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Amici Corecco

La grazia di una vita

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INTRODUZIONE

Capitoli

1.  Fin dagli anni giovanili fu chiaro a Corecco che il cristianesimo non è

«anzitutto una dottrina, ma una saggezza per la vita». Questa netta precisazione costituisce, a ben vedere, il filo rosso di tutta l’affascinante esistenza di Eugenio, ricca di esperienze tra loro assai diverse, di incontri stimolanti, di circostanze travagliate. Tuttavia un’esistenza sempre dominata, fin dal seminario e dall’inizio del suo ministero come giovanissimo parroco di Prato Leventina, da una percezione della fede e del metodo della sua proposta, capaci di superare, già negli anni ’50, l’intellettualismo e il dottrinalismo ancora prevalenti nella Chiesa.

Fin da ragazzo quindi, il vescovo Eugenio sentì l’imponenza della logica dell’incarnazione. Capì che il Figlio di Dio incarnato urgeva uno sguardo totalizzante sulla realtà: nessun aspetto del reale rimaneva estraneo all’abbraccio di Cristo. La proposta cristiana perciò altro non era se non il porsi di un soggetto toccato dall’incontro con Lui e inserito nella Chiesa come concreto luogo di appartenenza comunitaria.

Solo dall’interno di questa concezione era possibile articolare una proposta educativa, soprattutto ai giovani. Una proposta quindi in grado di sconfiggere il dualismo estrinsecista tra soprannaturale e naturale che conduceva inevitabilmente a trattare l’avvenimento di Gesù Cristo tutt’al più come una premessa, magari densa di pietà personale, ma di fatto inincidente sulla vita concreta delle persone. Pertanto incapace di suscitare meraviglia nell’interlocutore e di muoverlo all’adesione, documentando la cumvenientia della fede per il cuore dell’uomo.

In questo senso si può dire, con una certa audacia, che Corecco avesse già fatto suo il senso della celeberrima affermazione di Benedetto XVI ripresa da Papa Francesco: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».

Nell’incontro con l’altro, Corecco aveva un impatto deciso, gioioso e nello stesso tempo diretto, che non temeva di suscitare contrasti quando era in gioco questa “essenza del cristianesimo”. Forgiato dalla sana tradizione familiare, parentale ed ecclesiale in cui era cresciuto e sostenuto da un’acuta intelligenza della grande prova in cui la Chiesa era entrata e di cui oggi stiamo forse vivendo la fase estrema. Questo spiega il geniale apporto del vescovo Eugenio negli svariati compiti assunti sia dentro la Chiesa ticinese, sia in quella svizzera, fino a giungere a quella universale.

2.  Questa caratteristica centrale della biografia del vescovo Eugenio è ben illuminata dal lavoro di Antonietta Moretti che qui presentiamo.

Dieci anni fa la Fondazione Mons. Eugenio Corecco, Vescovo di Lugano prese la decisione di proporre una rigorosa biografia storica del vescovo di Lugano prematuramente scomparso. Stante la complessità della sua vita, troppo forte sarebbe stato il rischio di perderne l’unità e quindi il contributo lasciato in eredità dalla sua persona alla Chiesa tutta, come gli è stato riconosciuto in maniera esplicita e diretta da san Giovanni Paolo II. Diciamo subito che l’opera della Moretti, la cui perizia storica era ben comprovata dalle sue pubblicazioni legate ad Helvetia Sacra ha raggiunto lo scopo. In non pochi anni di lavoro l’autrice ci ha fornito un testo completo dal punto di vista dei contenuti, sorretto da una documentazione minuziosa ed obiettiva. Ovviamente si potrà divergere sull’una o sull’altra interpretazione che ella dà di fatti e di persone, ma è indubbio che il suo lavoro sia prezioso per una conoscenza oggettiva di colui che il Papa chiamava “vescovo teenager” per la sua prestanza giovanile anche dopo i cinquant’anni. E non solo, ma questo libro offre anche un importante contributo alla storia della Chiesa e della società civile ticinese e svizzera.

La Moretti opera una scelta allo stesso tempo semplice e profonda. Seguendo passo passo la vita di Corecco dalla nascita alla morte non solo dà conto nei dettagli della sua versatile capacità di unificare nella sua persona la figura del fedele, del sacerdote, del vescovo e del teologo canonista, ma anche della sua perspicacia nel cogliere l’evoluzione religiosa e socioculturale in atto.L’indice generale del volume è ben articolato nello svolgersi delle sue parti e nella suddivisione della materia. Di fatto è una sorta di indice analitico. L’enorme quantità di note –certamente più di mille – per lo più recuperate a partire da documenti non pubblici ma presenti in svariati archivi e addirittura reperite da scambi epistolari o da testimonianze di persone di tutte le età, indica la mole di lavoro svolta per esprimere tutto lo spessore della missione del vescovo Eugenio. Anche chi come me lo ha frequentato per molti anni abitando nella stessa casa, lo ha scoperto in tutta la sua freschezza ed energia di dedizione alla Chiesa per il bene di tutti i fratelli uomini.

Prefazione

3.  Vorrei invitare il lettore a soffermarsi su taluni elementi della proposta pastorale e scientifica del vescovo Eugenio che il libro mette bene in luce. Anzitutto la critica al concetto di “intellettuale cattolico” che Corecco sostenne con audacia offrendo la sua proposta pedagogica ai giovani universitari e liceali. Essa presenta una originalità rispetto alla concezione moralistica della missione del cristiano a quell’epoca dominante in molto associazionismo cattolico, anche nel Canton Ticino. In questa impostazione il sostantivo “intellettuale” finiva per oscurare quasi del tutto l’aggettivo “cattolico” riducendo la missione cristiana al puro impegno etico e politico. Insomma, Cristo restava un’idea astratta, un fattore ispirativo che poteva essere sostituito da visioni apparentemente più capaci di una radicale trasformazione del mondo. La perdita di masse di giovani e di adulti nell’associazionismo cattolico avvenuta nel ’68 ne è impressionante documentazione.

Questa sensibilità di Corecco fu fin dall’inizio confortata dal suo incontro con don Luigi Giussani e con quella che sarà Comunione e Liberazione. Anche a livello scientifico Corecco trovò consonanza ispirativa nell’azione pedagogico-teologica del sacerdote milanese, ciò che gli permise di sviluppare in termini originali almeno altri tre elementi ben evidenziati nel lavoro della Moretti.

Mi riferisco al concetto di communio, alla coessenzialità della dimensione carismatica con quella istituzionale della Chiesa e alla modalità di concepire la partecipazione nella vita della Chiesa stessa. Celeberrimo in proposito e ancora attuale è il suo articolo pubblicato sul primo numero della rivista Communio, di cui egli è stato uno dei fondatori, dal titolo Parlamento ecclesiale o diaconia sinodale? (1972) 32-44.

4.  Non posso chiudere questa breve presentazione senza citare l’ultima parte del libro in cui la Moretti dà conto dell’esperienza della sofferenza e della morte del vescovo Eugenio. Molti, anche agnostici ed atei, hanno giustamente notato che in quel periodo finale la personalità di Corecco si è manifestata fino in fondo al suo popolo, mostrando tutto la consistenza della sua fede. Nell’indomabile, diuturna offerta di sé al Signore, superando gli aspri limiti imposti dalla malattia e soprattutto documentando come nella vita ciò che conta non è il fare, che in sé e per sé è conseguenza naturale dell’umano esistere, ma il lasciarsi guidare nel profondo del proprio cuore dall’iniziativa del Padre che ci attira a Sé attraverso il Figlio crocifisso. A chi lo incontrava, nelle ultime settimane della sua vita, Corecco soleva ripetere:

«Il tempo si è fatto breve». Non una semplice umana costatazione, ma piuttosto la certezza, sia pur dolorosa, che la morte è abbandono, un “lasciarsi andare” nelle braccia di Dio.

In proposito, negli ultimi venti giorni della sua vita, Corecco fu sostenuto da una bellissima affermazione di Adrienne von Speyr trascritta da uno dei suoi “figli” su un biglietto che egli tenne sul suo tavolino fino alla morte, permettendo così a chi gliene aveva fatto dono di recuperarlo immediatamente dopo che il vescovo Eugenio era passato all’altra riva. Dice Adrienne: «Il santo offre tutto ciò che ha: più di quello che ha a disposizione. Certo il “tutto” dal punto di vista umano è sempre solo “qualcosa” e il Signore è Colui che risponde all’offerta con il suo “tutto”, prendendo tutto in suo possesso e arrotondando la dedizione. La santità non consiste nel fatto che l’uomo dà tutto, ma nel fatto che il Signore prende tutto. Tra offerta ed esaudimento vi è sempre come un contrasto, uno sbaglio, una svista… e quando [il Signore] prende tutto nel suo senso allora probabilmente l’uomo grida e rimpiange quello che gli è stato preso, ma la grazia della santità sta appunto nel fatto che il Signore permetta la svista» (A. von Speyr, Mistica oggettiva, n. 250).

+ Angelo card. Scola

Presidente Associazione Amici di Mons. Eugenio Corecco

Vescovo di Lugano

7 giugno 2020

Eugenio Corecco, nato nel 1931, è un ragazzino di 8 anni quando scoppia la seconda guerra mondiale, che, se non coinvolge la Svizzera dal profilo delle operazioni belliche, la riguarda per la lunga mobilitazione militare, il razionamento dei generi alimentari, la paura di una possibile/probabile invasione, la responsabilità di essere rimasta l’«isola libera e democratica» al centro di un’Europa governata da dittature. Entra in seminario nel 1942, in piena guerra, avendo per compagni seminaristi italiani rifugiati in Svizzera e prosegue gli studi, nei primi anni del dopoguerra, quando si accennano i primi segni di cedimento di quel mondo, guidato, almeno esteriormente, da solide regole morali, in cui era spuntata la sua vocazione al sacerdozio.

Corecco visse la sua infanzia a Chiasso, al confine con l’Italia, in una famiglia di origini montanare, non povera, ma che viveva modestamente, facendo economia, quell’economia che ha fatto degli svizzeri un popolo benestante, un popolo di risparmiatori. Trascorreva le vacanze in Leventina dai nonni e si ritenne profondamente marcato, più che da quella di Chiasso, dalla vita dei contadini di montagna. Di fatto amò sempre la montagna, anche d’inverno quando poteva sciare.

È stato dunque educato ad impegnarsi, ad utilizzare bene il tempo, ad usare bene delle opportunità (sono divertenti gli aneddoti che lo descrivono intento a «fare affari», proponendo alla mamma di trafficare le uova del pollaio domestico con i prodotti razionati offerti da un compagno di scuola, il cui padre aveva una bottega di alimentari), ma non alla meschinità del guadagno ad ogni costo. In realtà per tutta la vita sarà un uomo signorile, elegante e generoso. Conosceva il valore dei soldi ed era conscio delle necessità pratiche, questo l’hanno sperimentato anche i preti ai quali, da vescovo, ha voluto che si provvedesse in modo dignitoso, per esprimere anche così gratitudine per il loro servizio.

Credo che la mamma e la sorella abbiano contribuito spesso alla sua generosità; in ogni caso, quando morì, Corecco non aveva beni materiali. La vocazione al sacerdozio lo accompagna da sempre, non ha mai avuto altro progetto sulla sua vita. Ha accolto la chiamata intuendo che era una chiamata alla pienezza e, quando la delusione della vita in un seminario in crisi sembrava smentire questa promessa, era pronto a lasciare. Il Signore, per tempo, gli ha affiancato una guida, nella persona di mons. Luigi Villa,

che non l’avrebbe più abbandonato – la fedeltà fu reciproca – e gli ha dato la possibilità di spalancarsi all’affascinante mondo dell’università. A Roma, dove Corecco frequentò la Gregoriana, studiò «come un matto». Non divenne però un intellettuale «con il cuore foderato di libri»: voleva essere un prete e tale diventò: dopo l’ordinazione fu parroco a Prato Leventina.

La continuazione degli studi, ed in modo assolutamente casuale di diritto canonico, non farà che confermare questo dato. Gli verrà affidata la pastorale degli studenti.

Confrontato con il mondo dei giovani affiliati alle associazioni cattoliche Corecco scoprirà la tragedia del formalismo con cui si poteva vivere la propria fede, mentre le domande esistenziali, vivissime in tanti, andavano cercando risposta altrove.

Erano gli anni del Concilio Vaticano II: Corecco li visse a contatto con le inquietudini giovanili, che del cambiamento in corso tendevano ad apprezzare quello che veniva incontro alle loro immagini. Egli intuiva che su questa strada non si poteva che essere delusi, ben altra era la realtà della Chiesa e ben altro era il vero bisogno. Si mise a cercare nuove esperienze ed incontrò don Giussani, il suo secondo padre nella fede. Il primo gli aveva salvato la vocazione al sacerdozio, come lui stesso pubblicamente dirà ringraziandolo dopo la sua ordinazione episcopale, don Giussani lo proiettò nella vita: come studioso e come educatore. La fede di Corecco si radicò nella Comunione, humus della sua fecondità, e la Chiesa come comunione è il tema, la radice da cui tutta l’opera giuridica è scaturita: ne ha improntato i contenuti e il metodo, ha dato forma ai suoi rapporti di lavoro, che sono diventati rapporti amicali. Se ne accorse Giovanni Paolo II che lo volle tra i suoi esperti e lo onorò della sua amicizia personale.

Lo volle anche vescovo di Lugano. Una piccola diocesi, ma una diocesi svizzera, parte di una Chiesa «con un problema di inculturazione della fede», come dirà lo stesso Corecco, senza alcuna ironia.

Per nove anni Eugenio Corecco fu vescovo di Lugano e portò nell’esercizio della sua responsabilità tutta la potenza della sua fede, perché l’avere accettato questo compito non era per lui fare un passo di carriera, ma rispondere ad una chiamata del Signore. Apprezzò sempre il fatto che il Signore gli offrisse una nuova opportunità. In realtà non abbandonò nessuno dei suoi impegni: fu eletto presidente della Consociatio studio iuris canonici promovendo, continuò l’insegnamento accademico, organizzò e partecipò a congressi, rimase un protagonista del mondo accademico ed anche del mondo ecclesiale, grazie al suo contributo al Sinodo dei vescovi, riuscendo nel contempo a darsi senza risparmio alla sua gente.

La sua nomina non era stata bene accolta, si temeva che non avrebbe saputo essere il pastore di una piccola diocesi con poche prospettive, in cui lo «zoccolo duro» dei credenti era costituito da adulti cresciuti nell’AC della loro parrocchia, educati alla devozione dei pellegrinaggi tradizionali, in primis a Lourdes, ed alle innumerevoli associazioni di carità, preghiera e spiritualità, fiorite tra Otto e Novecento. Corecco andò incontro a cuore aperto a queste persone fedeli ed impegnate, proponendo le sue catechesi e le sue priorità, ma non in alternativa alla loro storia ed alla loro appartenenza, bensì come approfondimento ed attualizzazione di questa storia, come esplicitamente avevano chiesto le responsabili dell’Unione Femminile Cattolica Ticinese. Corecco sostenne le associazioni e ne promosse di nuove, perché sapeva che non si dà personalità cristiana al di fuori della comunità, senza una comunità, senza Chiesa. Bastava che le associazioni non fossero una struttura formale, ma un luogo di amicizia cristiana.

Ha dato origine ad un vivace movimento di giovani, nel quadro dell’Azione Cattolica, di cui intendeva ridurre al minimo la struttura organizzativa. Non c’è stato campo nella realtà della diocesi di Lugano in cui egli non abbia aperto un cantiere, talvolta invano malgrado l’impegno, come quando si è trattato della revisione della legge civile-ecclesiastica e soprattutto

delle modalità del finanziamento della diocesi.

È stato anche all’origine di varie opere: prima fra tutte la Facoltà di Teologia di Lugano, che iniziava la sua attività proprio quando la sua salute veniva meno ed affondava quindi le sue giovani radici nel terreno fertile della sua sofferenza, fisica, morale e spirituale.

Ha portato in diocesi nuovi monasteri e nuove fraternità di consacrati.

Ha accolto pienamente i movimenti.

Prima ancora di diventare vescovo, Corecco visse due grandi momenti di servizio alla Diocesi di Lugano ed alla Chiesa in Svizzera: il Sinodo 72 e l’impegno per la visita di Giovanni Paolo II nel 1984, entrambi legati al Concilio Vaticano II e alla sua realizzazione.

Il Sinodo, all’indomani del Concilio, era per lui un’occasione irripetibile per proporre la nuova ecclesiologia, ovvero instaurare strutture partecipative operanti nell’ottica della comunione. Questa coscienza animò il suo grande impegno e l’urgenza con cui spinse i giovani che lo seguivano ad imitarlo.

Nel 1984, quando san Giovanni Paolo II visitò la Svizzera, Corecco era già stato cooptato nel gruppo ristretto per l’ultima revisione del nuovo codice e cercò di influire sul programma della visita. Aveva sentore che gli organizzatori non si prodigassero abbastanza per favorire la partecipazione popolare e preferissero far incontrare al Pontefice dei rappresentanti

delle varie realtà. Parimenti stava a cuore a Corecco che i fedeli svizzeri potessero conoscere l’umanità di Giovanni Paolo II, la sua storia, le sue doti anche artistiche e non avessero di lui solo l’immagine di un inflessibile censore. Non voleva che questa visita fosse l’ennesima fonte di divisione e contribuisse ad allargare il fossato tra cattolici «tradizionalisti» e cattolici «dissenzienti». Desiderava che il Pontefice potesse trasmettere a tutti il suo messaggio radicato nel Concilio.

L’attuazione delle catechesi di Giovanni Paolo II e del suo magistero fu il compito della Conferenza dei Vescovi svizzeri nei suoi anni di episcopato, quando affrontò sfide capitali: lo scisma di Lefebvre (1988), il «caso Haas» (1988), la «Dichiarazione di Colonia» (1989), tutti avvenimenti che hanno messo a nudo la confusione e le difficoltà all’interno della Chiesa, in Svizzera ed in Europa. Corecco non si è stancato mai, malgrado le polemiche nelle quali fu coinvolto personalmente, di indicare il vero punto problematico, perché ci si potesse avviare su di una autentica via di cambiamento e non solo di compromesso tra le posizioni contrapposte. Dal profilo dottrinale non voleva né poteva transigere, ma sopra tutto gli stava a cuore di non infrangere la comunione tra i vescovi.

La sua assoluta fedeltà al magistero della Chiesa ha fatto di lui un teologo libero, capace di indicare vie nuove.

Dopo sei anni di episcopato, si ammalò. Affrontò le cure con coraggio, chiedendo il miracolo e facendo di tutto per guarire, ma soprattutto visse nella comunione con il suo popolo, passo dopo passo, la lotta per abbandonarsi alla volontà di Dio perché aveva scoperto che «la Tua Grazia vale più della vita». I suoi ultimi 14 mesi furono l’umile inveramento di questa scoperta, fino all’abbandono totale e confidente nelle mani amorose del Padre: «nella semplicità del mio cuore lietamente Ti ho dato tutto ed ho visto il tuo popolo offrirTi i suoi doni», recita una preghiera ambrosiana cara a don Giussani.

E Corecco questo popolo lo vide.

Eugenio Corecco ha trascorso la sua vita in anni cruciali per la storia della Chiesa: quelli in cui si sgretolava la «civiltà cristiana» e la Chiesa cercava un nuovo linguaggio per parlare al mondo, affrontando una lunga stagione di burrasche e confusione. Ha incontrato don Giussani, che gli è stato guida negli anni 1970-1980 e poi san Giovanni Paolo II, che ha servito con tutta la gioiosa pienezza di una sintonia naturale e sovrannaturale, con ambedue ha percorso quel cammino entusiasmante che era la scoperta della natura della Chiesa, unica fonte di novità e rinnovamento.

Molti aspetti della personalità di Eugenio mancano in questa prima biografia: manca soprattutto l’aspetto gioioso. Eugenio Corecco si sapeva divertire e sapeva ridere. Amava i film western e sono rimaste nella leggenda degli anni di Friburgo le corse a Berna per assistere a qualche proiezione notturna di un western, dopo una giornata ed una prima serata di lavoro intenso… e la sua fatica mattutina specialmente quando aveva lezione presto. Dopo la sua morte, suo cognato Roland Kuehni – fin dall’inizio più un amico che un parente acquisito – si doleva per la moglie: «Adesso con chi riderà Stefania?» perché, anche per tutto il tempo della malattia, le loro quasi quotidiane telefonate erano punteggiate da grandi risate.

Mancano del tutto, o non hanno il posto che meriterebbero, le testimonianze di alcune persone che hanno accompagnato Eugenio Corecco con la loro amicizia e/o la loro collaborazione scientifica, amministrativa o pastorale. Alcune mancano, oserei dire, forse per loro quasi espresso desiderio. Rispetto questa volontà di discrezione e mi auguro che emerga in qualche modo quanto hanno fatto per aiutare Monsignor Corecco a realizzare le sue opere.

Ringrazio di cuore le persone che mi hanno fatto parte della loro conoscenza ed amicizia con il compianto Vescovo, quelle che mi hanno assistito con le loro spiegazioni, i loro consigli, la loro pazienza.

Nella narrazione biografica ho privilegiato le fonti scritte e, nella misura del possibile, ho lasciato parlare Eugenio Corecco stesso o chi ha condiviso con lui una determinata circostanza.

Chiedo scusa per le dimenticanze, gli errori ed i fraintendimenti, nessuno volontario. Una volta Corecco mi disse che gli storici commettevano molti errori di giudizio, perché erano ignoranti di diritto. Ho sempre pensato che avesse ragione, ma credevo fosse una questione di nozioni; ho dovuto però accorgermi che si tratta anche di una questione di linguaggio: quello giuridico è un altro linguaggio. Per questo è con i giuristi, di cui mio malgrado ho dovuto spesso invadere il campo, che mi devo soprattutto scusare.