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Amici Corecco

La grazia di una vita

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GLI INCONTRI DELLA VITA (1958-1964)

Capitoli

Come Corecco stesso ricorderà con molto humour[1], partiva piuttosto alla ventura per mettersi alla ricerca di una facoltà di diritto canonico, in un ambito di lingua tedesca. Era l’unica condizione che aveva posto, ufficialmente per migliorare la sua conoscenza di una lingua «che non avevo mai imparato bene»[2]. Qualcuno gli aveva indicato la prestigiosa facoltà teologica di Innsbruck[3], dove giunse con i suoi bauli per scoprire che non vi esisteva la cattedra della sua materia; è da lì però che venne mandato a Monaco. Di nuovo, fu in un modo stranamente provvidenziale che egli fece la conoscenza con colui che avrebbe avuto tanta importanza nella sua vita e poté iniziare senza ritardi i nuovi studi. Mentre vagava per i corridoi dell’Università, Corecco si imbatté in un professore della Gregoriana (con il quale per altro aveva avuto pochissimi rapporti, visto che con lui aveva sostenuto soltanto un esame), che lo riconobbe e lo presentò immediatamente al professor Klaus Mörsdorf (1909-1989), raccomandandolo vivamente come uno studente assai promettente. Fu grazie a Mörsdorf se gli riuscì di iscriversi senza difficoltà, malgrado il fatto di non avere la Maturità, perché aveva frequentato il corso liceale in seminario[4]. Come detto, Corecco giustificava la scelta della Germania con ragioni linguistiche e dalla chiacchierata radiofonica non emergono altri motivi, ma era davvero così? Sebbene le sue considerazioni critiche in materia siano posteriori[5], aveva studiato a Roma e non doveva essere del tutto all’oscuro del fatto che all’epoca, in Italia, l’ordinamento degli studi di diritto canonico era sottoposto a forti critiche. Nelle università pontificie aveva perso ogni legame vivo sia con la teologia sia con il diritto, riducendosi ad una materia piuttosto nozionistica, insegnata senza spazio di riflessione ed approfondimento metodologico; nelle altre università il diritto canonico era stato riammesso nel curricolo degli studi di diritto da alcuni decenni e, dopo la sottoscrizione dei Patti Lateranensi, la conoscenza delle sue norme era divenuta sempre più necessaria, ma anche qui soprattutto dal punto di vista delle nozioni[6]. Tuttavia in questi atenei era insegnato da giuristi, spesso di grande spessore[7] che si impegnavano nella ricerca di un fondamento teorico e sottolineavano la sua piena natura giuridica, per altro operando in profonda sintonia con il CIC del 1917, che traeva il diritto della Chiesa a legiferare dal suo essere societas perfecta, a partire dunque dallo stesso principio che fondava il diritto degli stati. Questa posizione, sebbene improntata alle migliori intenzioni di preservare gli interessi della Chiesa, dava origine ad un radicale dualismo (tra teologia e diritto) generando difficoltà concettuali non risolvibili[8].

Corecco, che sarebbe rimasto a Monaco fino al 1962 quando otten ne la licenza[9], vi trovò un diverso stile di insegnamento. Qui, grazie anche alla provocazione del grande giurista riformato Rudolph Sohm (1841-1917)[10], lo studio del diritto canonico aveva mantenuto un contatto vitale sia con la teologia che con il diritto, tanto è vero che egli stesso avrebbe chiesto ed ottenuto di poter completare la sua formazione giuridica acquisendo la licenza in diritto civile presso l’università di Friburgo. Inoltre, come ricorda mons. Antonio María Rouco Varela[11], suo compagno di studi durante il secondo soggiorno, in quella facoltà vigeva una grande serietà scientifica accompagnata da una sincera ed assidua pratica religiosa, che non venne meno nemmeno nel clima assai confuso degli anni del Concilio e soprattutto del post-Concilio. Gli studenti erano costantemente edificati dall’esempio di professori che studiavano e ricercavano con passione e piena libertà intellettuale ed insieme pregavano con intensità: luminari del sapere, che si inginocchiavano – fisicamente – davanti al mistero sacramentale della Chiesa[12]. Anche Eugenio dovette apprezzare profondamente questa testimonianza, che corrispondeva aduna sua costante esigenza. Ne fa stato un breve scritto di quegli anni, la Lettera aperta, pubblicata nel 1962 sul Numero unico della parrocchia di Airolo in occasione del XXV di sacerdozio di don Siro Croce, che era stato suo vice-rettore in seminario ed era ora il suo parroco. Nello scritto di Corecco echeggiano le attese degli anni del Concilio. Il grande tema del nuovo volto della Chiesa traspare anche da questo affettuoso scritto, dai toni scherzosi, ma in realtà molto serio. Chi è il prete ideale? Don Corecco percorre una carrellata di possibilità, dando voce evidentemente alle tante opinioni, che circolavano in quel momento, ma passa poi ad un’altra domanda: chi è questo prete, che oggi vogliamo festeggiare. Per rispondere gli prova addosso i panni di vari personaggi (dalla cocolla del benedettino alla toga del professore), senza però che nessuno di questi abiti riveli l’essenziale di don Croce, che infine Corecco esprime con la parola «maestro»:

«Penso a lei, che è prete, al prete che è Maestro più per vocazione che per formazione. Ecco, penso agli Apostoli che si rivolgevano a Nostro Signore e lo chiamavano: Maestro! Nostro Signore del resto, congedandosi da loro, non ha dato agli Apostoli come consegna quella di insegnare su tutte le piazze di questo mondo? […] Ebbene Lei ha saputo assolvere a questo compito in modo mirabile. Maestro è stato in seminario e non abbiamo imparato solo i latinucci, ci ha insegnato a diventare prete, che è una cosa ben diversa. Anche in parrocchia non ha mai smentito se stesso, è rimasto Maestro. Non solo uomo da tavolino con una vasta cultura, ma soprattutto l’uomo dalla dottrina profonda, che brucia di poter comunicare agli altri i principi di cui è imbevuto. […] Il Cristianesimo che Lei predica, non è una scienza ma qualche cosa di più concreto, una saggezza per la vita…»13.

Superare ogni stacco tra dottrina e vita, vivere la fede ed insegnare a viverla: restava questo il suo più grande desiderio.

La profonda identità sacerdotale, custodita soprattutto nel rapporto con mons. Villa, il seme fecondo che aveva cominciato a germogliare a Prato Leventina, faceva sì che Corecco non si ritenesse mai esentato dall’impegno pastorale. Il fascino del lavoro scientifico non è mai bastato al suo cuore, non ha mai soffocato in lui il suo essere prima di tutto prete. Presto, per volontà di mons. Jelmini, il suo campo di impegno pastorale sarebbero diventati gli studenti.

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[1] Corecco a Gazebo, 24 dicembre 1992.

[2] Ibid.

[3] G. Alberigo, Breve storia del Concilio Vaticano II , Bologna 2005, 39: è citata tra i focolai di riflessione che attendevano il Concilio come occasione di rinnovamento, accanto alle facoltà di Lovanio e Tubinga.

[4] Corecco a Gazebo, 24 dicembre 1992.

[5] Espresse in E. Corecco, Il rinnovo metodologico del diritto canonico , in La Scuola Cattolica 94 (1966) 3-35 (e anche in Civitas. Monatsschrift für Politik und Kultur 21 [1965/1966] 336-370).

[6] Cfr. la disamina di questa situazione in P. A. d’Avack, L’insegnamento del diritto canonico nelle università di stato , in Rivista italiana per le scienze giuridiche 8 (1955-1956) 57-87. Corecco nel saggio indicato alla nota precedente fa riferimento alle osservazioni di d’Avack; C. Fantappiè, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa , Bologna 2011, 270s.: a proposito dell’influsso del Codice del 1917 sull’insegnamento del diritto canonico, scrive: «Sotto l’influenza di Gasparri, la Sacra Congregazione dei Seminari e Università, con decreto del 7 agosto 1917, ordina ai docenti di mantenere scrupolosamente lo stesso ordine del Codice e la serie dei titoli e dei capitoli; di dare una puntuale spiegazione dei singoli canoni, e di ricorrere alla storia solo in forma d’introduzione al diritto vigente. L’imposizione del metodo esegetico nel diritto canonico si può leggere come un’ulteriore conferma della ritardata assimilazione dell’ideologia della codificazione civile da parte della Chiesa. Come, infatti, i civilisti francesi e belgi dell’Ottocento avevano insegnato il Code civil di Napoleone con la tecnica del commento articolo per articolo, nella convinzione che la legge fosse espressione esclusiva della volontà del legislatore e che il Codice detenesse la completezza giuridica, così ora i canonisti che, finalmente, disponevano di una fonte di cognizione analoga, si dovevano limitare al tenore della norma ed ignorare i concetti generali e i legami organici tra i diversi istituti. Non meraviglia, quindi, che il panorama della canonistica romana, specialmente nel primo decennio di vita del Codice, sia dominato da manuali e da trattati poco originali, e che i frutti migliori siano costituiti dalla fondazione di alcune riviste per iniziativa di docenti delle Facoltà pontificie. Oltre che suscitare una nuova fase nella scienza canonistica, l’evento della codificazione ha ripercussioni significative sulla cultura cattolica e sulle scienze sacre della prima metà del Novecento. Quasi tutti i manuali di teologia pratica (morale, pastorale, liturgia, ecc.) risentono, nell’impostazione e nei contenuti, della prevalente dimensione giuridica della Chiesa e dell’influsso del Codice. Ma tale irradiamento culturale non è quasi mai accompagnato dall’apertura dei canonisti ai progressi della teologia. Questa mancanza di dialogo sarà una delle cause che, diversi decenni più tardi, favorirà un’attitudine antigiuridica nei teologi del Concilio Vaticano II»; ibid. , 272-286: dà però ampio conto dell’attività dei canonisti e dello sviluppo nella concezione della Chiesa, che porta al Concilio Vaticano II.

[7] G. Feliciani, Esperienze canonistiche nell’Università italiana del secolo XX , in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 16 gennaio 2012; cfr. anche F. Margiotta Broglio, D’Avack Piero Agostino , in Dizionario Biografico

[8] Italiani , vol. 33, Roma 1987; Id., Vincenzo del Giudice (1884-1970) , ibid. , vol. 36 (1988); e Id., Carlo Arturo Jemolo (1891-1981) , ibid. , vol. 62 (2004); G. Caravale, Orio Giacchi (1909-1982) , ibid. , vol. 54 (2000); su Giacchi cfr. anche E. Corecco , Orio Giacchi , in Jus . Rivista di scienze giuridiche 39 (1992) 285-298; per Pio Fedele, cfr. S. Lariccia, Il mio ricordo di Pio Fedele, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), settembre 2009.8 Feliciani, Esperienze canonistiche nell’Università italiana del secolo XX , 4s.: non manca di sottolineare quanto questa assimilazione intendesse restituire un ruolo pubblico alla Chiesa e salvaguardarne il prestigio.

[9] ACorecco Lugano, Carte personali.

[10] L. Müller, Fede e diritto. Questioni fondamentali del diritto canonico , Lugano 2006, 1115: le sintetiche considerazioni nel Prologo .

[11] Intervista di Patrizio Foletti e Antonietta Moretti, Ascona 24 agosto 2009; e cfr. anche Amicizia, amore per la Chiesa ed impegno scientifico , in Bollettino Amici 9/XV (agosto 2011) 67-71.

[12] Ibid. : il cardinale Rouco Varela ricorda ancora con emozione quando, ritornato a Monaco dopo la consacrazione episcopale, non poté impedire all’anziano prof. Mörsdorf di inginocchiarsi davanti a lui per baciargli l’anello.

[13] ACorecco Lugano, Scat. 8, fasc. 9, nr. 29: Numero unico per il XXV di sacerdozio di don Siro Croce, Airolo, maggio 1962.

1.1.  Gli studenti cattolici: la Lepontia, le sue origini e le sue inquietudini

Buona parte dei ticinesi di tradizione cattolica, che accedevano agli studi accademici, si affiliavano alla Lepontia[14], un’associazione fondata nel 1885 ed accettata come sezione ticinese della cattolica Società degli Studenti Svizzeri (SSS). La maggior parte di loro stava seguendo i passi dei genitori. Frequentando la stessa università e non raramente la stessa facoltà, si preparavano ad occupare il ruolo sociale e civile che i padri avevano avuto, difendendo gli stessi valori. La temperie politica ottocentesca[15], in cui era nata anche Lepontia, aveva reso preziosa l’esistenza di questa e di altre associazioni confessionali, impegnate nel campo politico ad ottenere e conservare alla Chiesa uno spazio di presenza pubblica. Per la sua origine, in Lepontia convivevano due anime, una religiosa e una politica, ma fin dai primi tempi solo per un breve periodo, l’appartenenza confessionale poté dettare una scelta politica univoca[16]. Difficile fin dall’inizio fu anche il rapporto con l’altra associazione studentesca, la Federazione goliardica ticinese (detta brevemente Goliardia, fondata nel 1918), che aspirava a riunire tutti gli universitari ticinesi ed a rappresentarne gli interessi. Pur professandosi apolitica ed aconfessionale, Goliardia era dominata da una componente laicista e piuttosto anticlericale. Lepontia avrebbe potuto invitare i suoi soci ad entrarvi in massa in modo da imporre, con la forza del numero, una diversa impostazione ideologica, oppure restarne fuori, rinunciando a far fronte comune con gli altri studenti ticinesi nelle questioni accademiche di interesse generale. Optò per la seconda possibilità, ma non senza grosse perplessità e dissensi interni[17]. Mons. Aurelio Bacciarini, fin dall’esordio del suo episcopato nel 1917, si occupò di Lepontia e, in linea con il suo programma di rifondazione della fede nella diocesi, volle dar maggiore rilievo al profilo spirituale, mettendo decisamente tra parentesi le connessioni politiche, soprattutto nelle manifestazioni pubbliche, e gli aspetti goliardici, tanto cari alla SSS, avvicinando la società all’UPCT (Unione Popolare Cattolica Ticinese)[18]. Facilitò in questo modo la presa di distanza dalle simpatie fasciste[19]. La linea bacciariniana, rigorosa, impregnata di impegno spirituale e di profonde esigenze di carattere culturale, incontrò il favore di una nuova generazione di Leponti, cresciuti nella «filiale» liceale della società, la Gaunia, che a Lugano si proponeva agli studenti dell’allora unico liceo statale del cantone. Il gruppo era sotto le cure del responsabile dell’Oratorio cittadino, don Angelo Jelmini, il quale, divenuto vescovo nel 1936[20], diede alla Lepontia un assistente ecclesiastico nel 1938[21]. Nel suo insieme la società non aveva un’impostazione unitaria: a livello universitario essa altro non era se non la somma di sezioni locali, ciascuna con la propria storia[22] e legate tra loro dalle tradizioni conviviali. Al termine del secondo conflitto mondiale, Lepontia era però numericamente solida e ben decisa a ritrovare la sua autonomia rispetto all’Azione Cattolica[23], mentre la questione della sua identità sarebbe stata messa alla prova dal rapido cambiamento della società, dalla crisi dei valori tradizionali, e per finire anche dalla democratizzazione degli studi, che avrebbe portato nelle università giovani provenienti da nuovi ceti sociali.

Gli studenti universitari di Lepontia (gli «attivi») erano alla ricerca di maggiore autonomia nei confronti di Lepontia Honoraria, la sezione che raccoglieva in pratica i loro genitori e che teneva i cordoni della borsa[24]. Il loro spirito inquieto si era rafforzato anche nelle giornate di studio con la Federazione degli universitari cattolici italiani (FUCI), iniziate negli anni della guerra e divenute regolari dopo la fine del conflitto, nell’entusiasmo del ritrovato clima di pace e con il cordiale incoraggiamento della SSS[25]. Se con la FUCI non si giunse mai alla definizione di un programma comune, non mancarono frutti, soprattutto a livello di amicizie personali[26]. Inoltre i giovani di Lepontia, gravitando sul più aperto bacino lombardo, entravano in contatto con i fermenti più vivaci e critici del Cattolicesimo e riconoscevano come proprie le istanze sollevate in questi ambienti[27].

1.2.  Il gruppo «della Gazzada»

Eugenio Corecco, che deve aver iniziato a frequentare la Lepontia all’inizio degli anni Cinquanta[28], conobbe probabilmente questo clima inquieto, ma siccome studiava a Roma (alla Gregoriana dove insegnavano i teologi di Pio XII[29]) non partecipò alla nascita del suo frutto più duraturo, ovvero alla fondazione del gruppo detto prima «della Gazzada» (il comune del Varesotto in cui sorge Villa Cagnola, prima sede dei loro incontri e momenti di ritiro) e poi dei «Dialoghi», dal nome della loro pubblicazione[30]. All’inizio del mese d’agosto del 1954[31], un gruppo di giovani, per lo più neo-laureati e provenienti da varie associazioni cattoliche – Leponti attivi, insegnanti della Federazione Docenti Ticinesi[32], esponenti dell’Azione Cattolica, membri dell’OCST[33] e della Guardia Luigi Rossi[34] –, affiancati da alcuni seminaristi, da due giovani preti – don Franco Biffi[35] e don Oliviero Bernasconi – e da don Guglielmo Maestri[36], «braccio destro» di mons. Alfredo Leber[37], che era direttore del Giornale del Popolo e assistente generale dell’AC, si ritrovarono alla Gazzada alla ricerca di un ambito di comunità «per vivere coerentemente il cristianesimo, in maniera tale che essi stessi s’adoperino efficacemente, ciascuno nel suo ambito, per agire da cattolici – e che la gerarchia sappia di poter contare sulla loro collaborazione libera ma docile, in ogni settore dove occorra, in qualsiasi momento ed a qualsiasi costo», come recitava l’auspicio formulato da mons. Jelmini[38], la cui approvazione era stata sollecitata, se non altro perché «per fare qualcosa di efficace in campo cattolico in Ticino è indispensabile avere la benedizione del vescovo»[39]. Né il momento politico né la variegata provenienza assodiAloghi

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ciativa delle persone radunate erano frutto del caso. L’iniziativa esprimeva piuttosto un’urgenza dettata anche dalle circostanze elettorali, che vedevano l’intesa di sinistra tra partito liberale e partito socialista, rinsaldata nella votazione del 1947 dalla favorevole congiuntura economica, continuare a relegare il partito conservatore ad un ruolo di secondo piano. La strategia di stringere i legami con la Curia e le associazioni cattoliche, affidando la propria legittimazione alla bandiera confessionale, bastava a mala pena a conservare le posizioni acquisite[40]: non solo non era in grado di rovesciare la situazione, ma aveva mostrato tutti i suoi limiti, quando le scelte contingenti del vescovo si erano rivelate sgradite alla dirigenza del partito[41] o addirittura erano lette come contrarie agli interessi della Chiesa[42].

Negli incontri di Gazzada, questi giovani cattolici cercavano una linea, capace di coordinare l’attività delle associazioni[43] e di rendere propositiva la concezione cristiana della realtà, affinché anche in politica l’impegno potesse essere unitario fin dalla sua genesi e non soltanto per un disciplinato ossequio alle direttive[44].

Conferenziere di peso del primo incontro fu don Carlo Colombo[45], professore al Seminario di Venegono, grande conoscitore ed estimatore di Yves Congar e dei «francesi», che propugnavano una profonda revisione del ruolo

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dei laici nella Chiesa e per questo «era considerato quasi un eretico»[46]. Il suo nome non era stato una prima scelta. Su consiglio di don Franco Biffi e con l’approvazione di mons. Jelmini, gli organizzatori avevano puntato dapprima sulle prestigiose figure di Giuseppe Lazzati[47] e di don Divo Barsotti[48], ma ambedue erano impediti. Solo in seguito si pensò a don Carlo Colombo e la sua conferenza marcò profondamente lo spirito del gruppo[49]. Parlando del nuovo rapporto che doveva instaurarsi fra laici e clero per far fronte alle sfide della modernità, don Colombo riteneva che non fosse più possibile guardare ai laici come alla longa manus del clero, abilitata a penetrare in ambienti preclusi ai preti; piuttosto toccava alla Chiesa aprirsi al contributo che i laici, con la loro esperienza, potevano portare alla sua modernizzazione. Un nuovo umanesimo cristiano doveva colmare la frattura creatasi tra una Chiesa troppo statica ed una società in rapida evoluzione: «si tratta di trovare il tipo d’uomo (il nuovo laico) che si applichi ad usare tutti gli strumenti che la civiltà propone […] per instaurare condizioni di vita fisica migliori e preparare un terreno migliore per l’espansione della grazia»[50]. Intervennero anche don Aldo Mauri, Assistente dei giovani milanesi di AC ed il dr. Germano Quadrelli, presidente

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di AC lombarda, portando esperienze di apostolato[51]. Partecipi delle istanze di cambiamento, che dopo la guerra si agitavano ovunque nella Chiesa e nella società – istanze di cui appunto soprattutto don Colombo si era fatto interprete –, i giovani ticinesi erano anche fortemente critici verso l’establishment politico ed ecclesiastico del loro cantone/diocesi, saldamente dominato ai loro occhi da rapporti di forza consolidati, ostile a qualunque novità ed inadeguato dal punto di vista culturale[52]. In campo politico, lamentavano che il partito conservatore intrattenesse una diffusa pratica clientelare e sterilmente statica, che essi erano ben decisi a combattere[53]. In campo ecclesiastico, dove le numerose associazioni, radunate sotto la sigla UPCT (Unione Popolare Cattolica Ticinese)[54]facevano riferimento a leadership ormai stagionate[55], ma non per questo disposte a farsi da parte, i giovani criticavano numerosi aspetti: l’impostazione eccessivamente dipendente dalla gerarchia in generale e dai preti in particolare[56], la specializzazione dell’educazione secondo età e ambiti di lavoro, e, soprattutto, la rigida separazione tra i tra i sessi, che favoriva l’emarginazione delle donne, in un momento in cui il loro diritto di accedere al voto iniziava ad affacciarsi nel dibattito politico ticinese[57]. Severe critiche erano indirizzate anche alla stampa cattolica, in particolare al quotidiano della diocesi, il Giornale del Popolo[58]. Tanto in questo caso come a proposito dell’AC, mons. Alfredo Leber era particolarmente preso di mira[59]. Il sincero desiderio di maggiore autenticità cristiana si mescolava in modo probabilmente inestricabile alle ambizioni di carriera ed alla voglia di accedere finalmente alle leve del comando; al conflitto tra chi, pieno di speranze, si spalancava a nuove idee e chi, invece, guardava con estrema diffidenza ogni novità, si sommavano difficoltà di rapporto a livello personale[60]. Di fatto la collaborazione organica con l’autorità diocesana non si avviò mai[61]. Nei confronti di questo gruppo, il vescovo non seppe o non volle prendere una posizione chiara. Da un lato emergeva con evidenza il suo desiderio di ascoltare ed accogliere, che lo portò anche a visitare i giovani radunati per la seconda volta alla Gazzada nel 1955[62], dall’altra lo frenava il sospetto con cui le autorità ecclesiastiche ambrosiane guardavano alla nuova teologia ed alle sue proposte[63]. Confermato nei dubbi dai suoi autorevoli consiglieri, come già mons. Leber aveva fatto con i membri di AC, anche mons. Jelmini finì per proibire ai membri del clero di partecipare alle attività di un gruppo[64], che divenne di fatto il polo di riferimento per Lepontia cantonale ed il luogo privilegiato di riflessione sul ruolo dell’intellettuale cattolico, un tema assai caro alla FUCI. Privato del contributo dei sacerdoti, il gruppo focalizzò i propri interessi soprattutto sul campo politico[65] e divenne interprete di vivaci prese di posizione su fatti di attualità ticinese, talvolta in polemica con le opinioni sostenute a nome dell’AC dal Giornale del Popolo[66] (segnatamente in occasione del riscatto della Biaschina nel 1956 ed in occasione della nuova legge sulla scuola nel 1958). Gli articoli di questi «dissidenti» uscivano sul periodico della sezione giovanile del partito conservatore Il Guardista ed anche sul quotidiano dello stesso parialoghi tito Popolo e Libertà[67], che ospitò poi stabilmente la loro pagina[68]. Se nel caso del riscatto della Biaschina, al centro dello scontro si ritrovò il Giornale del Popolo, che aveva sostenuto una posizione avversa a quella del gruppo attraverso la penna di un ingegnere, che era nipote di mons. Leber, in occasione della legge sulla scuola, nel 1958, era in causa il vescovo in persona, accusato di non difendere i diritti della Chiesa per amore del quieto vivere. Si rianimava anche il non ancora sopito malcontento causato dalle sue scelte in occasione dei festeggiamenti del centocinquantenario del 1953[69]. La rovente polemica e le accuse nei confronti dell’ordinario diocesano non solo misero in crisi il rapporto con l’OCST e don Franco Biffi[70], ma attirarono l’attenzione del Nunzio e provocarono un pesante intervento delle autorità romane, che sostennero il giudizio dei contestatori ed invitarono il vescovo a farlo proprio[71]. Una vittoria dunque, ma non su quello che per il gruppo della Gazzada era il fronte più importante, ovvero quello dell’autonomia dei laici in politica, che essi vedevano come il preludio del rinnovamento della cristianità ticinese[72]. D’altra parte il gruppo non sapeva profilarsi con precisione: se da un lato si considerava frutto di amicizia e rapporti personali[73] e non aspirava a divenire troppo numeroso, privilegiando così l’aspetto elitario, dall’altro ambiva ad avere al proprio interno esponenti rappresentativi dei gruppi cattolici senza che queste persone fossero delegate dai rispettivi ambiti[74]. Nel sempre più marcato impegno politico, il gruppo della Gazzada, profondamente influenzato dallo stretto rapporto con don Celestino Melzi[75] e dalla preziosa collaborazione di don Franco Biffi[76], tentò di contrastare la crescente popolarità del pensiero socialista e marxista tra i giovani invitando il partito conservatore a sostenere la linea e l’attività dell’OCST[77]. Acquisì così, almeno per qualche anno e su qualche tema, il prezioso sostegno di don Luigi Del-Pietro[78]. Le inquietudini politico-religiose dei Gazzadiani erano le stesse che travagliavano il movimento giovanile dei partiti cristiani europei[79], ma per i Ticinesi l’impegno si concretizzava specialmente nel tentativo di frenare il declino elettorale del loro partito. Si ritrovarono così a non solo a sostenere la necessità del suo risanamento, della sua rifondazione morale e culturale, ma anche una linea favorevole ad un severo richiamo a tutti i battezzati ad una maggiore responsabilità nella scelta elettorale[80]. Malgrado la costante affermazione della necessità dell’autonomia dei laici in politica, essi solleciteranno mons. Jelmini a far sua questa preoccupazione[81]; e malgrado la grande attenzione per l’unità dei cattolici, saranno loro stessi ad introdurre un nuovo elemento di divisione, quando, in occasione delle votazioni cantonali del 1959, toglieranno il loro sostegno ai candidati dell’OCST per favorirne uno proprio[82].

1.3.   La riflessione in vista del Concilio Vaticano II e l’ordine del giorno di Caslano

Nel 1958, mentre negli ambienti degli intellettuali cattolici ticinesi infuriava la polemica con il vescovo, saliva al soglio pontificio Giovanni XXIII. Con il suo stile familiare e le sue iniziative sorprendenti portava un vento nuovo, confermato pienamente dall’annuncio a sorpresa, nel gennaio del 1959, dell’intenzione «di convocare un Sinodo diocesano per l’Urbe ed un Concilio generale per la Chiesa universale […] che condurranno all’auspicato ed atteso aggiornamento del Codice di diritto canonico»[83]. Si apriva immediatamente un intenso periodo di lavoro: la fase detta ante-preparatoria. Ovvia continuazione del Concilio Vaticano I, la nuova assise avrebbe dovuto riprenderne i lavori interrotti dalla guerra del 1870 ed occuparsi soprattutto della Chiesa. Fin da questa fase si profilarono due fronti: uno capeggiato dai dicasteri della Curia romana orientato a contenere il più possibile le novità, ed un secondo che faceva capo alla commissione ecumenica, voluta dal Pontefice e da lui affidata al card. Agostino Bea, orientato al varo di una nuova ecclesiologia, che rispondeva alle urgenze che avevano indotto Giovanni XXIII alla convocazione del Concilio[84]. La divergenza tra queste posizioni si esplicitò fin dalla scelta della modalità di lavoro. I «curiali» avrebbero voluto consultare i vescovi tramite un questionario, che avrebbe indirizzato su binari predefiniti sia le risposte sia i temi di riflessione, affidati a commissioni di esperti, che avrebbero sottoposto all’approvazione dell’assemblea le loro conclusioni. Il Papa, che desiderava invece che i vescovi si potessero liberamente esprimere circa i temi da trattare e che in aula ci fosse un reale dibattito, ottenne che i vescovi fossero consultati in modo molto più libero[85]. La medesima volontà di apertura si manifestò anche nell’elezione delle varie commissioni, che non dovevano essere l’automatica conferma di quelle preparatorie, ma rispecchiare le scelte delle conferenze episcopali nazionali. Una significativa deroga al regolamento permetteva di eleggere i delegati con la semplice maggioranza dei voti e non più con quella assoluta[86]. Con la chiamata di mons. Jelmini a far parte della Pontificia commissione preparatoria, anche il Ticino si sentì coinvolto[87]. Lepontia cantonale in particolare, al pari degli amici della FUCI, diede molto spazio alla riflessione sulla Chiesa e sul ruolo dei laici all’interno di essa, cogliendo con prontezza ed entusiasmo il nuovo spirito che emergeva da un Concilio, in cui la Chiesa rifletteva su se stessa, facendo spazio ad esperienze e a nodi problematici che provenivano da tutti i continenti[88]. Tuttavia la vita spirituale della società continuava a ristagnare ed il ritiro annuale, sebbene predicato da personalità prestigiose, spesso provenienti dalle file dei Gesuiti, andava per lo più deserto[89].

Gli studenti più vivaci se ne preoccupavano molto e dedicarono l’anno accademico 1963/64 ad un’approfondita riflessione sulla natura ed il compito della loro associazione. Venne richiesta anche la collaborazione di Eugenio Corecco, il quale, concludendo il suo soggiorno a Monaco di Baviera, si accingeva a completare, presso l’università di Friburgo, la sua formazione giuridica con una licenza in diritto civile. Da Berna il presidente di Lepontia cantonale, Giorgio Fontana, gli chiedeva di affrontare il tema dello squilibrio nella formazione degli intellettuali cattolici, spesso assai ferrati nel loro campo di specializzazione, ma rimasti al livello delle scuole medie in materia di preparazione religiosa. Questo tema era stato concordato con gli amici della FUCI, ma il Fontana chiedeva a Corecco di trattarlo in modo da rendere chiaro ai Fucini che, se la loro società era a tutti gli effetti una sezione di AC, altrettanto non valeva per la Lepontia90. Quell’estate 1963 Corecco figura tra i partecipanti alle giornate del gruppo dei Dialoghi[91]. Per tutto l’anno, l’attività sociale venne dedicata alla riflessione sul laico cristiano e sul suo impegno politico, con una particolare attenzione ad introdurre un nuovo metodo di lavoro, più orientato al coinvolgimento attivo dei membri, chiamati a partecipare alla scelta degli argomenti ed anche ad animare gli incontri con momenti di discussione e di confronto. A questo scopo si sottolineava l’importanza della preparazione individuale[92]. Il ripensamento in atto, volto a chiarire il «cosa ci sto a fare in Lepontia»[93], fu al centro delle giornate di studio del 9-10 maggio 1964 tenute a Lugano[94], durante le quali don Celestino Melzi tenne una conferenza dal titolo «Compiti dell’intellettuale cattolico» e don Martino Signorelli una documentatissima relazione sulla storia di Lepontia[95], da lui descritta come una società da sempre alla ricerca della propria identità. Ne venne una chiarificazione, espressa soprattutto in termini negativi: Lepontia non era una società a scopi goliardici – non occorreva radunarsi tra cattolici per questo –, né il gruppo giovanile di un partito politico e neppure una sottosezione dell’AC. Affermando con forza la sua apartiticità, Lepontia riconosceva di avere in comune con il partito conservatore alcune preoccupazioni; mentre si distingueva dall’AC per il fatto di svolgere la sua testimonianza senza bisogno di un mandato speciale della gerarchia. Da attento osservatore del dibattito conciliare, in un articolato intervento, Alberto Lepori esplicitava il concetto di «Chiesa povera», che il cardinale di Bologna Giacomo Lercaro aveva presentato ad una sessione del Concilio[96]: una nuova visione che marcava la fine dell’epoca costantiniana ed apriva quella di una Chiesa che rinunciava ad ogni sostegno temporale, ponendo così termine alla necessità che ci fossero dei partiti cristiani. In questo contesto Lepontia leggeva come suo «il compito di preparare uomini con una visione cattolico-cristiana a portare la loro coerente testimonianza nelle istituzioni»[97]. La posizione di Lepori attesta quanto il gruppo di Dialoghi avesse iniziato a far riferimento sia alla «officina di Bologna» di Giuseppe Dossetti, sia a riviste quali Testimonianze di Ernesto Balducci[98]. Al termine delle giornate di studio di maggio, un gruppo di Leponti attivi, tra i più autorevoli per età e studi, firmava una severa mozione indirizzata ai membri di Honoraria, invitandoli ad uscire dalla loro quasi «letargia». Tra i firmatari c’era Eugenio Corecco[99]. I responsabili di Lepontia guardavano criticamente anche al rapporto con la SSS, che, nel suo insieme, rimaneva nel solco della tradizione goliardica e lontana dal nuovo corso, malgrado il fatto che alcune sue sezioni avessero fatto propria la riflessione di Lepontia[100]. Da ultimo alcuni Leponti partecipavano con entusiasmo alle trattative per la costituzione di un organismo studentesco unitario – l’ARUSI (Associazione Rappresentativa degli Universitari della Svizzera Italiana) –, chiamato a tutelare gli interessi degli studenti ticinesi: una sorta di sindacato, che avrebbe sostituito in questo campo, le precedenti associazioni, connotate ideologicamente[101]. Nell’estate del 1964, i frutti di questo intenso lavoro confluirono in un documento assai importante: l’«Ordine del giorno di Caslano», in cui si ribadiva l’autonomia di Lepontia, tanto rispetto all’AC quanto rispetto ai partiti politici, e l’intenzione di «approfondire quei problemi dottrinali aspettanti sia all’ordine ecclesiale che a quello temporale che più sono necessari all’intellettuale laico per compiere il suo servizio nel mondo, valendosi della presenza di un Assistente ecclesiastico; di realizzare una testimonianza cristiana di tipo comunitario nel mondo culturale e universitario; di vivere all’interno della loro comunità un impegno apostolico reciproco»[102]. Discusso, modificato ed infine approvato nel corso dell’assemblea estiva tenuta appunto a Caslano alla fine di agosto, questo documento fu per molti quasi una nuova carta di fondazione della Lepontia[103]. All’inizio di quello stesso mese, mons. Jelmini aveva informato l’avvocato Waldo Riva, presidente di Honoraria, che in merito alla sostituzione di Martino Signorelli, dimissionario dalla carica di assistente di Lepontia a causa degli impegni legati al suo nuovo compito di rettore del Collegio Papio, prendeva in considerazione la candidatura di don Eugenio Corecco, proposta dallo stesso Riva e dai Leponti attivi[104]. Corecco collaborava già con il vescovo: lo assisteva nei lavori conciliari con le sue traduzioni dal tedesco[105] e rappresentava l’Amministrazione apostolica di Lugano presso la Conferenza dei Rettori dei Seminari diocesani[106]. Ricopriva anche un incarico presso la Segreteria della Conferenza dei vescovi svizzeri[107], compito che lo occupava seriamente per la viva coscienza che egli aveva del momento particolare che la Chiesa stava vivendo e del contributo che egli personalmente poteva dare, avendo dedicato il lavoro di dottorato al tema della sinodalità nella Chiesa statunitense[108]. Alieno da false timidezze, Corecco approfittava delle frequenti possibilità di contatto personale con il vescovo per sottoporgli l’uno o l’altro problema relativo a confratelli preti o istituti ecclesiastici[109].

Nominato assistente di Lepontia in un momento carico di promesse, dichiarava di voler rimanere fedele alla linea del suo predecessore ed invitava i Leponti ad esercitare la vicendevole carità per poter attuare l’impegnativo programma che si erano dati[110]. Egli non intendeva disperdere le energie in polemiche e divisioni, ma piuttosto favorire la collaborazione di tutti. In questo senso scriveva a Waldo Riva, già il 29 agosto 1964, scusandosi per i toni piuttosto accesi della mozione di maggio[111].

1.4.  L’incontro con don Giussani

Adesso toccava a lui farsi carico delle preziose seppur confuse istanze di questi giovani cattolici ed affrontare il compito della loro formazione religiosa. Eugenio Corecco stesso ha raccontato come ha saputo di don Luigi Giussani (1922-2005)[112]: durante un viaggio in treno, gli capitò di leggere una sua intervista pubblicata su Gente e immediatamente sorse in lui il desiderio di incontrarlo[113]. Per i Leponti, vicini agli ambienti dell’AC milanese, questo geniale prete non era uno sconosciuto ed era stato qualche volta tra i relatori alla Gazzada[114]. Giussani, che aveva rinunciato alla carriera accademica per insegnare religione al Liceo Berchet di Milano, era all’origine di una entusiasmante scoperta della fede da parte di numerosi studenti del suo liceo e poi, per contagio, di altre scuole superiori di Milano, dell’arcidiocesi ambrosiana e di altre città e diocesi. Il suo metodo si focalizzava su due termini: «desiderio» ed «esperienza». A partire dalle proprie domande esistenziali, dal proprio desiderio di felicità, ognuno era invitato a prendere sul serio il fatto dell’incarnazione di Cristo come inveramento di queste domande e come risposta, ovvero a fare esperienza nella sua vita della salvezza. Il movimento d’ambiente nato da don Giussani suscitò fin dall’inizio reazioni contrastanti, alcune entusiastiche, altre fortemente critiche. Di fatto la sua proposta, seppure nata nell’alveo dell’AC di cui Gioventù Studentesca (GS) faceva parte, ne metteva in crisi le tradizionali strutture ed il metodo educativo, focalizzato sulla rigorosa separazione dei sessi (Giussani stesso era stato incaricato dapprima del ramo femminile), orientato ad una pastorale mirata a seconda dell’età e della preparazione culturale e strettamente legata alla parrocchia[115]. Era sotto gli occhi di tutti che queste modalità erano sempre meno attrattive ed incapaci di raggiungere la crescente massa di giovani che si avviava agli studi superiori e poi universitari, lo stesso arcivescovo Montini, fin dal suo insediamento, aveva lanciato un accorato allarme a questo proposito[116], tuttavia non veniva meno la pretesa che il metodo di Giussani si piegasse a rianimare le strutture tradizionali. Anche la grande importanza che egli riservava all’esperienza suscitava sospetto a livello teologico e lo si accusava di rendere la fede qualcosa di soggettivo, trascurando una seria preparazione spirituale dei giovani che lo seguivano[117]. Eppure l’esperienza era davvero la chiave di volta nella sua proposta: «ho avuto la fortuna di vivere in mezzo alla comunità di GS la mia esperienza: ciò che mi ha illuminato punti rimasti oscuri fin da quando don Giussani ce li aveva delineati nelle sue conferenze»[118]. Le difficoltà con i dirigenti di AC, alcuni parroci e i vescovi dovevano aggravarsi con l’arrivo dei primi Giessini all’università, soprattutto in Cattolica, dove la FUCI soleva e voleva detenere il monopolio della presenza cristiana, con lo scopo di formare una élite in grado di assumere poi un ruolo dirigente nella società (è il tema dell’«intellettuale cattolico»), obiettivo che non poteva accordarsi con la vivace presenza missionaria dei giovani provenienti da GS[119].

Desideroso come era di veder rifiorire la vita spirituale della Lepontia e colpito dal carisma educativo di Giussani, Corecco andò ad incontrarlo di persona, partecipando ad un Triduo pasquale a Varigotti nel 1964. Un testimone d’eccezione, il card. Angelo Scola[120], allora studente universitario, così ha ricordato quel momento:

«In quell’occasione partecipammo insieme, a Varigotti, ad un incontro di meditazione sul mistero pasquale. Relatore era Don Giussani che, con la sua forza persuasiva, descriveva l’avvenimento della morte e resurrezione di Gesù come la radice profonda di tutte le cose. […] Dopo ogni relazione c’era lo spazio per il dialogo. Mi colpì quel giovane sacerdote svizzero che, sistematicamente, prendeva la parola e sottoponeva Don Giussani ad un fuoco di fila di interrogativi appassionati. Nascevano, da una parte, dalla sua vivace intelligenza dell’umano, che gli studi teologici condotti a Roma avevano potenziato e, dall’altra, da quella conoscenza penetrante e generosa dell’animo giovanile […] che avrebbe sempre caratterizzato la sua azione di sacerdote, di insegnante e di Vescovo. […]»121.

Corecco fu affascinato da don Giussani, nella cui proposta finì per trovare prima di tutto una risposta al suo desiderio che la fede fosse «non una dottrina, ma una saggezza per la vita», come diceva scrivendo a don Croce, senza avvedersi dell’inadeguatezza delle parole che usava. Don Giussani proponendo la vita di fede come relazione amicale, tra persone unite non da istintiva simpatia o da convenienze ma dal comune incontro con Cristo, introduceva una radicale novità nella vita, una rivoluzione di rapporti, indicava una via percorribile non tanto grazie ad un esasperato sforzo di ricerca, ma piuttosto all’umiltà dell’abbandono ad un amore donato gratuitamente e capace di lanciare la persona nell’incontro con tutta la realtà. A Corecco pareva che la proposta di Giussani potesse diventare la strada dei Leponti, che da anni si interrogavano circa lo scopo e la missione dei cattolici nel mondo, la strada per concretizzare l’impegnativo «ordine del giorno di Caslano»[122]. Dal gennaio del 1965 affidò quindi al prete milanese la predicazione del ritiro per gli universitari, che vide per l’occasione una buona affluenza, confermata negli anni seguenti anche a livello liceale[123]. Le parole di don Giussani lasciavano il segno ed una parte degli studenti iniziò a seguire le sue indicazioni: questo portò alla modifica del calendario classico delle attività lepontiche ed all’organizzazione di momenti di convivenza e vacanze, ai quali partecipavano gli amici milanesi di GS[124]. Da quell’anno don Giussani venne invitato regolarmente e Corecco conterà sempre di più su di lui per la pastorale degli studenti, sebbene proprio nei primi mesi del 1965, sul prete milanese si fossero addensate nubi tempestose: egli era «incoraggiato» a fare un viaggio di studi negli USA, per preparare l’abilitazione in vista dell’insegnamento accademico, e si riteneva opportuno che egli lasciasse la guida di GS[125].

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[14] Cfr. A. Abaecherli , Per una storia di Lepontia (1885-1960) , in Risveglio 10-11 (1985) 293-373.

[15] Cfr. i saggi di F. Panzera, in Storia del Cantone Ticino , vol. III, Bellinzona 1998; A. Moretti, La Chiesa ticinese nell’Ottocento: la questione diocesana (1803-1888), Locarno 1986.

[16] F. Panzera, La lotta politica nel cantone Ticino: il regime conservatore , Milano 1982, e Id., La lotta politica nel Ticino: il “nuovo indirizzo” liberale conservatore (1875-1890) , Locarno 1986.

[17] Per la storia di Lepontia e per questi problemi di identità che si manifestano anche negli anni a ridosso dell’arrivo di Corecco , cfr. ancora Abaecherli , Per una storia della Lepontia (1885-1960) , 293-373; in particolare per il rapporto con Goliardia, cfr. 320s.

[18] Ibid. , 337-340; cfr. anche HS VI/1, 260.

[19] A questo proposito fu determinante il ruolo di Giuseppe Lepori, cfr. A. Lepori, Giuseppe Lepori (1902-1968): scritti e discorsi con un profilo biografico , Locarno-Lugano 1988; e cfr. anche F. Doninelli, Giuseppe Lepori: tra antifascismo e difesa dell’italianità , Locarno 2018; per il rischio di derive fasciste in ambito cattolico, cfr. su Il Maglio , periodico della Lepon tia , gli scritti di Basilio Biucchi , studente alla Cattolica di Milano e quindi sotto l’influsso di padre Agostino Gemelli, in anni in cui si sperava che il Fascismo evolvesse verso una posizione moderata e filo-cattolica; cfr. anche le drammatiche vicende legate alla guerra civile spagnola, quando a qualcuno sembrava che la Chiesa dovesse affidare la sua difesa ad una fazione politica, senza tenere conto che questa – il nazionalismo del generale Franco – era violenta tanto quanto la fazione avversa anarco-comunista; posizione questa alla quale era vicino il Giornale del Popolo di don Alfredo Leber, mentre Popolo e Libertà , ospitando gli articoli di don Luigi Sturzo in esilio a Londra, se ne teneva ben distante; in generale per questo periodo cfr. A. Moretti, P. Gemelli e il Ticino. I progetti corporativi e la ricerca di una “terza via” negli Anni Trenta , in M. Bocci (a cura di), Agostino Gemelli ed il suo tempo . Atti del Convegno storico , Milano 2009, 441-462.

[20] Cfr. HS VI /1, 266269.

[21] Si trattava di don Ettore Gobbi (designato nel dicembre 1938), cfr. Abaecherli , Per una storia di Lepontia (1885-1960) , 347. Gli fecero seguito l’assistente don Manfredo Limoni dal 1945 al 1947 ( ibid ., 370 n. 9), Gilberto Agustoni , dal 1947 ( ibid ., 350) e Martino Signorelli, nominato da Jelmini nel settembre 1950 assistente di tutte le sezioni di studenti e laureati cattolici del Ticino ( ibid ., 365).

[22] Abaecherli , Per una storia di Lepontia (1885-1960) , 352s.: sottolinea come l’ incre mento numerico della società abbia permesso che le sezioni universitarie animassero cia scuna un programma autonomo, fatto che rese necessaria l’istituzione di un segretariato permanente, iniziativa di cui si cominciò a discutere negli anni 1946 o 1947 e che venne attuata, per un anno a titolo di prova, nel 1953. Primo segretario fu l’avvocato Camillo Jelmini.

[23] Cosa che avvenne con una nuova convenzione sottoscritta nel 1944 nella quale si affermava il carattere autonomo di Lepontia e nello stesso tempo la condivisione del programma di Azione cattolica, cfr. Abaecherli , Per una storia di Lepontia (1885-1960) , 350; alla convenzione fece seguito la revisione degli statuti, portata a termine tra il 1945 ed il 1948 (anno dell’approvazione da parte delle SSS), cfr. ibid. , 351s.

[24] Ibid. , 323: l’idea di una sezione di onorari, che si facesse carico del sostegno finan ziario , iniziò a circolare nel 1915, al momento della ricostituzione della società dopo un lungo decennio di crisi. I giovani non erano concordi, temendo che la tutela esercitata dagli anziani potesse divenire pesante, tuttavia le necessità finanziarie ebbero la meglio sulle preoccupazioni e la Honoraria venne fondata nel 1917.

[25] Ibid. , 356-358: in un momento in cui il suo ruolo sembrava inutile, Lepontia cantonale si fece animatrice di giornate di studio volte a favorire la realizzazione della terza parte del motto di Lepontia : amicizia. Le prime ebbero luogo nel 1942; malgrado il loro successo e la buona volontà degli organizzatori, un’attività regolare si poté avviare solo al termine della guerra. Ibid. , 360: nel 1945 era presidente della SSS il leponto Orazio Dotta, che si assunse in prima persona il rapporto con la FUCI; nel 1947 un altro ticinese, Mario Pedrazzini, divenne vice-presidente centrale della SSS per curare delle relazioni attive con la FUCI.

[26] Ibid. , 359362.

[27] D. Vignati, Dialoghi del dissenso. La nascita di un nuovo foglio di riflessione cristiana nel cantone Ticino degli anni Cinquanta . Tesi di laurea presso l’Università di Pavia, anno accademico 2000-2001, 9-12: la descrizione delle inquietudini nel mondo ecclesiale confrontate con l’intransigenza degli ultimi anni del pontificato di Pio XII, tra strascichi del Modernismo ed influssi della Nouvelle Théologie e dell’umanesimo cristiano di Maritain.

[28] Archivio della Lepontia , Scat. VI 1.6, nr. 5: 11 luglio 1965, lettera da Monaco a Waldo Riva: Corecco scrive di essere nella Lepontia da oltre 15 anni.

[29] Intervista con don Carlo Quadri (Antonietta Moretti, Lugano 29 aprile 2013).

[30] D. Vignati, Nasce a Gazzada la rivista , in Bollettino dell’Associazione per la storia del movimento cattolico nel Ticino 20 ( 2002)/ Risveglio 4 (2002) 31-46, 31: lo strumento di comunicazione del gruppo, prima di diventare una rivista, fu una pagina periodica così titolata, che appariva su Il Guardista oppure su Popolo e Libertà.

[31] Ibid.

[32] Per la Federazione Docenti Ticinesi (FDT) e il suo periodico Risveglio fondato nel 1895, cfr. A. Gili, La stampa sindacale cattolica ticinese , in Bollettino dell’Associazione per la storia del movimento cattolico nel Ticino/Risveglio 7-8 (1988) 253.

[33] Per l’Organizzazione cristiano-sociale ticinese (OCST), cfr. A. Gandolla , Gli ot tant’anni dell’OCST , Lugano 1999.

[34] Per un recente saggio su questa, che era l’organizzazione giovanile del partito conservatore democratico, cfr. D. Dosi, I giovani conservatori-democratici e i fascismi: l’esempio della

[35] Luigi Rossi», in Revue d’histoire ecclésiastique suisse = Zeitschrift für schweize rische Kirchengeschichte 96 (2002) 118-126.35 Cfr. SC 137; e soprattutto n. 236.

[36] SC 130: 1921-1978, dal 1969 redattore del Giornale del Popolo e condirettore dal 1974.

[37] Per Alfredo Leber (1902-1983), cfr. DSS , textes /i/119815.php (F. Panzera); SC,

[38] Vignati, Dialoghi del dissenso , 67; cit. anche in Id., Nasce a Gazzada la rivista -

[39] 32: da un appunto di mons. Jelmini agli organizzatori.39 Vignati, Dialoghi del dissenso , 67: così il principale promotore, il giurista Geo Solari, redattore responsabile de Il Guardista , foglio quindicinale della sezione giovanile del

[40] conservatore; cfr. anche S. Lurati Mazzali, La parution d’une voix nouvelle parmi les catholiques tessinois : la page du , Séminaire 3, L’ intrusion de la modernité , Chaire d’histoire contemporaine de l’Université de Fribourg, semestre d’ été 1996 ( ms presso l’autrice a Canobbio), 15, cit. in Vignati, Nasce a Gazzada la rivista , 43, n. 13.40 Vignati, Dialoghi del dissenso , 4751.

[41] Ibid. , 57-60: Vignati allude qui all’eccessivo irenismo di cui fu accusato mons. Jel mini quando accettò che la cerimonia religiosa in occasione dell’anniversario dei 150 anni dell'indipendenza cantonale assumesse un significato quasi privato.

[42] Ibid. , 60-62: in occasione della revisione della legge sulla scuola nel 1958, dove ri corda anche il forte impegno di Pio XII sul fronte dell’educazione.

[43] Lurati Mazzali, La parution d’une voix nouvelle , 5, che fa riferimento alla relazione di don Oliviero Bernasconi, a Valenza nel 1968.

[44] Vignati, Dialoghi del dissenso , 65-68: come traspare dalla ricostruzione dell’inizio, a partire dai ricordi dalle note di uno dei protagonisti, il dr. Alberto Lepori, Massagno.

[45] Su Carlo Colombo (1908-1991), ricordato in La Gazzada, febbraio 1992, cfr. Vignati , Dialoghi del dissenso , 80, n. 3; e soprattutto A. Savorana , Vita di don Giussani , Milano 2013, 69-71: sulle caratteristiche del suo pensiero, del suo insegnamento, volto a favorire un rinnovato annuncio cristiano come adesione a una persona, e sul contribu to alla stesura della costituzione conciliare Dei Verbum , là dove sottolinea la concezione personalistica della rivelazione («una verità non incarnata in una persona vivente sembra un’astrazione irreale e irrealizzabile»), cfr. C. Colombo, Teologia ed evangelizzazione , in La Scuola Cattolica 78 (1950) 302-324; per il suo ruolo al Concilio, cfr. Alberigo, Breve storia del Concilio Vaticano II , 103 e 109, dove lo indica come il teologo di fiducia di Paolo VI e fautore della libertà religiosa.

[46] Così Alberto Lepori, in Vignati, Nasce a Gazzada la rivista , 39; ibid. , 38s.: riferendosi a P. Villani, L’età contemporanea , Bologna 1983, Vignati rileva che la posizione scomoda di don Colombo era dovuta alla sua disponibilità al dialogo con i socialisti dopo le elezioni del 1953, nelle quali il quadripartito (Democrazia Cristiana, Partito Socialista Democratico Italiano, Partito Liberale Italiano, Partito Repubblicano Italiano, con l’aggiunta del Südtiroler Volkspartei e del Partito sardo d’Azione) non raggiunge il quorum previsto dalla nuova legge elettorale maggioritaria e la Democrazia Cristiana viene ridimensionata perdendo quasi il 10% dei consensi. Il nuovo governo non ottiene la fiducia e finisce la leadership di De Gasperi.

[47] Vignati, Nasce a Gazzada la rivista , 31-46, 39: «Deputato al Parlamento italiano, Lazzati è un dirigente di spicco dell’AC della Lombardia, teorizzatore della nuova responsabilità dei laici d’impronta francese, e ai tempi di Gazzada già più volte in contrasto con Luigi Gedda, presidente dell’AC italiana per il diverso modo d’intendere le strutture e l’operato dell’AC» ed anche per il rapporto con la DC. Per Giuseppe Lazzati¸ cfr. M. Malpensa – A. Parola, Lazzati. Una sentinella nella notte (1909-1986) , Bologna 2005; A. Oberti (a cura di), Giuseppe Lazzati: vivere da laico , Roma 1991.

[48] Vignati, Nasce a Gazzada la rivista , 39: «Don Barsotti è invece un monaco fiorentino che si fa promotore in quegli anni di una nuova teologia del lavoro, sostenen do la necessità di portare il messaggio cristiano nelle attività quotidiane dell’uomo e da qui a sua volta trarne il giusto indirizzo “impregnandolo della storia presente”, appoggiando lo sforzo dei laici di riavvicinarsi in modo più diretto alla Bibbia, rinnovando l’attività ecumenica e celebrando comunitariamente la liturgia». Per Divo Barsotti (1914-2006), cfr.

[49] Albertazzi, Sull’orlo di un duplice abisso, Teologia e spiritualità monastica nei diari di Divo Barsotti , Cinisello Balsamo 2009; S. Tognetti, Divo Barsotti. Il sacerdote, il mistico, il padre, Cinisello Balsamo 2012.49 Così Alberto Lepori, in Vignati, Nasce a Gazzada la rivista , 39.

[50] Ibid. , 40s.

[51] Ibid. , 40.

[52] Si vedano a questo proposito le critiche formulate nei confronti del partito conser vatore democratico, in particolare contro la conduzione di Giuseppe Lepori, in Vignati, Dialoghi del dissenso , 101.

[53] Ibid. , 57s.: l’accurata analisi dell’A.

[54] Si riconoscono sotto la bandiera del cattolicesimo: la Guardia Luigi Rossi, Gioventù cattolica, Lepontia , Lepontia Honoraria , Associazione degli Esploratori Cattolici, Gioven tù Femminile, OCST, Federazione Docenti Ticinesi, Lega Maestre Cattoliche, Lega Uo mini, Unione femminile; cfr. Vignati, Dialoghi del dissenso , 108.

[55] Si allude qui al ruolo di primo piano rivestito da personalità come quella di mons. Alfredo Leber, direttore del Giornale del Popolo e capo dell’AC, di mons. Luigi Del-Pietro, capo dell’OCST, nonché al prestigio del vicario generale mons. Giuseppe Martinoli. Leber e Del-Pietro erano stati chiamati alle rispettive responsabilità da mons. Bacciarini alla metà degli anni ’20, uno all’indomani e l’altro addirittura alla vigilia dell’ordinazione presbiterale quando entrambi avevano poco più di vent’anni.

[56] Vignati, Dialoghi del dissenso , 92s.

[57] Ibid. , 95: sulla ribellione a proposito dell’esclusione delle donne in qualche sezione di Lepontia ed anche sulla nascita del Movimento sociale femminile.

[58] Vignati, Dialoghi del dissenso , 102.

[59] Lurati Mazzali, La parution d’une voix nouvelle , 6s.: la polemica con mons. Leber, che portò all’allontanamento dei rappresentanti di AC, e soprattutto al raffreddamento con mons. Jelmini.

[60] Si veda la minuziosa disamina dei diversi contenziosi, forniti dall’attualità politica ticinese degli anni Cinquanta, da cui emerge questa ambiguità di fondo, in Vignati, Dialoghi del dissenso , 149-197.

[61] Vignati, Nasce a Gazzada la rivista D , 37s.; e Id., Dialoghi del dissenso , 108s: per i vari rinvii nella redazione sul rapporto da presentare al vescovo.

[62] Vignati, Dialoghi del dissenso , 114, n. 5; cfr. anche ibid. , 126: le assicurazioni, tramite don Franco Biffi, che il vescovo non ha sottratto la sua benedizione all’iniziativa (1957).

[63] Ibid. , 84: ricorda che in quegli anni il seminario di Venegono era sotto stretta os servanza vaticana; altrove lo stesso autore parla di Venegono come dell’unica officina teo logica dell’Italia prima del Concilio; sulla scuola di Venegono, cfr. anche Savorana , Vita di don Giussani , 62-81, che presenta le sue figure di rilievo: Giovanni Colombo, Gaetano Corti, Carlo Colombo, Carlo Figini, Enrico Galbiati, Francesco Petazzi.

[64] Vignati, Dialoghi del dissenso , 106-110: le reiterate insistenze soprattutto di don Bruno Zoppi perché i verbali del primo incontro di Gazzada vengano trasmessi a mons. Jelmini, malgrado le serrate critiche all’AC e al Giornale del Popolo , ovvero alla conduzione di mons. Alfredo Leber; ibid. , 109: il divieto a don Maestri e ad altri militanti di AC di frequentare non solo gli incontri di Gazzada, ma addirittura anche i membri del gruppo in Ticino; e ibid. , 114, n. 2: elenco dei convocati all’incontro del 4-7 agosto 1955, vi figura anche quello di don Eugenio Corecco , ma è tra quelli stralciati a penna.

[65] Ibid. , 200: così secondo il giudizio dell’A.

[66] Ovvero piuttosto le opinioni di mons. Alfredo Leber, che governava sia il giornale che l’UPCT.

[67] Ibid.

[68] Lurati Mazzali, La parution d’une voix nouvelle , 8: dal 1957 al 1967, con un fallito tentativo di integrazione nel giornale stesso, voluto dal direttore Romano Broggini tra 1959 e 1961.

[69] Vignati, Dialoghi del dissenso , 57-60; e 149167.

[70] Lurati Mazzali , La parution d’une voix nouvelle , 4.

[71] Vignati, Dialoghi del dissenso , 168-197; più in generale cfr. F. Panzera, Dalle acque della Biaschina alla legge scolastica: i cattolici ticinesi tra agonia culturale, masochismo, ribellismo , in Carte che vivono , Locarno 1997, 279-305.

[72] Panzera, Dalle acque della Biaschina alla legge scolastica , 305.

[73] Vignati, Dialoghi del dissenso , 68: la redazione delle liste delle persone da invitare, malgrado la volontà di mantenere nel gruppo un carattere spontaneo e libero; e cfr. soprat tutto Lurati Mazzali, La parution d’une voix nouvelle , 5, che riporta l’espressione cara alle sue fonti (Alberto Lepori e Geo Solari): amicizia di Gazzada.

[74] Vignati, Dialoghi del dissenso , 108s.

[75] Ibid. , 133-141: i contenuti delle conferenze di don Melzi († 1971), attraverso le quali i giovani del gruppo accostano il pensiero di Jacques Maritain. Questo teologo milanese era assistente delle ACLI, grande esperto del pensiero sociale della Chiesa ed autore di numerose opere dedicate al pensiero politico; per la sua frequentazione degli incontri, cfr. Annexes , in Lurati Mazzali, La parution d’une voix nouvelle : don Celestino Melzi tenne lezioni nel 1956, 1957, 1958, 1960, 1962, 1963, 1965, 1966.

[76] Vignati, Dialoghi del dissenso , 200s.: per un bilancio del contributo di questo prete, che ottenne di seguire l’attività del gruppo anche quando gli altri membri del clero ne erano scoraggiati.

[77] Ibid. , 129132.

[78] Per F. Panzera, Dalle acque della Biaschina alla legge scolastica: i cattolici ticinesi tra agonia culturale, masochismo, ribellismo , in Carte che vivono , Locarno 1997, 279-305 e A. Gandolla (a cura di), Un protagonista della storia ticinese del Novecento. Mons. Luigi Del-Pietro (19061977), Lugano 2006, 65s.: la posizione di Del-Pietro sulla questione dell’AET; ibid. , 6669: le pagine dedicate alla distribuzione dei campi di lavoro voluta da mons. Jelmini tra Leber, Del-Pietro e Cortella; gli accenni alle polemiche all’interno del mondo cattolico ticinese negli anni Cinquanta che vide però tenacemente schierato dalla parte del vescovo, al fianco di Leber e Martinoli, anche Del-Pietro.

[79] Vignati, Dialoghi del dissenso , 142-144; che riferisce della partecipazione a convegni internazionali.

[80] Ibid. , 138141.

[81] Ibid.

[82] Ibid. , 201: il 1959 è anche l’anno in cui cessano di cercare un referente interno alla curia.

[83] Così le parole di Giovanni XXIII riportate in Alberigo, Breve storia del Concilio Vaticano II , 15.

[84] La contrapposizione è molto sottolineata in Alberigo, Breve storia del Concilio Vaticano II , 20-22; ma cfr. anche il più pacato G. Philips, La Chiesa e il suo mistero , Milano 1993, 17-23, e M.-T. Desouches , La costituzione dogmatica Lumen Gentium . Genesi storica e teologica , in P. Chenaux – N. Bauquet (a cura di), Rileggere il Concilio. Storici e teologi a confronto , Roma 2012, 65-85, 70-72.

[85] Alberigo, Breve Storia del Concilio Vaticano II , 20s.

[86] Ibid. , 46: sono aspetti che per l’autore indicano la volontà di fare del Concilio un vero ambito di discussione e non soltanto un luogo dove i Padri accolgono nuove norme predisposte dall’autorità.

[87] HS VI/1, 268: nel 1960.

[88] P. F. Riva, Cronistoria di Lepontia Cantonale dal 1960 al 1985 , in Risveglio 10-11 (1985) 375-392, 377: nel 1960/61 iniziano ad essere a tema, oltre alla storia dei Concili, il Mezzogiorno d’Italia ed i paesi in via di sviluppo; ibid. , 380: nel 1962/63 il Concilio Vaticano II e i rapporti tra parroco e parrocchiani fuori della Chiesa.

[89] Ibid. , 376: la partecipazione agli esercizi si riduce a «qualche leponto » nel 1959; ibid. , 377: nel 1960 agli esercizi predicati da P. Bonato sj partecipano 25 tra universitari e ginnasiali; ibid. , 378: l’anno seguente sono solo 11, e la cosa fa discutere; ibid. , 380: l’anno seguente il cronista parla di «pochissimi»; ibid. , 381: neppure nel 1963 sono indicati dei numeri, solo annota che i corsi di esercizi sono due, uno per gli universitari e l’altro per i liceali.

[90] Archivio della Lepontia , Scat. II. 2.5, nr. 1: lettera del 16 gennaio 1963: lo scrivente spera che Eugenio Corecco sia ormai rientrato in Svizzera ed «in gloria», ovvero felicemen te laureato; cfr. anche Riva, Cronistoria di Lepontia Cantonale dal 1960 al 1985 , 375-392, 380: si accenna alle preoccupazioni del Fontana, senza menzionare questa iniziativa.

[91] Lurati Mazzali, La parution d’une voix nouvelle , Annexes : elenco dei partecipanti.

[92] Fernando Lepori, presidente di Lepontia nell’anno accademico 1963/64, nel suo rapporto presidenziale parla di Lepontia come di un movimento, cfr. Archivio della Lepontia , Scat. VIII. 2, nr. 2/2.

[93] Ibid.

[94] Riva, Cronistoria di Lepontia Cantonale dal 1960 al 1985 , 375-392, 381.

[95] Cfr. l’articolo a firma em in Corriere del Ticino, 11 maggio 1964, 2: Che cos’è, cosa vuole, a che tende il movimento studentesco cattolico .

[96] Alberigo, Breve storia del Concilio Vaticano II , 49s.: ricorda l’iniziativa di Paul Gau thier , già prete operaio, membro di un gruppo informale di padri – per lo più francofoni – particolarmente sensibili al problema della povertà che chiese la collaborazione del cardinale (autunno 1962); un anno dopo sarebbe stato lo stesso Paolo VI a sollecitare Lercaro su questo tema; il cardinale coinvolse Giuseppe Dossetti, suo teologo di fiducia, dando così l’avvio all’ininterrotto fiancheggiamento da parte dell’«officina bolognese» dei lavori conciliari; ibid. , 54: l’intervento del cardinale nel dicembre del 1962 contribuì notevolmente rimettere in discussione lo schema sulla Chiesa presentato dalla commissione, giudicato da molti trionfalista ed inadeguato ai tempi.

[97] Né partito né Azione Cattolica la società studentesca “ Lepontia ” , in Corriere del Ticino, 12 maggio 1964, 2.

[98] Vignati, Dialoghi del dissenso , 14: elenca, oltre a Testimonianze, altri periodici con cui il gruppo dei Dialoghi si confronta: Questitalia , Il Gallo, e più tardi anche Il Regno, La Rocca e Il Tetto; per l’influsso e la collaborazione con i teologi poi definiti del dissenso, cfr. anche Lurati Mazzali, La parution d’une voix nouvelle , 8 e 18s.; cfr. anche Annexes : Ernesto Balducci terrà le conferenze nelle giornate estive del 1971 e 1972.

[99] Cronologia, in Archivio della Lepontia , Scat. I. 1/12; e Riva, Cronistoria di Lepontia Cantonale dal 1960 al 1985 , 375-392, 381.

[100] Ibid.

[101] Archivio della Lepontia , Scat. I. 1/12: Cronologia.

[102] Il testo è pubblicato in Popolo e Libertà, 1° settembre 1964, 1 e 3; e in Giornale del Popolo, 1° settembre 1964, 2.

[103] Un grande segnale di novità è il fatto che Fernando Lepori, presidente nell’anno accademico 1963-1964, nel suo rapporto presidenziale parli di Lepontia come di un movi mento, cfr. Archivio della Lepontia , Scat. VIII. 2, nr. 2/2.

[104] Archivio della Lepontia , Scat. I. 1/12: Cronologia: 3 agosto 1964, lettera di mons. Jelmini a Waldo Riva¸ cfr. anche ACorecco Lugano, Scat. 8, nr. 15: lettera di nomina di mons. Angelo Jelmini, 27 agosto 1964; anche in AVescLugano , Fondo Vescovi, Mr. Corecco ; e Riva, Cronistoria di Lepontia Cantonale dal 1960 al 1985 , 375-392, 382.

[105] ACorecco Lugano, Scat. 8, nr. 17: 4 dicembre 1964, lettera di Corecco a Mörsdorf , in cui giustifica la lentezza con cui procede la pubblicazione del dottorato.

[106] ACorecco Lugano, Scat. 8, nr. 14a: 7 aprile 1964, lettera di Corecco a mons. Jelmini, con copia al rettore del seminario diocesano mons. Gabelli, con la quale informa sull’attività della conferenza, che trova molto interessante e proprio per questo sollecita il vescovo a designare un delegato che abbia una responsabilità nel seminario.

[107] Così nella lettera a Mörsdorf del 4 dicembre 1964, ed anche questo impegno spiega il ritardo nella pubblicazione del dottorato.

[108] E. Corecco , La formazione della Chiesa cattolica negli Stati Uniti d’America attraverso l’attività sinodale. Con particolare riguardo al problema dell’amministrazione dei beni ecclesiastici (Pubblicazioni del Pontificio Seminario Lombardo in Roma. Ricerche di Scienze Teologiche 7), Brescia 1970.

[109] Cfr. in ACorecco Lugano, Scat. 8, nr. 15: 1° luglio 1964, una lettera a mons. Jel mini, in cui gli sottopone alcune proposte per una migliore sistemazione di don Croce e ad alcune perplessità che gli sono state riferite circa l’amministrazione del Collegio Papio di Ascona. Don Croce deve aver avuto un litigio con Signorelli: Corecco ricorda al vescovo che ora Signorelli non è più a Lugano e quindi si può pensare di chiamarvi Croce, offrendogli un canonicato presso S. Lorenzo ed impegnandolo nel rinnovamento liturgico. Questa raccomandazione prenderà più tardi un valore molto particolare.

[110] Cfr. Popolo e Libertà, 31 agosto 1964, 1 e 3: A Caslano il convegno estivo di Lepontia cantonale .

[111] Archivio della Lepontia , Scat. I 1/12: Cronologia, 28 agosto 1964, lettera di Corecco a Waldo Riva.

[112] Per la biografia, cfr. Savorana , Vita di don Giussani .

[113] Testimonianza di Tina Salvadè , Massagno (3 novembre 2018); per questa intervista voluta da Annibale Del Mare, giornalista e padre di una ragazza che frequentava GS, cfr. Savorana , Vita di don Giussani , 295-297.

[114] Intervista ad Alberto Lepori, Massagno (dicembre 2012); cfr. anche Vignati, Dialoghi del dissenso , 188, che cita nell’estate del 1957 un conferenziere proveniente da Venegono , A. (sic) Giussani; Lurati Mazzali, La parution d’une voix nouvelle , Annexes : 14-17 agosto 1957: due meditazioni con don Giussani.

[115] Cfr. M. Busani, Gioventù Studentesca. Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzio ne alla contestazione , Roma 2016, 59-71.

[116] Ibid. , 87: l’invito montiniano ai giovani nel 1955 affinché si mettessero alla ricerca di nuovi metodi d’apostolato, e ibid. , 92s.: la lettera pastorale nella Quaresima del 1957 dal titolo Sul senso religioso .

[117] Sul chiarimento che Giussani fa del concetto di esperienza, cfr. Savorana , Vita di don Giussani , 300-302.

[118] Così scrive una giessina luganese di seconda Liceo – E. V. – ad un’amica il 4 settembre 1966 (autografo presso Giulia Ferroni, Massagno).

[119] Cfr. su questo Busani, Gioventù Studentesca , 378-380; per la divergenza dell’ impo stazione di Giussani da quella di Lazzati fin dagli anni Cinquanta, cfr. ibid. , 85.

[121] Scola (  1941), prete nel 1970, direttore di ISTRA (Istituto per gli studi per la transizione) dal 1972 al 1976, inizia l’insegnamento accademico all’Università di Fribur go e dal 1982 è professore all’Università Lateranense. Vescovo di Grosseto nel 1991, nel 1995 è nominato rettore dell’Università Lateranense e dell’Istituto Giovanni Paolo II per la famiglia; dal 2002 è patriarca di Venezia e dal 2011 arcivescovo di Milano, fino al 2017, quando si dimette per raggiunti limiti di età.121 A. Scola, E il Papa lo chiamava “vescovo teenager” , in Siate forti nella fede , 379-392, 379s., e cfr. anche l’intervista di concessa a Nathalie Frieden (Milano, novembre 2014), dove ricorda come alcuni fossero infastiditi da queste domande insistenti, espressione ai loro occhi di obiezioni ottuse, ma Corecco voleva esser persuaso e non badava a queste reazioni.

[122] Cfr. di nuovo la testimonianza di Scola, E il Papa lo chiamava “vescovo teenager” , 379s.: «Gli anni Sessanta sono stati per lui decisivi. Furono il tempo dell’appassionato coin volgimento con il mondo studentesco ticinese. Vi percepì la necessità di ripensare radicalmente la proposta cristiana, che veniva abitualmente fatta ai giovani. Bisognava spalancarli ad una libertà sostanziale, aprendoli al desiderio di pienezza che è costitutivo dell’animo dell’uomo, testimoniando loro, con la propria vita, la convenienza suprema della sequela di Cristo. In lui fu sempre acuto il bisogno di colmare lo iato tra la fede e la vita, che già caratterizzava il cristianesimo dopo la guerra, anche se esigeva una capacità critica del tutto particolare per essere colto».

[123] Riva, Cronistoria di Lepontia Cantonale dal 1960 al 1985 , 375-392, 382-385: nel 1966 saranno 40 gli universitari radunati a La Roche; l’anno seguente 50. Nel 1966 Giussani predicò anche al Generoso per la prima volta per i liceali e l’anno seguente ad Agno, quando lo ascoltarono in 70.

[124] Ibid. , 385.

[125] Savorana , Vita di don Giussani , 1326: rimane negli USA durante i mesi estivi ed al rientro lascia la guida di GS; e soprattutto ibid. , 324-326: per le circostanze.

1.1.  Il progetto di assistenza agli studenti

In quella stessa primavera del 1965, Eugenio Corecco preparava il suo rientro in Ticino dove lo attendeva l’insegnamento del diritto nel seminario di S. Carlo, la nomina a vice-officiale del tribunale diocesano ed il proseguimento di quella che era divenuta la sua preoccupazione più pressante ed entusiasmante: l’assistenza religiosa degli studenti. Sebbene il suo ruolo ufficiale fosse confinato agli iscritti alle società cattoliche, Corecco sapeva di essere portatore di una proposta che era per tutti e tutti desiderava raggiungere[126]..Per questo, dovendo provvedere ad un alloggio, ventilava al vescovo la possibilità di assumere la direzione della Casa dello Studente di Lugano, appartenente ai Gesuiti, qualora l’Ordine avesse deciso di cederla alla diocesi. Di questo passaggio si parlava da tempo, anche se i responsabili della Compagnia di Gesù nulla ancora avevano deciso. Tale progetto era per Corecco l’occasione per ribadire il profondo convincimento, che la Chiesa luganese dovesse investire maggiormente nell’assistenza degli studenti, chiamandovi un prete con un impiego a tempo pieno e in una condizione ottimale di lavoro. Don Eugenio motivava la sua richiesta con un’articolata analisi della situazione, che egli esponeva al vescovo a titolo confidenziale. Lepontia, con la sua origine politica nettamente connotata, raggiungeva ormai solo una piccola percentuale di studenti. La maggior parte dei giovani non godeva dunque di alcuna assistenza ed una buona parte di loro era iscritta a Goliardia, che pur professandosi apartitica era sempre più dominata dalle correnti laiciste e marxiste. Al di là del discorso numerico, Lepontia era in crisi, «vale a dire in cerca di nuove strutture […] I giovani non credono più negli ideali tradizionali e agli “slogans” di intonazione più liberale che cristiana: Patria, civismo, politica, virtus, scientia, amicitia[127]. Si è fatta strada perciò l’idea di spoliticizzare l’ambiente, di rafforzarlo culturalmente e di interiorizzare la formazione religiosa. L’ordine del giorno, pubblicato l’anno scorso dall’Assemblea estiva di Caslano, riflette questa impostazione […] e qui nascono le difficoltà, perché ci si accorge di come Lepontia come struttura para-politica, sia istituzionalmente uno strumento inadeguato per un vero lavoro di formazione religiosa. La prima difficoltà proviene dal fatto che malgrado tutto una fortissima minoranza degli studenti si iscrive ancora in Lepontia per tradizione politica o familiare o per mancanza di altra alternativa, in ogni caso senza fare una vera scelta di carattere religioso. La conseguenza pratica è che la formazione religiosa è compromessa in parte dalla presenza a parità di diritto di questa minoranza che si lascia trascinare con molta lentezza. […] Una seconda difficoltà proviene a mio avviso dall’impostazione tradizionale della formazione religiosa tra gli studenti centrata, e questo non solo nel Ticino ben inteso, sulla formula dell’“intellettuale cattolico”, dove l’accento è messo sul carattere intellettuale a scapito di quello religioso, più globale ma anche più compromettente. La ricerca culturale può diventare un facile alibi ad una formazione religiosa organica. E poiché intellettuale si nasce e non si diventa e solo una minoranza anche tra gli studenti ha delle esigenze e degli interessi tipicamente intellettuali, nasce il disagio. […] D’altra parte un cambiamento radicale di strutture e d’impostazione, pur auspicabile che sia, non è probabile fintanto che Lepontia attiva resta condizionata dalla SStV (Schweizerischesstudentenverband, sigla tedesca della SSS) e da Lepontia Honoraria. Quest’ultima logicamente dovrebbe offrire ai giovani la possibilità di continuare e concretizzare il lavoro di formazione antecedente. In realtà smorza ogni velleità ed è perciò controproducente. Si sta tentando di rianimarla ma ho l’impressione che sia impresa ardua»[128]. Eugenio Corecco esaminava anche la situazione di Gaunia ed Adelfia, società che si proponevano agli studenti delle superiori (rispettivamente a quelli del Liceo cantonale a Lugano e a quelli della Scuola cantonale di commercio a Bellinzona), osservando che anticipavano la scelta pre-politica ad un’età davvero inopportuna[129]. Un altro punto dolente era costituito dalla diffusa chiusura verso le studentesse, malgrado il loro numero crescente ed il benefico influsso che la loro presenza esercitava nelle sezioni dove erano accolte[130]. Per Corecco era necessario che l’assistente ecclesiastico potesse incontrare gli studenti quando erano ancora al Liceo, in modo da avere l’opportunità di costruire con loro un vero rapporto di conoscenza e di stima e, possibilmente, influire sulla loro mentalità in un’età in cui erano ancora malleabili. Questo scopo si poteva raggiungere affidando all’assistente alcune ore di religione al Liceo, sarebbe stata per lui anche l’occasione di far compagnia a qualche giovane insegnante già conosciuto nell’ambito universitario ed esercitare un certo controllo sull’ambiente scolastico e sull’impostazione ideologica data a certe materie[131]. Da ultimo Corecco tornava sul progetto dell’ARUSI, che egli caldeggiava. La riuscita di questa iniziativa avrebbe privato Lepontia di parte del suo scopo (lo stesso valeva per la Goliardia) ed avrebbe costretto gli studenti cattolici ad un dialogo ed ad un confronto più serrato e più personale con i compagni di altre ideologie ed in questo sarebbe emersa tutta la loro inconsistenza ed impreparazione: «Se affermo che una netta maggioranza […] arriva all’Università senza una vera formazione religiosa, in un atteggiamento agnostico, relativista e qualunquista, che i migliori forse sono inclini al sinistrismo trovando in esso il miglior surrogato ad un impegno religioso, credo fermamente di non dare giudizi affrettati»[132]. Corecco si rendeva dunque disponibile per questo compito urgente, pur riconoscendo di non avere una specifica preparazione[133]. Nessun accenno a don Giussani ed all’impatto che questi iniziava ad avere sulla realtà di Lepontia: eppure era proprio l’esperienza di GS il metro di valutazione che Corecco usava[134]. Si trova conferma di questa filiazione nella lettera che, nel mese di luglio, Alberto Lepori, convinto leponto, anima del gruppo della Gazzada e allora direttore di Popolo e Libertà, indirizzava a Corecco. Facendo riferimento all’«ampio memoriale»[135] sulla Lepontia, in una «lettera, che voleva essere breve ed è riuscita soltanto ad essere molto disordinata»[136], egli dissentiva dai giudizi di Corecco. Sebbene fosse persuaso che in generale la cura degli studenti spettasse ai parroci, Lepori non aveva obiezioni di principio alla figura di un Assistente generale degli studenti, ma riteneva che Lepontia, così come era, avesse un ruolo fondamentale da svolgere nella formazione dell’intellettuale cattolico; personalmente non sarebbe stato disponibile all’adozione di un metodo educativo simile a quello di GS, ovvero al metodo di Giussani. Chiudendo il suo scritto, Alberto Lepori chiedeva con molta franchezza a Corecco come potesse conciliare la sfiducia nei confronti di Lepontia con il suo compito di assistente ecclesiastico. Emerge da questa corrispondenza una frattura che andrà palesandosi sempre di più, rivelando la fragilità dello spirito unitario espresso nel documento di Caslano, forse perché si era fondato più su di un comune disagio che sulla condivisione di una possibile via d’uscita; di fatto si profileranno non solo vie diverse ma addirittura conflittuali.

Nel mese di settembre, Giuseppe Martinoli, vicario generale di mons. Jelmini nonché vice-officiale del tribunale, con una cordiale lettera[137] forniva a Corecco le indicazioni perché potesse assumere l’insegnamento del diritto in seminario ed in una nota scritta a mano nel margine faceva riferimento alle ore di catechismo al Liceo, che mons. Jelmini gli aveva dovuto negare. Il prete che da anni vi teneva i corsi di religione non poteva essere rimosso ed i suoi compiti non potevano essere né diminuiti né aumentati, la Casa dello Studente rimaneva affidata ai Gesuiti, che non avevano però possibilità di ridarle slancio. Jelmini aveva offerto le ore di religione nella V Ginnasio di allora, ovvero nell’anno che precedeva la possibile scelta liceale, ma Corecco le aveva rifiutate: solo una piccola parte di quei ragazzi avrebbe in seguito intrapreso gli studi liceali che portavano all’Università e nell’arco del triennio delle superiori qualunque rapporto avviato in precedenza si sarebbe perso. Non era sua intenzione disperdere le forze in molteplici impegni dalla dubbia efficacia[138]. Egli rimaneva dunque l’assistente di Lepontia, assumeva la carica di vice-officiale del tribunale[139] ed iniziava l’insegnamento del diritto nel seminario, rafforzando l’ala giovane del corpo docente, formata da don Oliviero Bernasconi (* 1930), docente di teologia morale[140], don Franco Biffi (1926-2005)[141], con i quali già si era ritrovato nell’ambito di Lepontia e del gruppo della Gazzada, don Bruno Molinari (* 1927)[142] e don Sandro Vitalini (1935-2020)[143]. Erano parte di un dinamico gruppo di sacerdoti innovatori, attenti alle nuove istanze e pieni di attesa nei confronti delle riforme conciliari.

1.2.  L’insegnamento in seminario e la riforma dell’istituto

Il seminario, in cui Corecco iniziava l’attività nell’autunno del 1965, era da tempo in via di trasformazione e confrontato con gravi problemi. Almeno dal 1955 l’ordinamento degli studi era considerato bisognoso di riforma e si parlava della necessità di istituire un prefetto che assicurasse un miglior coordinamento tra le materie e garantisse l’adeguato livello di insegnamento[144]. Nel 1957[145], mons. Aurelio Gabelli (1900-1974)[146] era subentrato come rettore a Martino Signorelli, che conservava l’insegnamento di dogmatica in Teologia. Quello stesso anno si inaugurava il Collegio Pio XII a Lucino/Breganzona, nuova sede del seminario minore, e si realizzava quella separazione tra alunni grandi e piccoli già auspicata ai tempi del chierico Corecco. Nuovi sacerdoti, più o meno giovani[147], affiancavano i più anziani come Giuseppe Martinoli (1903-1994)[148] e Alfredo Leber (19021983), senza che l’organizzazione della scuola cambiasse: al livello liceale, la trattazione delle materie di cultura generale e delle lingue era garantita in buona parte dagli stessi docenti del corso teologico. Il rettore, mons. Gabelli, titolare della storia ecclesiastica in Teologia, assicurava l’insegnamento dell’italiano al liceo; a Ulisse Masciorini era affidato l’insegnamento dell’apologetica in Teologia e quello di filosofia, storia della filosofia e latino al livello inferiore; don Franco Biffi teneva la cattedra di sociologia in Teologia e al liceo insegnava francese, mentre don Pio Joerg, incaricato di Sacra Scrittura e patrologia in Teologia, vi insegnava greco e tedesco; solo don Aldo Toroni (1916-2008)[149] (chimica e storia naturale) e don Alfredo Poncini (matematica e fisica) disponevano di una preparazione specifica nelle materie insegnate[150]. Dal 1958 si parlava dell’introduzione di un IV anno a livello liceale, propedeutico alla Teologia, come era postulato dalla Congregazione dei seminari e suggerito dalla conferenza dei professori del settembre 1957; quello stesso anno don Franco Biffi era nominato prefetto degli studi e si metteva a tema la necessità che i seminaristi acquisisse ro la Maturità[151]. Promotore di quest’ultima richiesta era stato soprattutto don Alfredo Poncini[152], mentre altri – Giuseppe Martinoli ad esempio – non solo non ritenevano questo titolo una condizione indispensabile per il sacerdozio, ma temevano che provocasse un’indebita selezione delle già scarse vocazioni[153]. Mons. Jelmini, dal canto suo, voleva che i chierici, che erano in grado di acquisire l’attestato, fossero facilitati ad ottenerlo[154]. All’inizio degli anni ’60 sia i contenuti del IV anno sia l’acquisizione della Maturità continuavano ad essere temi d’attualità. Anche i Padri conciliari ne avevano parlato e le loro riflessioni erano confluite nel decreto Optatam totius del 28 ottobre 1965[155]; mentre la Conferenza svizzera dei prefetti degli studi si era espressa a favore dell’acquisizione di un attestato, che nella Svizzera interna era già obbligatorio per accedere alla teologia[156].Frattanto a Lugano si confermava un calo preoccupante delle vocazioni locali. Se nel 1959-60 si contavano ancora 31 seminaristi, di cui 15 di Teologia e 16 liceisti[157], in seguito queste cifre rimasero stabili solo per il fatto che il seminario accoglieva un numero crescente di giovani o rinviati da diocesi italiane o provenienti da diocesi dell’America Latina, oltre alle vocazioni dei Francescani e dei Cappuccini[158]. In realtà i giovani ticinesi di età liceale che si preparavano al sacerdozio erano pochissimi e chiedevano con insistenza, sostenuti in questo dalle loro famiglie, di potersi preparare all’esame di maturità[159].

Sul tema permanevano le divergenze emerse fin dall’inizio: normale livello richiesto a chi desiderava farsi prete per alcuni; per altri: un’ambizione non alla portata di tutti, che avrebbe privato la diocesi di buone leve non troppo portate per gli studi, mentre il Ticino aveva bisogno di preti semplici e un sacerdote con vasti studi non si sarebbe accontentato di una piccola parrocchia in una valle[160]. Ma era questa una posizione assai lontana sia dalle direttive conciliari sia dagli auspici dei chierici e delle loro famiglie. Ancora più profonda era però la divergenza tra chi riteneva che il compito educativo del seminario fosse quello di preservare le vocazioni da dubbi ed esitazioni, custodendole in un ambiente chiuso e protetto, con pochi contatti con l’esterno, inclusi quelli con la famiglia d’origine[161] e chi invece

insisteva sulla necessità della verifica[162].

Quasi tutte le diocesi dell’Europa occidentale erano confrontate con questo tipo di problemi, ma nella situazione luganese, sopra ogni cosa, finì per campeggiare la questione dei numeri. Di fatto, complici forse le precarie condizioni di salute di mons. Jelmini[163], l’affronto della riforma della formazione dei preti e del reperimento di nuove leve sacerdotali venne sempre rinviato, mentre le vocazioni locali continuavano a diminuire costantemente e rapidamente[164].

Quando Corecco iniziava il suo insegnamento, che la maturità dovesse far parte della formazione normale dei sacerdoti, fatte salve le eccezioni valutate caso per caso, era giudizio condiviso dalla maggioranza e la discussione si era trasferita sulla modalità da seguire per portare al diploma i seminaristi, il cui numero era così esiguo da rendere praticamente improponibile l’opzione di tenere aperta una scuola solo per loro[165]. Di fatto solo il rettore Gabelli era di questo avviso, perché sperava che la crisi delle vocazioni fosse passeggera. Una possibilità era mandare il gruppetto di chierici al Liceo Papio di Ascona, collegio cattolico gestito dalla diocesi, dove avrebbe formato una piccola comunità a se stante; oppure si poteva optare per la frequenza al Liceo cantonale, mantenendo il seminario di Besso come convitto. Nel frattempo uno studente era passato al Papio ed altri due iniziavano la frequenza al liceo cantonale. Sarà questa ultima soluzione ad essere adottata, perché l’esperienza con il Papio non si rivelò positiva[166]. Ma anche gli studenti di Teologia erano assai pochi ed anche per essi, sebbene in modo più rapido, si sarebbe provveduto trasferendo la comunità a Friburgo: frequenza della locale facoltà di teologia (che offriva una via B per chi non aveva conseguito la maturità) e vita comunitaria al Salesianum, sotto la responsabilità di don Sandro Vitalini, subentrato a Martino Signorelli sulla cattedra di dogmatica nell’anno scolastico 1962/63[167].

Nel dibattito approfondito ed appassionato che animò la diocesi ed il seminario negli anni 1965-1966, quando si maturavano queste importanti decisioni, anche a Eugenio Corecco fu richiesto un parere, che egli non mancò di fornire con competenza, senza circonlocuzioni e senza incoraggiare facili speranze: la questione della formazione dei preti era stata troppo rimandata ed adesso bisognava trovare una soluzione d’emergenza. Il raggiungimento della maturità doveva essere l’obiettivo normale per chi si preparava al sacerdozio e la frequenza di una scuola pubblica la condizione più normale in cui la vocazione poteva essere verificata (semplicemente anticipando la prova del servizio militare[168]). Per lo stesso motivo, egli raccomandava che i ragazzi mantenessero maggiori contatti con la famiglia. Il significato dell’attuale condizione, percepita come di necessità, poteva essere ribaltato e la frequenza di una scuola pubblica diventare un’occasione preziosa di apostolato. Né l’educazione dei seminaristi né il reperimento di nuove vocazioni potevano essere disgiunti da una assistenza religiosa degli studenti più incisiva: se la fede non tornava ad essere proposta come una vita, ed una vita pienamente umana, la crisi delle vocazioni non si sarebbe risolta. Su questo punto, il suo giudizio era sempre stato chiaro ed ora si saldava con l’esperienza concreta che egli andava facendo con gli studenti[169].

1.3.  Gli studenti della Gaunia

Se Corecco non aveva ottenuto né le ore di catechismo al Liceo né uno statuto qualunque presso la Casa dello Studente, non per questo egli aveva rinunciato ad utilizzare le opportunità che la carica di assistente di Lepontia e delle società ad essa affiliate, gli offriva e, nell’aprile del 1966, aveva invitato don Giussani a predicare un ritiro spirituale per i liceali al Monte Generoso, ufficialmente destinato agli studenti della Gaunia, ma in realtà proposto a tutti perché, approfittando dello statuto di ufficialità dell’associazione, per l’invito era stato utilizzato l’indirizzario della scuola[170]. L’esito fu che al Liceo di Lugano iniziò una comunità stabile di studenti, estremamente presente e missionaria nell’istituto. I ragazzi si ritrovavano quotidianamente per pregare e studiare insieme; ogni settimana tenevano un raggio

ed un gesto di caritativa, ma soprattutto questi studenti facevano della fede il centro della loro vita ed il loro interesse supremo. Alla nuova comunità partecipavano giovani che non avevano nulla a che fare con Gaunia o Lepontia, ma non c’era nessuna intenzione di convogliare i nuovi venuti verso una struttura associativa formale. «Tante volte vi siete posti la domanda. Cosa sono le società studentesche? Sono società come le altre. Con un presidente, un comitato, un segretario e naturalmente un certo numero di membri ma tutti studenti. Hanno come scopo quello di aiutare gli studenti rendendoli coscienti delle loro responsabilità verso la scuola, verso i compagni e tutta la comunità degli uomini, cercano di approfondire l’amicizia reciproca […] gaunia ha in comune con il Circolo [l’altra associazione ufficiale presente al Liceo di Lugano] questo indirizzo generale. A differenza del Circolo però si qualifica come società di studenti cattolici. Non intende perciò scendere in concorrenza con esso e neppure ergersi a contrapposto, ma semplicemente offrire a tutti gli studenti del Liceo (ed eventualmente di altre scuole parallele), che sentono una esigenza religiosa autentica anche se magari solo embrionale, la possibilità di chiarirla e farla emergere verso una maturazione personale. Il Cristianesimo è un richiamo che tende assolutamente verso tutti. Perciò anche Gaunia vuole essere aperta a tutti. Più che una associazione (che per il momento conserva ancora degli statuti e relativi obblighi) tende ad essere un movimento nel quale può inserirsi anche chi non intende (subito o mai) prendere la tessera o preferisce prendere quella di un’altra società. Si propone di creare una comunità cristiana d’ambiente, cioè un nucleo di studenti che nell’ambito liceale sono pronti a sacrificare tutto o anche solo in parte (a seconda della propria disponibilità interiore ed esteriore) il proprio tempo libero per chiarire la loro esigenza religiosa. Chiarirla però non per conto proprio, individualisticamente, ma assieme agli altri, creando uno scambio reciproco di esperienze e di riflessioni in un dialogo comunitario, nella consapevolezza che la testimonianza cristiana ha un valore decisivo solo se fatta in comune: “se vi amerete gli uni gli altri il mondo conoscerà che siete miei discepoli” (Giov. 13, 35). Perciò l’attività comune ad ogni società studentesca assume in Gaunia il significato specifico della ricerca religiosa. Qualsiasi gesto (qualsiasi “fare”) ha un significato ultimo che è quello che si pone al livello religioso: dallo studio al divertimento alla preghiera, allo stare insieme. Ci proponiamo così di scoprire l’ultima dimensione, cioè quella religiosa, di ogni nostro “fare”. […] Se vuoi renderti conto del significato esatto di quello che vogliamo fare e del come vogliamo farlo vieni a vedere alle nostre riunioni. […] delle eventuali iscrizioni ne parleremo solo dopo il ritiro spirituale che organizzeremo dal 29 ottobre al 1° novembre»[171]. Così si presentava la Gaunia nel 1966 con un volantino affisso nelle bacheche del Liceo e firmato dal presidente e dall’assistente Corecco, a fianco il programma delle attività: preghiera in comune, revisione culturale, iniziative missionarie e caritative, programma ricreativo, inteso non come calendario di appuntamenti già fissati (ad eccezione del ritiro spirituale), ma come campo delle proposte da concretizzare insieme[172]. Emergono con chiarezza i cardini dell’insegnamento di don Giussani: cultura, carità e missione[173].

Le relazioni sull’attività sociale di Lepontia cantonale o attiva e di tutte le sue sezioni negli anni 1965 e 1966 danno atto della vivacità della nuova esperienza, che sembra accolta cordialmente dai giovani. Ben lungi dal preoccuparsi per l’abbandono delle vecchie forme, anche il presidente cantonale Fulvio Caccia sembrava apprezzare il nuovo carattere spontaneo ed informale[174]. Il cambiamento in atto metteva però ulteriormente in dubbio l’opportunità di rimanere affiliati alla SSS, sempre più estranea e ligia a tradizioni e riti, da cui i Leponti desideravano affrancarsi anche, e di nuovo, in nome del concetto di «Chiesa povera». La staticità delle sezioni tradizionaliste della SSS era letta come resistenza, tanto all’assunzione delle nuove responsabilità che il Concilio affidava ai laici quanto alla democratizzazione degli studi che era in atto, in altre parole come mancanza di impegno sia sul fronte ecclesiale sia su quello politico.

D’altra parte il progetto di costituire una società generale degli studenti ticinesi (ARUSI) faceva passi avanti, sempre calorosamente caldeggiato da Corecco e dai giovani Leponti, che propendevano ormai per la sua accettazione e per l’uscita dalla SSS[175]. Ambedue le scelte trovavano la Honoraria maldisposta: perplessa a proposito dell’ARUSI, perché avrebbe costretto Lepontia a rinunciare ad una posizione politica autonoma, e decisamente contraria all’abbandono della SSS. Ambedue questi passi avrebbero indebolito il fronte degli studenti che ancora portavano il distintivo delle associazioni cattoliche. Per di più, le nuove forme di apostolato, ed in particolare la promiscuità tra i sessi, suscitavano sconcerto per non dire scandalo negli ambienti cattolici più tradizionalisti, dove si nutriva molta diffidenza nei confronti di un assistente spirituale ritenuto troppo disinvolto e dove non mancava chi faceva parte del suo malcontento al vescovo[176].

Giussani predicò comunque il ritiro per gli universitari a Montbarry sia nel 1966 sia nel 1967[177]. Nelle sedi universitarie, la più intensa vita comunitaria e di preghiera di alcuni (segnatamente a Zurigo, nell’appartamento di via Hirschengraben 66) aveva portato ad una spaccatura nell’ambito delle sezioni della società[178], circostanza destinata a creare difficoltà tanto più che il percorso di coloro che erano disposti a seguire il nuovo corso non era chiaro. Lo documenta una delle lettere circolari[179] che servivano da strumento di informazione reciproca sulle esperienze nate dal comune incontro. Nell’aprile 1967, riferendo di una tre giorni a Molare sopra Carì per studenti di Zurigo, Friburgo e Berna ed alcuni del centro Charles Péguy di Milano, il giovane docente autore della lettera affermava che a dominare la vita dei gruppi svizzeri era il disagio, attribuito alla mancanza di un impegno comune, difficile da individuare visti i ritmi di studio e l’ampiezza dell’offerta costituita da numerose associazioni, «tutte buone tutte utili», con le quali si sarebbe potuto collaborare. Un grosso problema era costituito dagli amici, che non avendo accolto la proposta, erano «fuori dal gruppo». Costoro, insieme alla frattura all’interno di Lepontia,

ponevano una grande domanda: era opportuno isolarsi dagli altri studenti ticinesi? Difficoltà di rapporto imperversavano anche all’interno dei gruppi. Lo scrivente trovava molto necessaria questa analisi «spietata» per poter ritornare allo spirito che «agli inizi ci univa». La lettera concludeva riferendo della decisione di impegnarsi in una caritativa, che per i due studenti di Berna significava continuare l’impegno nella San Vincenzo (Viko), per gli studenti di Zurigo riprendere i contatti con la Missione Cattolica Italiana e per quelli di Friburgo scendere in Basseville[180] e, attraverso la Viko, aiutare qualche famiglia o organizzare un dopo-scuola. Il malessere però sarebbe durato, come attestano documenti successivi, che testimoniano però anche dell’unità vissuta tra gli studenti universitari e liceali, più determinati a far proprio il cammino indicato da don Giussani[181].

1.4.  Le difficoltà di don Corecco: il Consiglio del Clero ed il Consiglio pastorale

Nel 1966 sarebbe emerso in tutta la sua gravità non solo il dissenso all’interno della Lepontia, ma anche il disagio di Corecco nei confronti dell’ambiente diocesano. Nel dicembre del 1965 con una lettera, ideata insieme a don Bruno Molinari e sottoscritta anche da altri sacerdoti, egli aveva applaudito all’intenzione di mons. Jelmini di costituire, in ossequio alle indicazioni conciliari, un Consiglio del Clero ed un Consiglio Pastorale. A proposito del primo, lo scritto forniva non pochi e non vaghi suggerimenti sui compiti, che tale organismo avrebbe potuto assumere, e sul modo di procedere nella scelta (o meglio nell’elezione da parte del clero) dei membri[182].

In questi ambiti istituzionali, anche per la sua formazione, Eugenio Corecco era il quasi naturale punto di riferimento del clero giovane, che si aspettava grandi cambiamenti dall’introduzione in diocesi di strutture partecipative, alle quali sarebbe stato affidato il compito di collaborare al rinnovamento di tanti aspetti della vita della Chiesa, primi fra tutti quelli relativi alla formazione del clero, all’organizzazione del seminario ed al reperimento di nuove vocazioni al sacerdozio. Ma nel mese di maggio 1966, Corecco si ritrovò escluso dalla commissione di studio per la costituzione dei consigli diocesani. La decisione risultava talmente paradossale che il segretario della commissione, don Franco Biffi, nel corso della prima riunione, sollecitò la facoltà di fare ricorso ad esperti esterni, facendo esplicitamente il nome di Eugenio Corecco[183]. L’interessato ne scriveva al vescovo[184]: egli rifiutava quello che gli sembrava un sotterfugio[185] e si soffermava dolorosamente non sulla decisione in sé, ma sui motivi che l’avevano generata. Era stato fatto segno di accuse gravissime, cui lo stesso vicario generale (Giuseppe Martinoli) sembrava dare credito. Siccome durante una vacanza studentesca di sci a Rueras (GR) non aveva celebrato ogni giorno, lo si accusava di «non credere più all’Eucarestia»; in generale le sue idee erano giudicate troppo avanzate. Con la franchezza solita, Corecco invitava l’Ordinario a riflettere sull’effettivo valore della celebrazione quotidiana dell’Eucarestia, alla luce anche dei dolorosi casi «di quei preti che hanno indefessamente celebrato fino al giorno nel quale hanno buttato la veste alle ortiche» e «del pericolo che la Messa sia degradata a strumento di facile sostentamento» («se lo stipendio dovesse passare alle opere pie assisteremo magari al raffreddamento di certa devozione»)[186]. Quanto poi all’accusa di idee troppo avanzate, Corecco vi leggeva un’insinuazione sulla sua ortodossia e protestava con vigore: se tale era il giudizio su di lui, egli si sentiva in dovere di dimettersi anche dal tribunale, «non è certo un canonista che possa sottovalutare il significato almeno formale di essere Vice-officiale». Volentieri lasciava cadere ogni polemica sulla sua esclusione dalla commissione, ma non poteva transigere sulla questione della fiducia: «Come ritenere possibile la collaborazione, quando la fiducia è data formalmente ma è per un altro verso costantemente messa in discussione?»[187]. La seconda parte della lettera esaminava i suoi impieghi in diocesi: «Attualmente sono impegnato in due campi diversi, in modo tale che in nessuno dei due possa impegnarmi seriamente […]. A mio avviso sarebbe necessario arrivare ad una decisione di fondo che dovrebbe essere quella di impegnarmi esclusivamente nel ramo per il quale mi sono specializzato. Per me è una questione di serietà professionale, per la Diocesi a mio avviso è una questione di funzionalità, posto che si ritenga necessario che qualcuno dia, soprattutto in avvenire, un contributo specifico nell’area del diritto. Per contributo non intendo solo un aiuto pratico ma anche un apporto di carattere scientifico che non deve necessariamente essere concepito come circoscritto entro i confini di una diocesi. Se opto per questa soluzione, lo faccio non perché me lo imponga una irresistibile vocazione interiore al lavoro scientifico, ma per il fatto di aver speso 7 anni di studio per la specializzazione. Sette anni non possono essere sacrificati senza una ragione molto grave»[188]. Da questo momento l’eventualità di un allontanamento di Corecco dalla diocesi sarà più volte oggetto di discussione tra lui ed il suo vescovo[189]. D’altra parte egli ben aveva visto quanto le sue competenze scientifiche fossero apprezzate: l’anno precedente, nel mese di settembre, era stato invitato a Villa Cagnola a tenere una conferenza nell’ambito del convegno dei professori di teologia dei Seminari lombardi e proprio allora egli la pubblicava in forma di saggio sulla rivista La Scuola Cattolica[190]. Scrivendo di nuovo al vescovo[191], in accompagnamento al rapporto presentato all’assemblea estiva di Lepontia del 27 agosto 1966, Corecco tornava sul malcontento nei suoi confronti di certi ambienti legati a Lepontia Honoraria. Egli scriveva però soprattutto per ribadire il suo parere sulla questione dei seminaristi, per i quali caldeggiava la frequenza al liceo pubblico (mantenendo il seminario come convitto) perché «si sarebbe trattato di un passo decisivo in avanti su tutta la problematica della formazione del reclutamento del clero futuro […]. Per formazione non intendo in primo luogo quella scientifica, che non va certo sottovalutata, ma quella psicologica e religiosa. Si arriverebbe finalmente ad una formazione pienamente adeguata a quella libertà e responsabilità nella quale veniamo a trovarci quando siamo preti […]. Un altro aspetto positivo della questione sarebbe dato anche dal valore di testimonianza che la presenza dei seminaristi avrebbe su tutto l’ambiente del Liceo. Si tratterebbe solo di saperne approfittare sostenendo loro e tutti gli altri studenti, con un’adeguata assistenza religiosa. Penso che l’esperienza di questi ultimi dieci anni ci debba persuadere che il reclutamento dei seminaristi limitato praticamente al livello delle elementari non sia l’unico possibile e neppure quello di maggiori garanzie di successo. Siamo assenti da tutto il mondo delle scuole medie»[192].

1.5.  Le dimissioni da Lepontia e la partenza per Monaco

A fine anno 1966 Popolo e Libertà dedicava la pagina Dialoghi ad un bilancio dell’attività di Lepontia. Martino Rossi, presidente di Lepontia cantonale, annunciava con entusiasmo l’imminente nascita dell’ARUSI, che avrebbe aperto una grande possibilità di dialogo con gli altri studenti, rendendo quanto mai importante disporre di una buona formazione cristiana; passava poi a descrivere le felici novità introdotte dai contatti con GS e, in conclusione, ricordava l’urgenza di istituire un Assistente ecclesiastico per tutti gli studenti. Dal canto suo, Eugenio Corecco, in veste di assistente di Lepontia, metteva in evidenza lo spostamento degli interessi «dall’elemento intellettuale a quello religioso», dalla cura di un’élite ad una proposta esistenziale capace di mobilitare i giovani ed infine sottolineava l’importanza dell’esperienza comunitaria[193].

I toni erano quelli della speranza, ma all’interno della società regnava il malessere. Tra gli studenti non tutti erano disposti a seguire la proposta di Giussani e quasi tutte le sezioni erano divise[194] e, a proposito dell’ARUSI, i membri di Honoraria ricordavano che cinquant’anni prima, in analoghe circostanze, avevano optato per il mantenimento della loro società confessionale. All’inizio del 1967, il presidente di Honoraria Waldo Riva, forse nell’intento di fare almeno chiarezza, convocava un’assemblea straordinaria di fronte alla quale i giovani e l’assistente ecclesiastico avrebbero presentato le loro attività e programmi[195]. Nella lettera di risposta all’invito, un importante membro di Honoraria, il prof. Mario Pedrazzini[196] docente di economia all’università di San Gallo, mentre si scusava perché impossibilitato a presenziare, non esitava ad esprimere la sua preoccupazione e ad affermare che Corecco stava affossando la Lepontia. Riva gli rispondeva chiedendo l’autorizzazione ad informare Corecco[197]. Forse dobbiamo indirettamente a Pedrazzini la pubblicazione del verbale di questa assemblea, che si tenne a Lugano il 25 febbraio 1967. Il professore aveva un nipote, studente a Zurigo non iscritto nella locale sezione di Lepontia, ma membro di un’associazione di studenti del Politecnico, che, grazie allo zio, ebbe modo di partecipare all’assemblea di Lepontia Honoraria e, all’insaputa di tutti, si permise di registrare la discussione. Scoperta la cosa poco dopo la partenza del giovane, invano Waldo Riva cercò di ottenere la consegna dei nastri registrati e la garanzia che non ne esistevano copie[198]. Alla fine si decise di pubblicare il verbale dell’incontro, includendo, per maggiore chiarezza a proposito della posizione di Corecco, il testo dell’ampia relazione nel frattempo da lui presentata all’assemblea estiva di Lepontia a Cevio il 26 agosto 1967[199]. L’assemblea straordinaria di febbraio si era aperta dando voce ai giovani, senza temere qualche «scossone», come scrisse Waldo Riva nella prefazione alla pubblicazione del verbale, anche perché l’eco delle discussioni in corso si faceva sentire nella sua stessa casa[200]. Ad aprire gli interventi fu infatti suo figlio Pierfranco Riva, con una puntualizzazione sui «Problemi studenteschi oggi», focalizzati tutti intorno al rapido aumento del numero degli studenti universitari, che metteva in crisi le università, rendeva più arduo l’orientamento ed aumentava le difficoltà degli studenti ticinesi, costretti a studiare in una lingua straniera; a seguire Cecilia Foletti presentava le nuove associazioni studentesche sotto il titolo «Sindacalismo universitario», mentre Martino Rossi esponeva il progetto ARUSI; Fernando Lepori interveniva su «Lepontia ieri e oggi», ed il presidente cantonale Fulvio Caccia parlava della SSS e di Lepontia cantonale; da ultimo Eugenio Corecco affrontava il tema dell’assistenza generale degli studenti. L’intervento di Corecco, che era dimissionario, aveva il carattere di bilancio di tutta la sua attività[201]. Egli confermava il giudizio che fosse necessario spoliticizzare l’assistenza degli studenti, perché almeno a livello dell’opinione pubblica la distinzione della società dal partito conservatore non era ovvia; l’allargamento dell’assistenza a tutti gli studenti ne sarebbe stata una conseguenza quasi automatica; occorreva accentuare il carattere formativo religioso dell’assistenza, fatto che non significava disimpegno dagli ambiti civili, ma «la progressiva trasformazione delle strutture corporative verso la creazione di movimenti dove l’adesione dei singoli sia totalmente libera e non compromessa da interessi secondari di tipo politico-partitico. L’assistenza degli studenti deve muoversi al livello religioso, concepito come criterio e impegno per una presenza apostolica, culturale, sindacale e politica (pre-partitica a livello studentesco) degli studenti cattolici, nel mondo studentesco ticinese»; da ultimo la formazione religiosa non poteva essere astratta, ma doveva essere perseguita «attraverso un’attività apostolica completa (alla ricerca di una cultura non puramente libresca, ma concepita come coscienza critica su un’esperienza concreta), ne deriva che la formazione deve essere differenziata a seconda degli interessi reali dei giovani, che sono profondamente diversi a seconda dell’età scolastica»[202]. Ritornando sulla storia di Lepontia, sui suoi rapporti con la SSS e con la FUCI, inseriva i recenti cambiamenti nello spirito conciliare, (rifacendosi in particolare alla nota formula della “Chiesa povera”). Affrontava in modo critico il concetto di intellettuale cattolico, che era, a suo avviso, elitario ed astratto:

«D’altra parte per essere intellettuale cattolico bisogna essere cristiani e credo sia proprio su questo punto che è venuta a galla la lacuna più profonda di tutto il sistema lepontico, nella prospettiva dell’assistente, almeno. L’incertezza religiosa della stragrande maggioranza degli studenti ed anche di moltissimi leponti, non può essere sottaciuta. Lo considero un fatto di esperienza che non mi può essere contraddetto. Nel momento che è stato suscitato nella sua esigenza ultima, l’interesse religioso, però, si è manifestato. Si è capito che prima di risolvere il problema del nostro impegno nel mondo come laici, intellettuali o meno, bisogna risolvere il problema religioso, perché l’impegno professionale, culturale o politico non è nell’uomo una dimensione accanto a quella religiosa, ma è la conseguenza diretta di quest’ultima. È la traduzione concreta e precisa di una persuasione di fondo senza la quale, ammesso che si riesca nella vita a non “privatizzare”, si può cadere nella tentazione di fare solo della politica o cultura cristiana (nella misura che sono possibili) senza essere cristiani in politica. Solo in quest’ultima prospettiva il cristiano può trovare unità interiore. La prima è stata la tentazione del cristianesimo politico. Il cristianesimo non è venuto a portare una nuova ideologia ma un nuovo modo di essere, dal quale, ma solo a partire dal quale, può nascere un nuovo modo di vedere le cose, actio sequitur esse dicevano gli scolastici. Prima (logicamente e in parte anche nel tempo) di impegnarsi nelle strutture devono essere assicurati i valori religiosi di fondo. Deve essere risolto il problema del significato della vita, ma non astrattamente come risposta catechistica, ma assimilandolo, come dimensione interiore, attraverso un’esperienza concreta. L’esperienza della propria situazione esistenziale religiosa, vale a dire della propria dipendenza radicale da Dio, è essenzialmente comunitaria, perché è tutta l’umanità, come tale, che dipende da Dio, non solo il singolo individuo. […] Vivendo questa esperienza comunitaria l’uomo acquista il senso degli “altri”, il valore della persona, la coscienza, perciò, della propria dipendenza da tutti e così da qualche cosa che sfugge che è Dio. Questo è il livello religioso ultimo da cui bisogna partire e sul quale bisogna inserire il cristianesimo, dove l’esperienza comunitaria diventa essenzialmente ecclesiale, perché la Chiesa è esclusivamente comunione. […] Il cristianesimo non domanda nessuna premessa e punta molto in alto. I consigli evangelici sono proposti a tutti, non come stato particolare di vita, ma come atteggiamento interiore, come modo di vivere qualsiasi vocazione cristiana, quella matrimoniale non esclusa. Su questa base non è possibile nessuna contrapposizione tra élite e massa, perché ogni vocazione è data da Dio. Tutti hanno la possibilità di corrispondere alla propria vocazione, indipendentemente dal fatto che sia alta o bassa, perché ogni vocazione è servizio agli altri. Il cristianesimo non è fatto solo per i buoni. Puntare alto vuol dire cercare di creare in mezzo agli studenti un ambiente nel quale possa nascere l’esigenza di vivere i consigli evangelici anche nella loro forma istituzionale. Se non si arriva con il tempo anche a questo risultato, e in quel brano di Chiesa che è il Ticino ne abbiamo urgentissimo bisogno, vuol dire che l’esperienza religiosa del gruppo come tale non ha attecchito in profondità»[203]. Corecco ammetteva tranquillamente che conseguenza di questo nuovo spirito è stata un’acuta insofferenza verso le forme tradizionali della Lepontia (mentre è cresciuto l’interesse per gli altri studenti), il rallentamento dei rapporti con la FUCI e l’intensificarsi di quelli con GS ed il Centro Charles Péguy. «A questo proposito è nata la paura che si copiasse troppo da Milano. Non credo che si sia copiato di più di quello che si è copiato dalla SSS e dalla FUCI. Senza dire che si è sempre stati in chiaro su questo problema. Abbiamo cercato di aderire ad un’idea non ad un movimento. Il problema è quello di trovare un’originalità nostra; ci vuole un po’ di tempo ma sono convinto che l’abbiamo in parte trovata e che si può trovare […]. Altra conseguenza è stato l’interesse nato tra gli universitari in modo speciale per il gruppo liceale. Interesse che può diventare estremamente fecondo e diventare una garanzia per quella continuità di impostazione che è necessaria se si vuol arrivare a dei risultati concreti sul piano educativo, cioè operativo. Da ultimo lo spostamento dell’interesse generale dell’assistente verso il Liceo. Ne hanno scapitato, specialmente quest’anno, i tradizionali contatti con gli universitari (“visite pastorali”) che sono stati suppliti con numerosi incontri meno formali, fuori schema (vacanze comuni ecc.). Lo spostamento verso il Liceo è stato fatto nella convinzione che il lavoro tra gli universitari diventa molto più efficace se arrivano all’università con una preparazione maggiore; si trattava perciò di smantellare, fin dalla radice, la vecchia tradizione di Gaunia, che era ferma ai tempi di prima di Caslano e che si ripercuoteva puntualmente in modo negativo al momento dell’arrivo delle matricole all’università e nella perdita di molti Gauni»[204]. Lo stesso giorno dell’assemblea, Eugenio Corecco firmava insieme a Fulvio Caccia una lettera circolare che, dando seguito all’invito di Rueras, proponeva la partecipazione ad un’uscita pasquale proposta dal centro Charles Péguy[205], ma egli era appunto dimissionario. Dal dicembre 1966, si era concretizzata per lui la possibilità di tornare a Monaco di Baviera e riprendere lo studio del diritto canonico, preparandosi questa volta all’insegnamento accademico..

Aveva incontrato per caso il prof. Mörsdorf a Roma e rispondendo alla banale domanda: come va? aveva lasciato sfogo a tutta la sua amarezza: «Va male, tutto quello che faccio incontra contrasto». Mörsdorf gli aveva allora prospettato la possibilità di riprendere lo studio del diritto canonico[206]. Nel febbraio 1967, qualche giorno prima dell’assemblea straordinaria di Lepontia Honoraria, Corecco aveva chiesto al vescovo il permesso di accettare questa offerta, «dopo aver lentamente ponderato sul da farsi»[207]. Nel mese di marzo comunicava a Waldo Riva le dimissioni «che implicitamente mons. Vescovo ha già accettato» e lo ringraziava per le «sue capacità di saper intuire ed assecondare le nostre esigenze», ovvero le esigenze di Lepontia attiva, di cui lo scrivente si riconosceva «corresponsabile»[208]. L’avvocato Riva gli rispondeva a pochi giorni di distanza e non mancava di far trapelare un rimprovero: se egli poteva facilmente comprendere gli indirizzi assunti dai giovani, non altrettanto riusciva a fare nei confronti degli atteggiamenti di Corecco, «che aveva ricevuto e tuttora aveva specifici compiti da svolgere»[209]. Lo stesso giorno Riva scriveva al vescovo per proporgli la candidatura di don Oliviero Bernasconi, parroco di Genestrerio. Lepontia Honoraria chiedeva ora che l’assistente fosse delegato per tutti gli accademici ticinesi, che fosse messo in condizione di conoscere i giovani del Liceo cantonale, della Magistrale e della Scuola cantonale di commercio, lasciando la parrocchia e potendo usufruire di uno stipendio adeguato, grazie al contributo del Sacrificio Quaresimale[210]. Finalmente le reiterate richieste di Corecco avevano finito per mettere sotto gli occhi di tutti le cifre della realtà studentesca: di 840 universitari ticinesi solo 120 erano iscritti nella Lepontia e gli studenti delle superiori erano ormai 1500[211]. Per il finanziamento, la richiesta di far capo ai fondi del Sacrificio Quaresimale indicava la non volontà di Honoraria di impegnarsi maggiormente[212]. Nel mese di luglio da Monaco[213], ottemperando ad una richiesta del vescovo, Corecco inviava di nuovo un suo parere sulla situazione. Visto che era Honoraria stessa a chiederlo, egli non vedeva più alcuna difficoltà a che don Mauro De Grazia[214] – che era ora il candidato prescelto – potesse occuparsi di tutti gli studenti. Egli raccomandava al vescovo di ben metterlo in rilievo, al momento in cui avrebbe comunicato ufficialmente la nuova nomina, e di non mancare di far notare quanto l’esistenza dell’ARUSI avesse cambiato la situazione, giustificando questa novità; raccomandava anche di sollecitare caldamente Lepontia, che per oltre 80 anni aveva radunato gli studenti cattolici meritandosi così molta gratitudine, alla massima collaborazione. In questo modo si poteva evitare un’interpretazione polemica del gesto. Don De Grazia avrebbe dovuto essere messo in condizione di occuparsi esclusivamente degli studenti, tenendo conto del fatto che anche così la presenza di un solo prete era ben poca cosa rispetto al compito, visto che anche il semplice incontrare tutti gli studenti avrebbe richiesto parecchio tempo. In secondo luogo, chiedeva per lui l’indipendenza economica, ovvero uno stipendio fisso, distinto da quello per l’assistenza come tale («per il quale non bisognerebbe andare sotto i 6000 FRS. Non vedo perché non si potrebbe ricorrere al Sacrificio Quaresimale, che prevede la possibilità di questi sussidi»). Da ultimo poneva la condizione più importante: l’insegnamento catechistico almeno nella I classe del Liceo, «perché non si può impiantare un’assistenza degli studenti partendo dall’alto, cioè dall’università, quando il problema religioso è più difficilmente affrontabile». A suo avviso senza queste condizioni «tanto varrebbe lasciar continuare indisturbato gli studi a don De Grazia». Corecco auspicava almeno un coordinamento tra i preti che insegnavano catechismo nelle ultime classi del Ginnasio ed alle superiori, ma sapeva di chiedere troppo: «Se insisto con tanta consapevolezza perché la Diocesi compia il primo passo decisivo verso la nuova strutturazione dell’assistenza religiosa agli studenti, che non può essere limitata al Papio, è perché sono convinto che da essa dipenda in grande parte il problema non solo del reclutamento di un laicato qualificato ecclesialmente e politicamente impegnato, ma anche quello delle vocazioni al sacerdozio. Anzi direi che il primo darà dei risultati proporzionali al secondo e non viceversa, almeno nel senso che è necessario puntare in alto nell’assistenza, per ottenere risultati oggettivi in tutti i settori. Il problema delle vocazioni e della ristrutturazione del Seminario, che si pone oggi, lo posso dire, con drammaticità non può essere disgiunto da quello di un’assistenza efficiente da un punto di vista religioso agli studenti. In questo senso sarebbe meglio avere un direttore spirituale in meno in Seminario e un assistente, che sappia quello che si fa, in più per gli studenti. È per questo che ho sempre puntato sulla necessità che la Casa dello Studente sia diretta in modo più funzionale e sia creata una serie di altre case di questo tipo. Un trasferimento del Seminario a Friburgo, oltre a risolvere il problema della formazione generale dei nostri chierici, darebbe un forte contributo per risolvere il problema dell’assistenza degli studenti. Nessuno come il sottoscritto ha avuto finora la possibilità di vedere e toccare con mano l’indigenza religiosa nella quale vengono a trovarsi i nostri studenti nelle piazze universitarie. Se Vostra Eccellenza decidesse di trasportare il Seminario a Friburgo, ciò che le auguro di saper fare, allora direi di dare la responsabilità ultima dell’assistenza agli studenti al sacerdote che dovesse essere responsabile dei chierici, e di impegnare don De Grazia soprattutto con il gruppo di ragazzi già esistenti al Liceo, perché sarebbe peccato che si sfasciasse: ciò gli darebbe già molto da fare e gli permetterebbe di fare con più calma le proprie esperienze e di portare avanti la tesi di laurea».

Nella relazione estiva il presidente Fulvio Caccia[215] presentava il nuovo corso in modo del tutto positivo e ne metteva in rilievo tanto la consonanza con lo spirito conciliare come la grande possibilità di incontro e dialogo con tutti gli studenti, favorita anche dal vento nuovo che penetrava ormai anche altre associazioni studentesche. Don Corecco era dunque partito e con un certo sollievo da parte di mons. Jelmini[216]. Per qualcuno però la sua era forse una defezione, anzi quasi un capriccio. Qualche voce in questo senso ci deve essere stata, perché altrimenti resta senza spiegazione la vivace reazione di un amico di Corecco, don Bruno Zoppi, che, in una lettera indirizzata al Consiglio del Clero nel giugno del 1967[217], non temeva di accusare il vescovo di aver provocato grave discredito nei confronti di Corecco ed aver agito con aperta ostilità verso di lui. Anche di altre cose si lamentava questo giovane prete, che con fedeltà e passione seguiva il gruppo della Gazzada[218]; egli denunciava infatti la generale passività con cui le nuove strutture ecclesiastiche erano vissute da parte di molti membri del Consiglio del Clero, che partecipavano agli incontri senza aver letto i documenti e senza aver consultato i preti che li avevano eletti e votavano dunque seguendo sempre pedissequamente la propria fazione; si soffermava anche sul penoso caso di don Siro Croce, le cui vicende giudiziarie erano state pubblicizzate sulle colonne del quotidiano liberale Il Dovere per ritorsione alla eco data dal Giornale del Popolo ad un’accusa piuttosto pruriginosa nei confronti di Carlo Speziali, esponente di spicco del partito liberale, direttore della Scuola Magistrale di Locarno e sindaco di quella città[219]. Ancora più dettagliato a proposito delle responsabilità di Jelmini doveva essere un memoriale riservato dello stesso autore[220] e addirittura quasi minatoria una lettera indirizzata al parroco di Brusino, accusato di aver sparlato di Corecco[221]. Da questi documenti risulterebbe di quanto poco appoggio avesse goduto don Eugenio, da tutti i punti di vista, incluso quello finanziario, per cui, per sostenere le sue attività con gli studenti, aveva speso del suo ed aveva dovuto ricorrere all’aiuto di amici preti[222]. Il velo di discrezione sul dolore, che la decisione di lasciare Lugano ha comportato, lo solleva un poco una lettera di Corecco all’avvocato Carlo Snider, a Roma[223]. Nel ringraziarlo per l’ospitalità che gli aveva recentemente offerto, Corecco declinava le due possibilità di lavoro che Snider gli aveva prospettato, offrendogli i suoi buoni uffici per un incarico presso la Congregazione dei Santi oppure presso la Sacra Rota. Grato per l’affettuosa partecipazione alle sue tribolazioni, Corecco preferiva però non «troncare l’attuale che ho scelto in parte sotto la pressione delle circostanze, ma è pur sempre una situazione molto chiara, almeno fino al momento della libera docenza. […] Certo accuso l’incertezza alla quale vado incontro, ma ciò non mi sembra ancora un motivo valido per abbandonare l’intrapreso e tentare un’altra esperienza. L’incertezza è inevitabile in ogni decisione ed in ogni vocazione». Egli rimaneva dunque ben deciso a proseguire la sua formazione di canonista a Monaco, una scuola verso la quale provava un sentimento di viva gratitudine, perché proprio le discussioni post-conciliari stavano facendo emergere quanto fosse provvidenziale quella particolare impostazione per la prevista riforma del CIC.

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[126] «Li vorrei raggiungere tutti», così scriveva a mons. Jelmini il 19 maggio 1965, cfr. ACorecco Lugano, Scat. 8, nr. 18a.

[127] Virtus, scientia, amicitia : erano il motto di Lepontia.

[128] ACorecco Lugano, Scat. 8: 19 maggio 1965, lettera di Corecco al vescovo Jelmini.

[129] Ibid.

[130] Ibid. : «La FUCI e la GS di Milano sono miste nella misura del 50%. Questo spiega la differenza di stile dei due movimenti rispetto a Lepontia, anche da un punto di vista religioso. La stessa esperienza è comprovata dalla differenza di tono della sezione di Friburgo nei confronti di quelle di Zurigo e di Berna, quest’ultima in fase di liquidazione (una ventina di iscritti, tutti in semestri già avanzati)».

[131] Ibid.

[132] Ibid.

[133] Le medesime intenzioni sono espresse in un’altra lettera a Jelmini in cui gli raccomanda di affidare l’insegnamento della Teologia morale in Seminario a don Oliviero Bernasconi, cfr. ACorecco Lugano, Scat. 8: 27 giugno 1965.

[134] Le ragioni di questa reticenza sono forse da ricercare nell’ostilità che in quel momento subiva l’opera di don Giussani, cfr. Savorana, Vita di don Giussani , 1326: la cronologia si evince che segnala il soggiorno negli USA nella primavera del 1965 e l’abbandono della guida di GS al rientro.

[135] ACorecco Lugano, Scat. 8, fasc. 10: 9 luglio 1965: lettera di Alberto Lepori a Corecco, in cui lo scrivente utilizza questa espressione, sebbene negli archivi non ci sia traccia di tale scritto, ma solo della lettera citata, che aveva carattere confidenziale.

[136] Ibid.

[137] ACorecco Lugano, Scat. 8: lettera del 17 settembre 1965.

[138] AVescLugano, Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco: 3 settembre 1965.

[139] Ibid. : l’attestato del giuramento.

[140] ACorecco Lugano, Scat. 8, nr. 19a: 27 giugno 1965, da Friburgo Corecco scrive a mons. Jelmini raccomandandogli don Oliviero Bernasconi; per questo prete cfr. SC 143.

[141] Per don Franco Biffi, cfr. SC 143; HS VI/1, 285s.; e M. Libotte – A. Gandolla,

[142] Franco Biffi. Un sacerdote al servizio della verità e della giustizia , Lugano 2015.142 SC 145.

[143] SC 154.

[144] AVescLugano, Fondo Seminario S. Carlo, Scat. Vb: relazione del 4 ottobre 1955.

[145] Ibid. : atto ufficiale di nomina, 2 agosto 1957.

[146] SC 89.

[147] Ai già nominati, bisogna aggiungere don Pio Joerg (1913-2011), cfr. SC 124; don Ernesto Togni (  1926), poi vescovo, cfr. HS VI/1, 271; don Alfredo Poncini (  1928), cfr. SC 140: lascia «l’abito» nel 1978; don Valerio Crivelli (1933-2007), cfr. SC 150; don Angelo Vosti (1921-1963), cfr. SC 135; don Silvano Albisetti (  1931), cfr. SC 144; e anche HS VI/1, 286; mentre già attivo nell’insegnamento era Ulisse Masciorini (1920-1975), cfr. SC 126.

[148] HS I/6, 269s.: vescovo dal 1968.

[149] SC 135.

[150] AVescLugano, Fondo Seminario S. Carlo, Scat. Vb: organizzazione dei corsi, 24 settembre 1957.

[151] Ibid. : ordine del giorno e verbale della conferenza dei professori del seminario del 11 agosto 1958. Dallo stesso verbale emerge il desiderio – segnatamente di don Vosti – di accostare l’organizzazione degli studi in seminario a quella del Liceo, ad esempio nell’auspicata riforma dell’orario settimanale.

[152] Alfredo Poncini si segnalerà per una posizione particolarmente critica nei confronti del livello del seminario; cfr. AVescLugano, Fondo Seminario S. Carlo, Scat. Vb: vibrata lettera di protesta dei professori del 25 giugno 1959 contro una sua presa di posizione durante una conferenza agli studenti di Lepontia di Zurigo, nella quale avrebbe sconsigliato di frequentare il seminario a chi disponeva di un titolo di maturità.

[153] AVescLugano, Fondo Seminario S. Carlo, Scat. Vb: verbale della conferenza dei professori, 11 agosto 1958.

[154] Ibid.

[155] Ibid. : nel gennaio 1967 i professori riflettono sul progetto della maturità ed è Oliviero Bernasconi a ricordare l’indicazione di questo decreto al nr. 3.

[156] Ibid. , gennaio 1967: come farà notare don Valerio Crivelli in una risposta a Gabelli, i chierici frequentavano a questo scopo collegi cattolici, che avevano spesso un occhio di riguardo per i giovani che aspiravano al sacerdozio.

[157] AVescLugano, Fondo Seminario S. Carlo, Scat. Vb: relazione di fine anno di mons. Gabelli.

[158] Ibid. : relazione del 24 giugno 1964.

[159] Ibid. : relazione sulla Conferenza sulla maturità di Azzolino Chiappini, 25 gennaio 1967: «far fare ai ragazzi “cose umane” come raccomanda il decreto conciliare».

[160] Così Valerio Crivelli, che pure faceva parte dei professori giovani, nel suo parere sulla Conferenza di maturità, in AVescLugano, Fondo Seminario S. Carlo, Scat. Vb: 25 gennaio 1967.

[161] AVescLugano, Fondo Seminario S. Carlo, Scat. Vb: si vedano i discorsi di fine anno di mons. Aurelio Gabelli e l’insistenza sulla partecipazione alle vacanze estive nel seminario di Prato-Leventina, che duravano tre settimane e dalle quali si poteva essere esentati solo per serie ragioni discusse con il vescovo.

[162] Come don Bruno Molinari, che propendeva per l’accettazione solo di vocazioni più mature (non prima dei 16 anni) e faceva notare l’incongruenza di discutere della maturità quando ancora non si esigeva la licenza ginnasiale per cui si asteneva dall’esprimere un parere circa la scelta o meno del Liceo Cantonale, cfr. ibid. : la sua relazione sulla Conferenza della maturità, 25 gennaio 1967; ma cfr. anche sopra n. 159: la raccomandazione di Azzolino Chiappini.

[163] Ibid. : l’intrecciarsi delle lettere e delle richieste, in attesa della decisione del vescovo che giungerà solo alla fine di agosto, il 29 agosto 1967.

[164] Ibid. : i dati relativi al 1964: 17 allievi nei 4 anni di liceo; 15 in teologia e altri due a Roma; nessuna ordinazione sacerdotale; 1965 o 1966: il numero è cresciuto per l’arrivo di due seminaristi francescani e di alcuni giovani dall’America Latina; nel gennaio 1967 si costata che per l’anno scolastico in corso (1966/67) ci sono 7 allievi nelle classi liceali.

[165] Ibid. : l’unico che ancora tentava un compromesso in questo senso era il rettore Gabelli, che propose di mantenere in seminario gli allievi di I liceo.

[166] Un seminarista andò al Papio e poi abbandonò l’idea del sacerdozio.

[167] AVescLugano, Fondo Seminario S. Carlo, Scat. Vb: relazione dell’anno scolastico 1962-63.

[168] ACorecco Lugano, Scat. Infanzia e Giovinezza: alcune fotografie con i commilitoni della Scuola reclute, i tre mesi di servizio militare obbligatori, che Corecco fece a 20 anni, ed il libretto militare.

[169] ACorecco Lugano, Scat. 8, fasc. 10: posizione di E. Corecco «Sull’introduzione della “maturità” in seminario», del 25 febbraio 1967; Corecco è favorevole, lo ritiene un atto di giustizia nei confronti dei seminaristi e di tutto il clero «che ha sempre dovuto soffrire di non avere gli studi parificati» ed è a favore della frequenza al Liceo cantonale; AVescLugano, Fondo Seminario S. Carlo, Scat. Vb: 31 maggio 1967, l’articolata risposta di Corecco al questionario del rettore Gabelli del 15 maggio 1967; e cfr. ancora gli accenni nella lettera da Monaco a mons. Jelmini, datata 11 luglio 1967, in Archivio della Lepontia, Scat. VI 1.6, nr. 5.

[170] Inizi. I primi anni di CL in Svizzera (s.a.), Quaderno di CL, 7, e testimonianza di Giulia Ferroni, classe 1949 (Massagno, maggio 2013): lei stessa, non iscritta a Lepontia, ricevette la lettera di invito come allieva del Liceo.

[171] Archivio della Lepontia, Scat. V 1.6, nr. 3: volantino di presentazione della Gaunia, indirizzato a tutti gli alunni del Liceo, del 16 settembre 1966, firmato dal vice-presidente Carlo Verda e dall’Assistente Eugenio Corecco; cfr. anche Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco, Classatore nr. 6: circolare dell’invito, datata 16 ottobre 1966.

[172] Ibid. : programma di massima per il 1966/67.

[173] Cfr. L. Giussani, Tracce di esperienza cristiana , Milano 1977, 149-156.

[174] Archivio della Lepontia, Scat. VI 1.6, nr. 4: lettera di Fulvio Caccia a Waldo Riva, del 22 marzo 1967, che, descrivendo la situazione delle varie sezioni, riecheggia questo clima più libero senza abbandonare del tutto le preoccupazioni formali.

[175] Riva, Cronistoria di Lepontia Cantonale dal 1960 al 1985 , 375-392, 385s.; ibid. , 385: annota che l’ARUSI è ufficialmente costituita a Lugano il 24 dicembre 1966, alla presenza di 150 studenti tra cui non pochi Leponti e due di essi sono eletti nel comitato.

[176] Cfr. sotto n. 186: le allusioni nella lettera del 25 maggio 1966, in ACorecco Lugano, Scat. 8, fasc. 10.

[177] Archivio di CL, Lugano, Fondo Corecco, Classatore 2: gli appunti ms dell’incontro del 1966 (incompleti) e del 1967; cfr. anche Riva, Cronistoria di Lepontia Cantonale dal 1960 al 1985 , 375-392, 385: annota che al ritiro di Montbarry partecipano oltre 50 universitari e al secondo ad Agno, una settantina di liceali tra cui molti non Leponti.

[178] Archivio della Lepontia, Scat. II 2.6, nr. 1: rapporto presidenziale di Martino Rossi anno 1966; cfr. anche Riva, Cronistoria di Lepontia Cantonale dal 1960 al 1985 , 375-392, 383s.: «1965/66: quest’anno è caratterizzato dall’emergere delle prime tendenze centrifughe»; ibid. , 384: «ormai è noto che a Lugano e nelle varie sedi universitarie si formano gruppi autonomi, comprendenti anche Leponti, per “vivere comunitariamente la propria religiosità”. Si assiste addirittura alla defezione di alcuni studenti della società. Don Eugenio Corecco che assiste questi gruppi vicini al movimento di don Giussani rivendica il suo diritto di essere l’assistente religioso di tutti gli studenti e non solo dei Leponti. Tutti gli attivi sono d’accordo (un po’ meno gli onorari, sempre più preoccupati)».

[179] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco, Classatore nr. 2: lettera di P. R. del 18 aprile 1967; per altri scritti con questa funzione, cfr. ibid. , Classatore nr. 6: riassunto di una conferenza di Franco Silanos al Bigorio, su Cristianesimo e cultura, 19 novembre 1967; Cuba, la rivoluzione e la Chiesa, relazione del 24 marzo 1968 (firmata P. R. e Carlo Felice Beretta Piccoli); 1968: circolare di P. R. che propone degli impegni da prendere in comune, tra cui il lavoro per Jaca Book e CSEO.

[180] Si tratta della parte bassa della città. I suggestivi quartieri medievali, le cui case non ristrutturate e spesso fatiscenti, erano affittate a basso prezzo, costituivano la zona degradata della città, l’unica accessibile ai poveri ed agli immigrati.

[181] Cfr. la lettera e le proposte del 10 marzo 1968, accompagnate da una sintesi di un campo di vacanza a Sörenberg per i liceali, in Archivio di CL, Fondo Corecco, Classatore 2.

[182] ACorecco Lugano, Scat. 8, nr. 23e: lettera del 14 dicembre 1965, sottoscritta da Biffi (don Franco), don Oliviero Bernasconi, don Sandro Vitalini e don Valerio Crivelli.

[183] AVescLugano, Fondo Consiglio del Clero, vol. 1, Verbali 1966-1969: 20.5.1966: nel corso della prima seduta don Biffi sollecita questa facoltà e, insieme a don Oliviero Bernasconi, esprime l’intenzione di studiare gli atti del Concilio con don Corecco.

[184] ACorecco Lugano, Scat. 8, fasc. 10: 25 maggio 1966.

[185] Malgrado tutto Corecco non negherà il suo contributo, cfr. AVescLugano, Fondo Consiglio del Clero, vol. 12, Corrispondenza e documentazione 1967-1968-1969: lo statuto del Consiglio del Clero preparato da don Corecco e, nell’aprile 1967, collabora anche agli statuti del Consiglio pastorale.

[186] ACorecco Lugano, Scat. 8, fasc. 10: lettera a Jelmini del 25 maggio 1966.

[187] Ibid.

[188] Ibid.

[189] AVescLugano, Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco: lettera del 19 febbraio 1967 al vescovo, nella quale Eugenio allude alla disponibilità espressa da Jelmini fin dal giugno del 1966 e più volte ribadita in successivi colloqui.

[190] E. Corecco, Il rinnovo metodologico del diritto canonico , in La Scuola Cattolica 94 (1966) 3-35 e in Civitas 21 (1965/1966) 336-370. Direttore de La Scuola Cattolica, che nel 1968 pubblicherà anche un altro studio di Corecco, era don Giovanni Battista Guzzetti (1912-1986), un fedele amico del gruppo della Gazzada; cfr. Lurati Mazzali, La parution d’une voix nouvelle , 8.

[191] AVescLugano, Fondo Seminario S. Carlo, Scat. XVII: 31 agosto 1966.

[192] Ibid. ; su questo tema, cfr. anche AVescLugano, Fondo Seminario S. Carlo, Scat. XVIII: 23 agosto 1967, le risposte di Corecco ad un’inchiesta promossa tra i professori del seminario, in cui ribadisce la necessità di rendere più seri gli studi, sprovincializzare il clero e trasferire i seminaristi di teologia a Friburgo.

[193] Pagina Dialoghi , in Popolo e Libertà, 16 dicembre 1966, 4; anche in Archivio della Lepontia, Scat. VIII, nr. 3.

[194] Archivio della Lepontia, Scat. I. 1, nr. 8: Verbali di Lepontia cantonale 19521967,

[195] 20: ad esempio la Friburgensis. Il relatore è pessimista perché nel corso del semestre la sezione è stata dilaniata dalla rivalità tra le due correnti (relazione del 1966).195 L’autorevolezza di Honoraria si fondava anche sul fatto concretissimo che finanziava in parte le attività di Attiva, cfr. AVescLugano, Fondo Seminario di S. Carlo, Scat. XVII, 9 gennaio 1967: Corecco scrive a mons. Jelmini per sollecitare un migliore finanziamento dell’attività di assistenza degli studenti, facendo magari capo a fondi del Sacrificio

[196] Dal conteggio presentato risulta che l’impegno finanziario per il 1966 era stato di 3240 FRS, coperto in parte dal contributo di 900 FRS di Lepontia Honoraria (che sostiene però con 2000 FRS le attività generali di Lepontia Attiva) e dal contributo di 300 FRS del vescovo stesso, mentre la curia per il suo lavoro di assistente gli ha dato di 1000 FRS. L’auspicio dello scrivente è l’indipendenza da Lepontia Honoraria ed il finanziamento delle attività da parte della curia con 5000 FRS ed altri 2000 FRS per l’assistente.196 Per Mario Pedrazzini, che nel 1947 era vice presidente della SSS per i rapporti con la FUCI, cfr. supra , n. 25; Riva, Cronistoria di Lepontia Cantonale dal 1960 al 1985 , 375392, 384: per l’anno 1965/66: annota che dopo quasi 10 anni di permanenza nel comitato centrale lascia il posto a Franco Felder.

[197] Archivio della Lepontia, Scat. VI 1. 6: 22 febbraio 1967 e 1° marzo 1967.

[198] Ibid. , nr. 4: 3 marzo 1967, Waldo Riva a Pedrazzini: per informarlo dell’avvenuta registrazione con allegata copia della raccomandata a G.; Pedrazzini a Fulvio Caccia, 6 marzo 1967: conferma di aver favorito la partecipazione di G. all’incontro; Pedrazzini a Waldo Riva, 6 marzo 1967: esprime l’intenzione di collaborare al ricupero delle registrazioni; Pedrazzini a Waldo Riva, 7 marzo 1967: lo autorizza ad informare Corecco delle sue perplessità; G. a Waldo Riva, 7 marzo 1967: ricusa ogni addebito ed asserisce di aver partecipato in rappresentanza dell’Associazione generale degli studenti del Politecnico, una sezione UNUS, cui ARUSI vorrebbe aderire; Waldo Riva a G., 8 marzo 1967: puntualizza, rinnovando gli addebiti.

[199] Don E. Corecco, Relazione presentata all’assemblea di Cevio del 26 agosto 1966, in Lepontia Honoraria, Verbale dell’assemblea straordinaria del 25 febbraio 1967 tenutasi a Lugano , Lugano, Tipografia Gaggini-Bizzozzero S.A., 1967 (d’ora in poi Verbale dell’assemblea straordinaria del 25 febbraio 1967 ), 24-36.

[200] Verbale dell’assemblea straordinaria del 25 febbraio 1967 , 5.

[201] Ibid. , 24: «prima di entrare nel merito voglio fare alcune constatazioni sull’attività di Lepontia in questi ultimi anni, inteso come rapporto sulla situazione nel momento di dare scarico dell’impegno che mi è stato affidato da mons. Vescovo nei vostri riguardi».

[202] Ibid. , 23.

[203] Don Eugenio Corecco, Assistenza generale degli studenti , in Verbale dell’assemblea straordinaria del 25 febbraio 1967 , 24-34, 29s.

[204] Ibid. , 3032.

[205] Archivio della Lepontia, Scat. VI, 1. 6, nr. 4: 25 febbraio 1967.

[206] Corecco a Gazebo, 24 dicembre 1992; cfr. anche ACorecco Lugano, Scat. 8, nr. 31: 15 dicembre 1966: lettera di Klaus Mörsdorf, che fa seguito al loro colloquio a Roma, gli conferma la sua disponibilità e gli prospetta la possibilità di ottenere uno stipendio come assistente a partire dalla primavera 1967.

[207] AVescLugano, Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco, 19 febbraio 1967.

[208] Archivio della Lepontia, Scat. VI 1. 6. nr. 4: lettera del 17 marzo 1967.

[209] Ibid. : 29 marzo 1967, lettera di Waldo Riva a Corecco.

[210] Ibid. : 29 marzo 1967, lettera di Waldo Riva a Jelmini.

[211] Riva, Cronistoria di Lepontia Cantonale dal 1960 al 1985 , 375-392, 386.

[212] Cfr. sopra, n. 195: nel 1966 la Honoraria aveva versato 900 FRS per l’assistenza e 2000 per le attività di Lepontia attiva.

[213] Archivio della Lepontia, Scat. VI 1.6, nr. 5: 11 luglio 1967.

[214] Riva, Cronistoria di Lepontia Cantonale dal 1960 al 1985 , 375-392, 386: don Oliviero non poté accettare a causa dei suoi impegni, il vescovo designò allora don Mauro De Grazia (1942-1992); lascia il ministero nel 1973/74 (SC 161).

[215] Pubblicata integralmente in Verbale dell’assemblea straordinaria del 25 febbraio 1967 , 48-55.

[216] Corecco a Gazebo, 24 dicembre 1992: «mi disse: fa bene a te e fa bene a me».

[217] ACorecco Lugano, Scat. 8, fasc. 10: 21 giugno 1967.

[218] Lurati Mazzali, La parution d’une voix nouvelle , Annexes Collaborateurs .

[219] ACorecco Lugano, Scat. 8, fasc. 10, nr. 46a: 21 giugno 1967; per l’art. incriminato, cfr. Giornale del Popolo, 14 aprile 1967, 4: Il Consiglio di Stato ed il caso Speziali; cfr. n. 220: per la corrispondenza da Il Dovere, 3 giugno 1967, 2.

[220] ACorecco Lugano, Scat. 8, fasc. 10, nr. 46b, s.a., firmato b.z.

[221] Ibid. , nr. 46c: 3 giugno 1967; si tratta di don Claudio Marchesi, un prete mai incardinato a Lugano, che fu parroco a Brusino dal 1958 al 1971; cfr. AVescLugano, Fondo Parrocchie, Brusino Arsizio, Scat. 1.

[222] Cfr. sopra, n. 195: «siamo un gruppo di preti che per quest’opera ci hanno messo di tasca propria».

[223] ACorecco Lugano, Scat. 8, fasc. 10: 3 dicembre 1967.