sua prima Lettera pastorale, nella quale il cristiano viene invitato ad una scelta non di opportunismo, di abitudine, di tradizione, ma di responsabilità, di consapevolezza, di coscienza forte.
Il Cristianesimo non è una religione fatta da gesti dell’uomo, che propiziano la divinità, non è neppure un’etica che impegna in comportamenti moralistici moraleggianti.
Il Cristianesimo è una fede: una dimensione esistenziale di fondo, radicale, che risponde ad una Rivelazione, ad una grazia totale del dono di Dio che si fa uomo e cambia la storia dell’umanità, non perché noi facevamo qualcosa, ma perchè lui la visita e la trasforma dall’interno. Aderire a lui vuol dire ricevere il centuplo quaggiu’ ed avere la certezza della vita eterna.
Una fede, quella cristiana, radicale, esistenziale, che non si immiserisce nel moralismo del singolo atto, ma offre un orizzonte di fondo, uno slancio di base, una prospettiva globale, un’apertura infinita all’inquieto desiderio del cuore umano.
In una visione cosi’ fondamentale, puo’ essere sembrato talvolta che il Vescovo Eugenio non facesse abbastanza uso dei mezzi di mediazione, del metodo della mediazione, anche se non era per niente un primario, ma un secondario riflessivo. Ma anche nella sua azione pastorale aveva preponderanza lo slancio della novità, le intuizioni delle diversità, il coraggio della controtendenza rispetto a mode superficiali e riduttive. Una pastorale di testimonianza che esigeva novità di vita cristiana, attenzione alle persone prima che alle strutture o alle organizzazioni, ma al tempo stesso come il rilancio dell’Azione Cattolica, il ritorno del Seminario in Diocesi, la creazione della Facoltà di Teologia, ha saputo offrire strutture concrete e strumenti originali per affrontare le esigenze dei tempi futuri.
Mons. Eugenio Corecco inizio’ una pagina nuova nella storia della nostra Diocesi che tocca noi comprendere, valutare, portare a compimento. Essere custodi e testimoni della sua memoria non deve impedire di riconoscerne anche le incompletezze e i limiti, le insufficienze e le carenze. Confrontarci con i ricordi dei nostri Vescovi vuol dire acquisire consapevolezza della complessità della storia e capacità di leggerla:” semplici come colombe, ma avveduti come serpenti” come vuole il Vangelo, consapevoli che nel rileggere il passato si è esposti all’inganno, alla manipolazione, all’adulazione, al servilismo.
Vera memoria è quella che accresce la nostra libertà di giudizio, di iniziativa, di autentica identità individuale e collettiva. Coltiviamo una memoria che produca libertà, che ci liberi dai pregiudizi quanto dalle adulazioni, dal nulla come dall’oblio o peggio dalla manipolazione.
Una memoria che, mentre è forgiatrice di libertà, edifichi comunione. “Da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri, come io ho amato voi”. Dobbiamo imparare ad accettarci diversi, a rispettarci complementari, a dialogare sereni, a praticare l’indispensabile mediazione per tradurre la fede in opere, che si incarnano in un tempo e in uno spazio ben precisi.
La prova della malattia, l’esemplare testimonianza nella sofferenza, la coraggiosa, intensa attività pastorale chiedono a noi di ringraziare il Signore per il dono di questo Vescovo, che ha voluto per la nostra Chiesa luganese.
Chi ha curato queste pagine aveva un solo obbiettivo: quello di far conoscere il Vescovo di una minuscola porzione della Chiesa, quale è la Diocesi svizzera di Lugano, e la sua opera di Pastore e di educatore della fede del suo popolo. Eppure, tanto piccola era la comunità cristiana affidata alle sue cure di padre, tanto grande fu la determinazione di servire, in quella ristrettezza di confini, con geniale apertura, la Cattolica, l’intera Chiesa.
Eugenio Corecco fu un significativo teologo, per alcuni aspetti addirittura un capo-scuola, anche se di quella parte della Teologia, il Diritto canonico, che ancora stenta ad affermarsi a pieno titolo nella gamma delle discipline teologiche.
Un Vescovo impegnato per la maggior parte della sua vita nella ricerca teologica e nell’insegnamento universitario cui, inaspettatamente, viene affidata la cura pastorale della piccola Diocesi svizzera.
Sembra, leggendo lo snodarsi della sua vita, di imbattersi in quei Padri dei primi secoli della Chiesa che, nonostante fossero pastori di piccole comunità, seppero, per genialità propria e magnanimità di sguardo culturale e spirituale, navigare in vasti orizzonti di pensiero; ricchezza che ricadeva come pioggia benefica, modulandosi ed adattandosi, nel quotidiano incontro con uomini e donne che alla casa del Vescovo venivano a sottoporre problemi intimi, persone che aprivano a lui il cuore pieno di preoccupazioni e pensavano di avere da lui la soluzione decisiva per la loro vissuta quotidianità . “Un’anima vale bene una Diocesi”, ripeteva il grande Vescovo di Milano, San Carlo Borromeo.
Il Vescovo Eugenio Corecco aveva questo naturale rispetto e accondiscendenza per la persona, una fedeltà istintiva per l’interlocutore che incontrava sul suo cammino.
Consapevole della sua missione di Vescovo, si trovava a suo agio, quasi spontaneamente, con gli articolo da scrivere per riviste specialistiche come nelle aule universitarie, preso dalla passione di comunicare e di stare con i giovani studenti; nell’Aula dei Sinodo dei Vescovi a Roma; nelle visite pastorali delle valli alpine, come sul letto della lunga dolorosa malattia.
Un cristiano e un Vescovo certamente da conoscere, perché animato da un unico assillo: educare ed amare Cristo e la sua Chiesa, le uniche realtà che potevano -a suo dire- rispondere a cio’ che è l’attesa e la speranza del cuore dell’uomo moderno.
La storia della salvezza, dunque, continua nella persona e nell’autorevolezza dei pastori del popolo cristiano; questi “mistici in azione” – come amava dire Daniel Rops – che incarnano la paternità stessa di Dio: “Egli lo (il Suo popolo) trovo’ in terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondo’, lo allevo’, lo custodi’ come pupilla del suo occhio” (DT 32, 10).
Questo è il destino e la missione del Vescovo. Lo furono anche per il Vescovo Eugenio nei riguardi della Chiesa a lui affidata. Si prese cura della gente e la educo’ come la parte piu’ preziosa del suo destino di uomo e di sacerdote. A tal punto il popolo a lui affidato risulto’ ai suoi occhi prezioso, che fin sul letto di morte non esito’ a offrire per esso – e questo piu’ volte – la sofferenza e il suo morire.
L’intento nello scrivere questo volume e quello di fare emergere la ricchezza della sua intima e pubblica personalità nei suoi molteplici interessi.
È il Vescovo Eugenio che parla in questo libro e continua nel suo magistero episcopale, ancora attuale, perché al di là delle mutate situazioni storiche in cui ha scritto o parlato,cio’ che è stato da lui colto e individuato, ascoltato e amato è l’uomo nella sua concreta esistenza.
Non a tutti è stao dato di comprenderlo appieno. L’irresistibile ansia di correre o di percorrere, di decidere rapidamente sul da farsi, spesso lo voleva solo nelle decisioni da prendere.
La lunga e sofferta malattia lo determinava a camminare ancor piu’ speditamente, dal momento che la consapevolezza della brevità del tempo concessogli e la morte incombente, lo trovavano largamente in debito sui progetti ancora incompiuti.
Questa è la parte piu’ sconosciuta del Vescovo di Lugano: il suo insistente non recuso laborem e l’offerta di sé e del suo soffrire per il Papa e la Chiesa che resentano i connotati dell’autentica santità.
Fu cosi’ che il letto della malattia divenne l’altare del sacrificio spirituale e la cattedra del magistero ancora tutto da scoprire .
“Ho chiesto alla Madonna ancora cinque anni di vita per portare a termine il lavoro che il Signore mi ha consegnato”,confido’ tra le lacrime a due amici, dopo la S. Messa del suo ultimo pellegrinaggio a Lourdes, compiuto per chieder il miracolo della guarigione; e subito dopo, come sollevato da un enorme peso, se ne ritorno’ a casa disponibile a tutto, qualsiasi ne fosse stato il prezzo. Il miracolo lo aveva già ottenuto: quello di affidarsi totalmente a Dio, lui che era cosi’ vitalmente amante della vita terrena.
Ma quali furono i punti essenziali che piu’ ebbe presente nella sua opera educativa nei confronti dei battezzati a lui affidati?
Mi sembra di individuarli tutti nel patrimonio educativo nella Chiesa: la famiglia, la mamma, le zie, con l’orizzonte di certezze cattoliche tanto poco ostentate, quanto esistenzialmente sentite e vissute.
Determinante per il suo percorso educativo ed ecclesiale fu l’incontro con il fondatore di Comunione e liberazione, don Luigi Giussani. Credo di poter affermare che l’insieme della sua riflessione teologica-canonistica, già orientata in senso ecclesiologico dal suo maestro scientifico di Monaco, Klaus Mérsdorf, fu permeata dalle priorità, dalla flessione, dal sentire propri di quel Movimento ecclesiale che varco’, proprio a Lugano e con il suo contributo, la prima frontiera all’estero.
Inoltre, Mons. Corecco è un Vescovo che ha ereditato il patrimonio del Concilio Vaticano II, impegnandolo con intelligente, costante ricerca.
Nato come studioso, negli anni dell’evento conciliare, ha guardato ad esso e all’insegnamento che ne scaturi’ con il grande senso della Tradizione viva della Chiesa.
Non si lascio’ distrarre da un modo d’interpretazione ingenuo e distorto di quell’evento; anzi coopero’ a correggere eventuali fraintendimenti, partecipando in modo determinate alla nascita della Rivista Teologica Internazionale Communio.
Priorità assoluta di Cristo, il sentire cum Ecclesia, l’articolarsi della dinamica comunionale del popolo cristiano fin nelle sue determinazioni giuridiche, furono i suoi punti di riferimento. Ma soprattutto la centralità della Persona, afferrata dal Mistero di Dio con le sue proprie connotazioni umane, fu percepita come l’asse portante della sua preoccupazione pastorale. La “ pastorale e quidi l’educazione alla fede delle persone” e non “la pastorale delle cose da amministrare” era diventato per lui uno slogan programmatico.
Uomo libero e obbediente, affezionato al Papa, Eugenio Corecco era nella condizione adeguata e non sospetta per indicare nuovi percorsi, anche istituzionali, all’interno della Chiesa. Non collaboro’ a sconfinamenti in campi stravaganti e sterili, né ingombro’ di esperimenti confusi il cammino di fede del popolo cristiano a lui affidato. Di questa libertà nel dire e nel proporre nuove letture e soluzioni ai sopraggiunti eventi ecclesiali, si accorsero i suoi molteplici interlocutori: sia nella Commissione speciale, di cui fu membro, che il Santo Padre nomino’ perché lavorasse con lui nella lettura finale del testo del futuro Codice di Diritto canonico; sia nei Sinodi dei Vescovi a Roma in cui fu nominato due volte (1987 e 1990), una delle quali direttamente da Giovanni Paolo II. Era uomo fedele alla Chiesa, quindi misurato anche nel proporre l’ineditoe il nuovo. Di questo si trova abbondante testimonianza nelle pagi9ne che offriamo alla lettura.
L’accostarsi a lui potrebbe essere un’esperienza interessante e arricchente proprio dal punto di vista sia teologico che educativo.
Certamente leggerlo contribuirebbe a formare quel tipo umano unificato, tra sapienza e azione, che solo il capolavoro della fede puo’ produrre “in una terra percorsa da ululati solitari e selvaggi”.