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Amici Corecco

La grazia di una vita

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ANNI DI CORAGGIOSO IMPEGNO (1965-1986)

Capitoli

1.1.  Gli studenti della Gaunia: l’esilio e il ’68

1.1.1.  La responsabilità non viene meno

Se Corecco aveva davvero creduto di poter cedere al nuovo assistente la conduzione del gruppo dei giovani, in particolare dei liceali, che avevano iniziato a seguire don Giussani, avrebbe dovuto ricredersi in breve tempo. Intanto era nata un’amicizia, che la lontananza non poteva rompere e continuò sotto la forma di un rapporto soprattutto epistolare, dalla quale emergeva, prima ancora delle domande o dei problemi, una testimonianza che confortava la sua stessa vocazione: «R., ti sono molto grato per la comunione totale che mi hai voluto dare qui a Monaco insieme a J. Il distacco degli anni mi fa sentire che il mio sacerdozio è sempre daccapo, nuovo, deve ricominciare sempre là dove è iniziato»[1]. Rispondendo a G.[2], studentessa liceale che gli scriveva dopo una vacanza a Campitello con i Giessini di Milano, si faceva carico ad un tempo dei ragazzi in crisi e di quelli entusiasti, perché «non siamo noi a convincere gli altri. Il cristianesimo è una proposta, è un dono che fa Dio e la comunità della Chiesa nella quale siamo inseriti. Il nostro compito è quello di inserirci in questo movimento, come siamo, con la irripetibilità della nostra persona, fatta di valori e di disfunzioni». Ogni passo del cammino è invito a radicarsi nella scrittura: «Rileggi i primi capitoli della I Cor.» – raccomanda alla sua giovane corrispondente – e nella fedeltà alla compagnia: «Vedrai che riuscirete. Dovete solo essere disposti a crederci fino in fondo, a non abbandonare mai. Nel frattempo vi troverete così cambiati, malgrado magari gli apparenti insuccessi, che non sarete più in grado di tornare indietro. Allora è il momento in cui il Signore può servirsi di noi. Guarda che questo è l’essenza, dal punto di vista metodologico, del cristianesimo. Il cristianesimo è “Grazia”, continuiamo a parlarne ma non vuol dire altro che gratuità (karis). È Dio che fa tutto, noi dobbiamo solo essere aperti e diventare strumenti». E si rallegra, perché G. ha trovato un lavoro estivo a Monaco, potrà quindi raggiungerlo ed avranno modo di parlare.

Nel mese di ottobre[3], le risponde di nuovo: purtroppo non potrà farsi trovare a Roma, quando i liceali vi andranno in occasione della loro gita scolastica. Gli preme metterla in guardia da ogni fuga dal presente, che l’inizio di quell’ultimo anno di Liceo, in cui si sentivano i venti della contestazione studentesca, poteva facilitare[4]: «la libertà consiste nell’accettare le circostanze, non nel voler o poter fare quello che si vuole […] Accettare interiormente e lavorare in esse altrimenti si finisce per non fare niente. La rivoluzione è sempre l’ultima possibilità, non è il primo atteggiamento che dobbiamo assumere, mai perché può facilissimamente coincidere con la fuga davanti alle nostre responsabilità. Dunque non pensare al liceo, vivici e lavora consapevolmente, domani ti troverai diversa, con una storia che non potrai più abbandonare perché è quella che ti dà la serenità interiore, malgrado le rinunce, più psicologiche ed apparenti che reali, che il cristianesimo ci può imporre. Non dimenticare mai che la felicità non consiste mai nell’abbandono momentaneo ad una voglia qualsiasi, ma nella coscienza di vivere. Nella pienezza di essere consapevoli e di avere una ragione per la quale ci muoviamo. La vera felicità è la gioia interiore anche se tutto dovesse andare apparentemente alla rovescia, anche nelle ragioni che può avere il cuore». E poi la preoccupazione di sempre: quella missionaria. G. doveva avergli espresso il timore che la prossima conclusione degli studi liceali da parte del folto gruppo iniziale mettesse a repentaglio la sopravvivenza dell’esperienza al Liceo, tanto più che don De Grazia aveva ottenuto le ore di religione solo nella V ginnasio: «vedo che sei preoccupata per le prime e le seconde. Non sarà facile conquistarne molti da soli, senza l’aiuto di un assistente che avesse lo zampino nella scuola. Ma non fa nulla. L’importante è che vi impegniate voi e non troviate sempre la così detta pappa fatta. Ti rendi conto del progresso enorme vostro se vi impegnate come se l’assistenza doveste farla voi? Anzi la dovete fare voi in tutti i sensi, l’assistente è solo un punto di riferimento per registrare l’impostazione. Non preoccuparti perché se voi di terza marciate tutto l’anno è impossibile che qualche cosa non resti attaccato per gli anni prossimi, lascerete nel Liceo un segno che durerà per gli anni prossimi, magari per sempre […]. Lasciare un segno vuol dire creare un ambiente che da oggi in avanti per sempre aiuta gli altri a vivere un po’ più cristianamente. Nella vita non siamo chiamati a fare di più né possiamo fare di più. Sviluppare la cosa è opera di Dio, non nostra». E a proposito di una ragazza atea che frequentava volentieri la comunità, scriveva: «Il divino lo scoprirà con il tempo, guardandovi e vedendo che il vostro rapporto è uguale a quello di tutti gli altri, che è normale non stravagante, ma in fondo profondamente diverso perché mosso da qualcosa che ancora le sfugge e che può capire solo chi ha la fede. Non è mica necessario dire che il nostro è l’unico modo di vivere cristianamente. Ne siamo convinti, ma per convincere gli altri bisogna solo far vedere che siamo contenti e che ci dà la vitalità di vivere assieme e di volerci bene malgrado tutte le divergenze che ci possono essere e che ci saranno sempre».

«Ti rendi conto del progresso enorme vostro se vi impegnate come se l’assistenza doveste farla voi? Anzi la dovete fare voi in tutti i sensi»[5]: di fatto fu così, come attestano alcune cartoline dell’epoca alla stessa corrispondente[6], che aveva assunto compiti di segreteria ed in questo modo Corecco replicava uno degli aspetti dell’esperienza della GS milanese, nella quale i preti non svolgevano alcun ruolo organizzativo[7].

Corecco aveva grande stima di don De Grazia[8], ma pensava che dovesse avere il tempo di conoscere l’esperienza che si faceva nella Gaunia e che non fosse facile per lui stare in un gruppo già costituito, con precisi punti di riferimento oltre a che a don Giussani e a lui anche agli universitari del Centro culturale Charles Péguy[9], i suoi momenti di incontro e le sue iniziative. All’inizio di dicembre 1967[10], Corecco mandava a G. l’indirizzo di Monaco ed una serie di indicazioni per i prossimi esercizi: desiderava che tutti gli studenti, possibilmente anche quelli di V ginnasio, ricevessero l’invito. Ed era questa una nota che indirizzava a lei personalmente. Sollecitava notizie di lei e di tutti. Nel mese di gennaio[11], le scriveva di nuovo e, stipando le tante cose da dire nell’esiguo spazio della cartolina, esprimeva il timore di non poter partecipare al campo di sci, ed anche se avesse potuto l’avrebbe saputo solo all’ultimo momento, occorreva quindi assicurarsi la presenza di padre Emmanuel e convincere don Mauro di questa necessità. Si preoccupava anche dei costi e dell’eventuale possibilità di trovare sussidi[12]. Approfittare delle vacanze scolastiche di Natale per proporre un campo di sci, raggiungere il maggior numero di persone possibile, anche «quelli di terza dell’anno scorso», fare posto per qualcuno degli attuali studenti di terza liceo in un campo pensato per gli universitari, erano queste le sue preoccupazioni[13]. Nel mese di giugno[14], faceva il punto sul valore del legame costituito dalla comunione. G. gli aveva scritto forse un po’ sconfortata, a causa di divergenze legate all’acuto momento di contestazione studentesca, culminata anche al Liceo di Lugano con una giornata di sciopero[15], ma soprattutto preoccupata per alcuni compagni che non aderivano alla scelta della maggioranza, che aveva deciso di iscriversi all’università di Friburgo, per rimanere uniti e continuare l’esperienza comunitaria. L’importanza di frequentare la stessa università, mettendo in secondo piano criteri di prestigio o di comodo, era stata vivamente sottolineata soprattutto da chi, più anziano di un anno, già faceva l’esperienza della lontananza dal gruppo[16]. Corecco interviene a proposito dell’unità, che ha la sua radice nella comunione: «la comunione non è alimentata da decisioni comuni, ma da qualche cosa che le precede e che deve rimanere anche quando le decisioni minacciassero di dividerci. L’esperienza ecclesiale non si realizza a livello di un’utopia, ma concretamente in mezzo a tutti gli ostacoli, agli interessi disparati, che potenzialmente tendono a distruggerla». Si preoccupa soprattutto che nessuno sia bollato negativamente per le sue scelte e, nel contempo, che queste siano fatte con un criterio corretto. Dal tono della lettera traspare l’intenzione di confutare qualche accusa di chiusura. «Le grandi cose sono sempre nate da un’unica esperienza fatta fino in fondo. […] Il mondo, cioè la vita la si vive non in misura della quantità di esperienze che si possono fare, ma in misura della profondità dell’unica esperienza: per noi quella religiosa, l’esperienza della Chiesa, perché abbraccia tutte le cose, tutta la realtà tutte le persone. Cristo ha fondato una Chiesa non una setta, una comunità “cattolica”, cioè universale, dove l’uomo può vivere tutta l’esperienza della vita altrimenti lo avrebbe ulteriormente limitato, costretto entro uno spazio umiliante, non redento. Redimere vuol dire, ricomperare, liberare dalla schiavitù. Esperienza unica vuol dire unitaria. Cioè vivere tutto facendo perno attorno ad un unico valore. […] la tentazione di passare da un’esperienza all’altra senza mai viverne una fino in fondo è quella dell’eclettismo, che è sinonimo di superficialità, di incertezza, di relativismo. Da una posizione metodologica eclettica non nasce mai una sintesi, perché manca l’esperienza unificatrice. È una questione di metodo […] certo bisogna conoscere molte persone, ma in base a quale esperienza? molti ambienti, ma se non si ha un criterio di verifica in base ad un ambiente vissuto, si finisce per assimilare un po’ di tutto, senza mai essere se stessi. Certo tutto ciò presuppone che si creda alla propria esperienza. La vivremo male l’esperienza della Chiesa e della comunione, ma la fede ci dice che è quella giusta, si tratta semplicemente di saperla vivere in profondità […]». Perché queste considerazioni possano giungere a tutti, Corecco invita G. ad organizzare un’uscita in capanna per la festa dei SS. Pietro e Paolo, per tutti gli amici di terza: non deve essere un ultimo tentativo di cambiare le scelte, ma piuttosto un momento per evitare che le scelte divergenti portino ad una rottura. E poi bisogna che ci sia anche qualcuno di prima o seconda e, perché no, qualche universitario…

1.1.2.  L’«occupazione» del 1968: l’origine dell’unità e la serietà della vita

Le considerazioni sul fondamento dell’unità erano maturate nella prova a cui la giovane comunità liceale era stata sottoposta dal vivace momento di contestazione studentesca, scoppiato anche nelle scuole superiori del Ticino nella primavera del 1968.

La protesta era partita dalla Scuola Magistrale di Locarno, dove l’agitazione durava dall’inizio dell’anno scolastico, perché qui, oltre al malessere generale che pervadeva il mondo studentesco, si risentivano gli effetti di una situazione logistica quasi invivibile. L’istituto, creato come convitto per formare i maestri e le maestre di scuola elementare e dell’infanzia, era ormai del tutto inadeguato ad accogliere la massa crescente degli studenti e tutta una serie di richieste da parte dei giovani, avanzate seguendo la prassi normale, era stata disattesa senza spiegazioni; per finire, gli studenti decidevano di attirare l’attenzione sulle loro condizioni con uno sciopero. Immediatamente sollecitavano la solidarietà delle altre scuole medie superiori, anche perché la loro iniziativa era gravida di conseguenze: si preparavano ad entrare nel mondo del lavoro ed entro pochi mesi (al massimo pochi anni), avrebbero dovuto presentare il loro CV alle autorità comunali, responsabili dell’assunzione dei maestri, e l’aver preso parte a questo gesto di protesta esponeva gli scioperanti al rischio di pesanti ritorsioni.

Al Liceo la direzione, preoccupata per il possibile dilagare dello sciopero, radunava gli allievi per ammonirli, in via preventiva, sulle possibili conseguenze di un gesto giudicato di grave insubordinazione. Ma proprio quell’adunata offriva ad alcuni studenti della Magistrale, riusciti a penetrare nell’aula magna, l’opportunità di lanciare il loro appello, prima di essere allontanati. I liceali del movimento studentesco di tendenza marxista convocavano un’assemblea la sera stessa e, attribuendosi il ruolo di guida della massa incerta degli studenti, decisero di scioperare, ovvero «occupare» un’aula, senza però far proprio il motivo della solidarietà, giudicato sentimentale. Nel gruppo di Gaunia gli animi erano divisi: alcuni condividevano il disagio nei confronti di un’istituzione scolastica invecchiata e si sentivano profondamente interpellati dagli avvenimenti. Come diranno in uno storico volantino, non volevano «restare tagliati fuori dal colloquio con gli altri compagni che occupano» ed intendevano cogliere l’occasione per mettere a tema «i veri contenuti di un discorso sulla scuola»[17]. Altri invece, seguendo la preoccupazione di insegnanti e genitori, dissentivano da questa forma di protesta. Mancava il tempo per ponderare con calma la decisione[18]. Dopo una febbrile consultazione telefonica con don Giussani a Milano e con don Corecco a Monaco, un gruppo decise di occupare ed espose le sue motivazioni in un volantino, firmato «gruppo di studenti cattolici»[19]. Don Giussani lodò la capacità di questi ragazzi di porsi con la propria fisionomia[20]; mentre Corecco avrebbe preferito che tutti si astenessero dallo sciopero. Prevaleva in lui la preoccupazione per l’unità del gruppo e forse sentiva la pressione delle famiglie, quanto mai allarmate da un’azione che appariva dirompente ed egemonizzata dal pensiero marxista. In questo contesto, fu anche la firma a suscitare profondo scalpore, soprattutto in quei cattolici che avevano fatto della disciplina e dell’obbedienza alle autorità costituite il fondamento del proprio comportamento sociale.

È indubbio che le considerazioni di don Corecco sull’unità, di nuovo messa alla prova nella scelta universitaria («la comunione non è alimentata da decisioni comuni, ma da qualche cosa che le precede e che deve rimanere anche quando le decisioni minacciassero di dividerci») erano proprio maturate in questa circostanza drammatica. Egli non aveva in tasca la soluzione dei problemi e le risposte a tutte le domande, ma andava scoprendo insieme ai suoi giovani amici, un cammino, in cui i concetti teologici iniziavano a diventare esperienza reale e più solida delle umane divergenze. Gli stava a cuore soprattutto la verità dei giudizi, come emerge non solo di fronte agli strascichi di malcontento rimasti in qualcuno[21], ma soprattutto nell’urgenza che quanto di vero era stato espresso nella decisione di partecipare allo sciopero, fosse portato avanti. Scriveva ad un genitore[22], preoccupato perché il figlio aveva modificato l’indirizzo di studio per frequentare l’università di Friburgo e vivere negli appartamenti della comunità: «l’idea dell’appartamento è nata come risultato marginale di un discorso che da un paio d’anni abbiamo condotto assieme in Gaunia da quando ne ero diventato l’assistente […]. Il discorso è diventato inevitabilmente un discorso esplicitamente ecclesiale, dato che il problema della fede oggi si pone primariamente come problema di appartenenza e di fede nella Chiesa, che è la comunità di tutti i cristiani. […] Il primo nucleo di esperienza ecclesiale, perché il discorso non rimanga astratto, è l’ambiente nel quale uno vive con la preponderanza dei suoi interessi, perché è quello immediatamente percepibile. Per un ragazzo è l’ambiente della scuola che assorbe almeno i ¾ della sua vita. […] Così è nato il gruppo a cui il F. ha sempre partecipato. Non si tratta del solito gruppo di amici, che si forma sociologicamente per simpatie occasionali, ma di un gruppo nel quale è diventato sempre più chiaro che la ragione della sua esistenza e dell’amicizia reciproca è la comunione spirituale originata dal fatto di essere cristiani e di avere un interesse religioso. Un gruppo dunque a impostazione religiosa e comunitaria. Su questa base è stato possibile inserire il discorso della impostazione della propria vita e della professione. Ciò è avvenuto in modo definitivo al campo di sci del Sörenberg dell’anno scorso che è stato preceduto a distanza di un mese da un ritiro spirituale. Se la vocazione non è un progetto e una decisione che ognuno fa per conto suo e in forza di criteri puramente sociali, ma la risposta ad un piano che ci viene proposto da Dio e che deve essere individuato attraverso le circostanze personali, ecclesiali e sociali, ci è parso in un momento di acuta crisi scolastica, che l’intervento del ragazzo non poteva esaurirsi in un gesto per forza di cose immaturo, di protesta e di occupazione, ma doveva investire un impegno a più lunga scadenza. In definitiva doveva diventare un gesto di inserimento nella scuola, e in modo più generale nel mondo della trasmissione culturale, come professionista. Ciò presupponeva la disponibilità a rinunciare coscientemente ad altre carriere più allettanti socialmente, ma che di fatto sono profondamente inserite e compromesse con il sistema che i giovani di oggi contestano globalmente. La contestazione globale è stata interpretata non tanto al livello ideologico come contestazione di tutto, ma su quello soggettivo come contestazione che deve essere fatta sul piano personale prima e da tutti assieme. È l’idea della comunità cristiana che esige questa logica. Si trattava di dare unità al gesto di oggi (l’occupazione della scuola) con quello di domani (la trasformazione della scuola dall’interno con l’impegno della propria vita) perché solo in questa prospettiva il gesto fatto in età giovanile assume un valore: altrimenti resta una ragazzata».

Quell’autunno un buon gruppo di studenti si iscriveva all’università di Friburgo, preferita non perché era l’università cattolica della Svizzera, ma piuttosto perché permetteva alla maggior parte di loro di seguire gli studi prescelti e solo pochi avevano dovuto cambiare priorità. Si era trattato di una libera scelta, perché don Giussani era sempre attentissimo proprio alla libertà. Al grande educatore milanese stava a cuore che ciascuno scoprisse la sua vocazione, personale e lavorativa. Solo quando mancavano criteri per decidere, egli suggeriva discretamente di tenere presente l’aiuto ai sofferenti, e quindi le carriere indirizzate alla cura dei malati, e la scuola, ovvero quegli studi che avrebbero permesso di insegnare. La stessa libertà e nello stesso tempo la grande serietà nei confronti della vita e delle sue circostanze aleggia nella lettera di Corecco.

Gli studenti della comunità avevano preso in affitto alcuni appartamenti in una casa popolare ai margini di un quartiere non troppo distante dalla sede principale dell’Università (Miséricorde). In previsione di un’espansione edilizia che non avvenne mai, la casa sorgeva oltre il cantiere dell’autostrada allora in costruzione, in mezzo ai campi. Doveva essere la prima e rimase la sola. Era stata scelta per l’affitto modico: in questi anni di democratizzazione degli studi, anche giovani di modesta estrazione sociale e limitato reddito accedevano agli studi accademici, grazie alle borse di studio, ma sempre con grande sacrificio delle famiglie. Della comunità facevano parte ragazzi benestanti, alcuni decisamente ricchi, e altri poveri: si decise di cercare un alloggio alla portata di tutti. La scelta di vivere insieme, per contenere le spese ma anche per fare nuove esperienze e verificare la propria ipotesi esistenziale, stava diventando popolare tra gli studenti universitari. Negli appartamenti della «comunità»23 si verificava l’ipotesi di vita cristiana: una cassa comune per il vitto, una suddivisione dei lavori domestici, una regola di preghiera quotidiana, ovvero la recita delle Ore, che don Giussani aveva proposto e reso cara a tutti i suoi ragazzi[24]; si praticava la separazione dei sessi. Con qualche apprensione, da Monaco, don Eugenio seguiva la vita degli appartamenti, la crescita della fede, le tensioni e le crisi che caratterizzavano questa esperienza così nuova portata avanti da giovani che si trovavano per la prima volta lontani da casa e pienamente responsabili delle loro azioni. Anche i rapporti epistolari con gli studenti più piccoli, che mantenevano viva la proposta comunitaria in alcuni Ginnasi del Luganese e al Liceo di Lugano, erano sempre intensi e profondi. Come giustamente Corecco aveva intuito, da quando la fede interessava davvero la loro vita, non mancavano giovani che si interrogavano seriamente sull’ipotesi di una vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata. Egli seguiva con attenta trepidazione ciò che il Signore operava nei ragazzi, preoccupato soprattutto che ascoltassero la Sua chiamata, non forzava mai una decisione, ma invitava ad essere generosi nei confronti del Signore[25]. Neppure nei confronti di questi giovanissimi la sua responsabilità avrebbe potuto recedere. Don De Grazia, che a differenza di Corecco aveva accettato le ore di catechismo nella V Ginnasio, nell’autunno del 1968 aveva accolto la richiesta di alcuni allievi di dedicare le ore di religione alla spiegazione dell’enciclica Humanae vitae di Paolo VI (pubblicata nel mese di luglio di quell’anno). Agli occhi dei benpensanti si trattava né più né meno che di un corso di educazione sessuale, grande rivendicazione della «sinistra» ed altrettanto grande tabù della «destra»[26]. Denunciato anonimamente al vescovo,, egli veniva rimosso dall’incarico e vane furono le lettere di protesta da parte degli universitari della Lepontia, che si mobilitarono in sua difesa[27]. Al suo posto venne nominato assistente degli studenti don Paolo Sala (1944-2018)[28], che assunse l’incarico in un clima avvelenato e con poca convinzione, mentre era ormai chiaro che per i liceali della Gaunia i punti di riferimento erano Corecco, Giussani, gli amici di Milano e le loro proposte, di particolare importanza quelle legate alla caritativa ed i campi estivi di lavoro in Calabria[29].

1.2.  «Aprire nuove vie alla Chiesa»: la riforma del Diritto canonico

Corecco stesso aveva ripreso gli studi con un nuovo e più ampio respiro. Il rapporto intenso con gli studenti, documentato dalla sua fitta corrispondenza e dalle visite di questi giovani, la cui assiduità alle pratiche religiose, abbinata alla lieta disinvoltura del comportamento, riempiva di stupore i suoi colleghi[30], la necessità di rispondere alle tante domande, sul senso e il destino, che questi ragazzi, che avevano preso sul serio la loro vita, potevano porre[31], lo impegnava in una riflessione continua e riempiva di significato esistenziale i concetti teologici ed i termini – anche giuridici – che, nella Chiesa, definiscono la relazione tra il fedele e Dio e tra gli stessi fedeli. Era la sua vita, prima di tutto, ad essere investita da questa esperienza di comunione. Di conseguenza, il rapporto con i suoi colleghi assistenti – Oskar Saier, Winfried Aymans e Antonio María Rouco Varela – non si fermò al livello della collaborazione scientifica, ma si aprì ad un’amicizia personale. Significative, nel ricordo di S. E. il card. Rouco Varela, le due estati di seguito, durante le quali i quattro trascorsero insieme una parte delle vacanze, visitando la Spagna[32]. Nel 1968, quando stavano per dare inizio al secondo giro, le truppe sovietiche invadevano la Cecoslovacchia, il cardinale emerito di Madrid ancora ricorda con quanta trepidazione Corecco cercasse di seguire gli avvenimenti, preoccupato per la sorte di quanti avevano rischiato la libertà personale o addirittura la vita perché il loro paese potesse godere di maggiore democrazia. Ed egli si stupiva per la naturalezza con cui Corecco si sentiva partecipe di questo dramma[33]. L’amicizia tra loro non era fondata su di una sintonia sentimentale o su di una felice concordanza di caratteri, ma era un’amicizia ecclesiale, e proprio per questo profondamente umana e personale: egli stesso, quando seppe di essere stato prescelto come vescovo e, come di rito, doveva riflettere se accettare o meno l’elezione senza divulgare la notizia, chiese ed ottenne di poterne parlare con Eugenio Corecco[34]. Il desiderio di «aprire vie nuove alla Chiesa»[35], comune a molti teologi legati alle più diverse scuole, non si ridusse per loro a riflessione teorica, ma prese la consistenza in un’esperienza vissuta favorendo la comprensione delle potenzialità dell’insegnamento del prof. Mörsdorf, che tanto prestigio aveva conferito alla sua cattedra.

L’impegno scientifico di questo eminente studioso era volto a dare al diritto canonico basi esclusivamente teologiche, e non anche filosofiche, come avveniva in tutte le altre facoltà teologiche, dove si accettava come cosa ovvia che la Chiesa potesse legiferare a partire dal principio ubi societas ibi ius, in analogia con il diritto statuale, già individuato nelle tesi del Bellarmino. Porre a fondamento del diritto canonico la sola teologia, significava affermare che le sue leggi scaturivano dalla sua peculiare natura, che è Parola e Sacramento, senza dipendenza concettuale dal diritto civile. Negli anni ’60 ed all’inizio degli anni ’70, quella di Monaco era considerata una scuola anomala, stimabile e giustificata nella sua originalità dalla necessità del confronto con il mondo protestante, ma pur sempre un’anomalia. Per Corecco invece «il metodo di Monaco» apriva la via per recepire nel diritto canonico l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II[36].

1.3.  La riforma del Codice di Diritto canonico e la Lex Ecclesiae Fundamentalis (LEF): parlamento ecclesiale o diaconia sinodale?

«Non può evidentemente sfuggire il fatto che la preparazione del nuovo CIC è avvenuta, per lungo tempo, all’ombra del progetto di una Lex Ecclesiae Fundamentalis che, come è noto, aveva ampiamente subito il fascino del costituzionalismo giusnaturalista moderno»37

Eugenio Corecco si accingeva a fare del diritto canonico il lavoro della sua vita, quando la Chiesa affrontava il grave compito della riforma del CIC. Questo «aggiornamento» era concepito, nell’intenzione espressa da Giovanni XXIII, come terzo e ultimo passo di una riforma che iniziava con l’indizione del Sinodo della Diocesi di Roma (il primo dopo il Concilio di Trento) ed il cui culmine sarebbe stata la convocazione del Concilio ecumenico. Nel 1963 la Commissione per la revisione del Codice latino era stata istituita e continuò i suoi lavori fino al 1965, quando si ritenne necessario interrompere i lavori per accogliere nel Codice quanto contenuto nei documenti del Concilio, i cui padri si auguravano che la revisione procedesse senza eccessivi ritardi[38]. In realtà solo nel 1967, nella prima assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, si chiarì che la revisione sarebbe stata una profunda recognitio Codicis e avrebbe comportato la redazione di due testi, uno per le Chiese orientali e uno per la Chiesa latina, mentre la legislazione comune a tutti i cattolici sarebbe stata garantita da un «codice fondamentale» denominato Lex Ecclesiae fundamentalis (LEF)[39], con il compito di assicurare i diritti fondamentali dei fedeli[40]. Sarà appunto questa specie di carta costituzionale della Chiesa a gravare fortemente sulla revisione del Codex Iuris Canonici. Per la LEF era stato costituito un gruppo di lavoro, al quale parteciparono anche consultori della Commissione orientale, che nell’arco di tempo dal 1965 al 1980 avrebbe prodotto sei schemi o progetti, sottoposti all’esame dell’episcopato cattolico, che avrebbero suscitato «un vasto dibattito e aspre polemiche tra le diverse Scuole canonistiche». L’idea della LEF sarebbe stata accantonata da Giovanni Paolo II nella primavera del 1981 «a causa dell’incertezza che l’aveva sempre accompagnata, del debole consenso dell’episcopato, dei gravi problemi teorici che sollevava e dell’equivoco che la sua denominazione richiamava»[41]. Tuttavia questo lungo lavoro non sarebbe stato vano, perché avrebbe costituito la possibilità di introdurre nell’ordinamento canonico «alcuni principi costituzionali, come lo statuto giuridico dei fedeli, il principio di legalità, il controllo di congruità delle leggi, il controllo di legittimità degli atti amministrativi singolari»[42]. I problemi teorici e gli equivoci legati alla LEF derivavano forse in parte dalla genesi stessa dell’esigenza di dotare la Chiesa di un codice. Fino al Codex Iuris Canonici (CIC) pio-benedettino del 1917, non si era ritenuto necessario averne uno e quel primo codice fu certamente frutto anche di circostanze temporali. Dopo i rivolgimenti della rivoluzione francese e dell’epoca napoleonica, la Chiesa aveva attraversato, con la «restaurazione» monarchica, un breve periodo in cui godeva dell’alta stima delle autorità civili, stima indirizzata soprattutto alla Santa Sede. «Il riconoscimento da parte degli Sati europei del nuovo status della Santa Sede in rapporto alle chiese nazionali è accompagnato da due importanti capisaldi concettuali: l’affermazione dell’autorità pontificia e la concezione della Chiesa in senso analogo allo Stato. In tal modo si preparano, da un lato, le idee del Concilio Vaticano I e, dall’altro, gli sviluppi del diritto pubblico ecclesiastico»[43]. Fu in questo contesto concettuale, dopo l’aspro periodo dell’anti-clericalismo liberale della seconda metà dell’Ottocento, che si procedette alla redazione del CIC, al quale è riconosciuto quasi unanimemente il merito di aver favorito la rinascita della scienza canonistica[44], assicurando a quello canonico la stesa autorevolezza giuridica degli altri rami del diritto, in reazione allo sprezzante giudizio formulato da giuristi di cultura statalista[45]. La Chiesa aveva posto a fondamento del CIC lo stesso principio del diritto statuale classico, che la abilitava a legiferare a partire dal suo essere societas perfecta in genere suo suprema, adottando la forma del Codice Civile napoleonico, sebbene le sue norme fossero finalizzate alla salus animarum[46]. E tuttavia il CIC pio-benedettino si apriva con il Credo di Nicea, di cui voleva essere la messa in opera[47].

Alla vigilia del Concilio Vaticano II e sulla falsariga dell’evoluzione della legislazione statuale, si pensava ad un aggiornamento del CIC, che sembrava da ricercarsi in una sorta di aggiunta, un adeguamento all’evoluzione del diritto in campo politico, con una nuova definizione dello scopo ultimo dell’organizzazione ecclesiastica individuato ora nel bonum Ecclesiae[48]. Siccome il CIC del 1917 guardava alla Chiesa in termini quasi esclusivamente gerarchici, per dare spazio al suo aspetto partecipativo, già espresso nella Mystici Corporis di Pio XII (1943) ed ora messo in luce dalle costituzioni conciliari con definizioni quali quella di «popolo di Dio»[49], si pensava di ricorrere a strutture, che, nel fondamento e nel funzionamento, potevano essere simili ai parlamenti delle democrazie liberali. «Non si tratta di affermare che il modello della Lex fundamentalis, per altro mutuato dalla Lumen Gentium, anche se ne tradisce alle volte le intenzioni ultime, è radicalmente inadeguato, ma si tratta di costatare che la Lex fundamentalis coglie la costituzione della Chiesa prevalentemente al livello degli elementi derivati, trascurando quelli primariamente costitutivi […] D’altra parte è innegabile che nella Lex fundamentalis riaffiora come residuo inconscio, il modello della societas perfecta, anche se camuffato dalla presenza di tanti altri elementi teologici. […]. La causa ci sembra […] essere il fatto che nella Lex fundamentalis siano stati plagiati troppo da vicino contenuti e criteri propri dello stato di diritto., espressione giuridica con la quale la cultura liberale ha realizzato l’idea di societas perfecta. Da questo punto di vista la sistematica della Lex fundamentalis è fin troppo esplicita»[50]. A partire dal documento della Conferenza episcopale latino-americana dopo l’incontro di Puebla (1980), che aveva messo al centro dell’interesse l’evangelizzazione e scoperto una sorprendente possibile unità grazie alla cultura comune delle popolazioni latino-americane, Corecco coglieva interessanti spunti di riflessione che consigliavano di rinviare il progetto della LEF, «limitandosi alla promulgazione di leggi generali provvisorie, in attesa che un’immagine ecclesiale, così profeticamente evocatrice come quella proposta da Puebla, abbia il tempo sufficiente per maturare indicazioni non solo sul modo di concepire la Lex fundamentalis, ma anche sulla nuova codificazione della Chiesa latina»[51]. La proposta non era però condivisa e si rifletteva su progetti di aggiornamento, ispirati piuttosto dal modello democratico, che vedevano impegnati, con l’intento di contribuire a realizzare l’ecclesiologia conciliare di cui non ignoravano di certo la portata[52], soprattutto i giuristi della scuola italiana, come Pietro Agostino d’Avack[53], titolare della cattedra di Diritto canonico presso l’Università La Sapienza a Roma e Orio Giacchi[54], ordinario dell’omonima cattedra presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, con l’apporto della scuola spagnola, che faceva capo all’Università di Pamplona ed alla prestigiosa figura di Pedro Lombardía[55]. L’opera era ardua e si scontrava con notevoli ostacoli. Emergevano difficoltà concettuali, la cui natura era ben chiara agli occhi degli studiosi che se ne occupavano. A questo si aggiungevano pareri contrari, all’inizio soprattutto di stampo conservatore[56] e di tutt’altro segno più tardi, negli anni Settanta quando divenne molto comune l’accusa di integrismo. Gli esponenti di questo nuovo tipo di critica avrebbero giudicato ogni progetto di LEF un grave travisamento dell’ecclesiologia conciliare, perché riproponeva una concezione di chiesa intesa come potere, secondo forme apparentemente aggiornate, ma in realtà superate e non assolutamente in grado di salvaguardare la dignità dei fedeli[57]. Seguendo il diffuso clima libertario e terzomondista fiorito

dagli anni ’60 in poi[58], i teologi di questa fazione avrebbero condiviso le denunce, formulate anche contro la Chiesa, a proposito di responsabilità colpevoli all’origine delle enormi disparità economiche che affliggevano la popolazione mondiale e giudicato lo sfrontato benessere del continente europeo e nord-americano un frutto del furto delle risorse altrui. Non raramente facendo propri i criteri di analisi marxista, essi ritenevano che la Chiesa dovesse non solo distanziarsi da certe gerarchie ecclesiastiche accusate di connivenza con dittatori capitalisti, ladri e privi di scrupoli, ma anche rinunciare a qualsiasi forma di potere e, per finire anche di autorità. La «Chiesa povera», concetto di cui il Concilio aveva discusso ed espressione che aveva inserito nella Lumen Gentium, era non solo una Chiesa dalla parte dei poveri, ma soprattutto una Chiesa senza appoggi e priva di strutture; che rinunciava a rivendicare qualsiasi spazio pubblico garantito[59] o qualsiasi diritto e si affidava unicamente alla forza della sua testimonianza. Nella sua organizzazione interna, avrebbe dovuto assumere le forme più partecipative possibili, sia nel dialogo tra le chiese locali e la Santa Sede sia all’interno stesso di queste, facendo a meno non solo dei segni esteriori dell’autorità e del prestigio, ma anche della gerarchia[60]. Si sarebbe risolto in questo modo il nodo del ruolo dei laici, tema sul quale molti intellettuali cattolici, anche ticinesi, avevano investito notevoli speranze. Di fronte a queste prospettive non prive di pericolose derive, che, saldandosi con lo spirito sessantottino, entusiasmavano le forze migliori soprattutto tra i giovani, ai canonisti sembrava indispensabile trovare e porre un limite, che assicurasse sì l’aggiornamento delle strutture della Chiesa nel senso «democratico», apparentemente indicato dalle costituzioni conciliari, ma senza portare alla dissoluzione. È forse questa la ragione per cui il progetto della LEF, per quanto arduo fosse, non poteva essere abbandonato. Neppure il card. Pericle Felici taceva a proposito del compito che le circostanze attribuivano agli specialisti del diritto: «Bisogna prendere atto che l’autorità stessa della Chiesa è oggi maggiormente difesa dai canonisti e dai giuristi»[61].

1.4.  Il ruolo della scuola di Monaco nella riforma del Diritto canonico

Nel clima confuso degli anni del post-concilio, i canonisti affrontavano il loro compito unendo le forze. Dopo un primo congresso internazionale, organizzato dalla Pontificia Commissione per la Revisione dei Codice di Diritto canonico su richiesta di papa Paolo VI, in occasione dei cinquant’anni del Codice del 1917[62]; sul tema Il Diritto della Chiesa dopo il Concilio, nel 1970, i canonisti si incontravano in un secondo convegno internazionale a Milano, questa volta sul tema Persona ed ordinamento nella Chiesa. Al termine decidevano di dare forma stabile alla loro collaborazione fondando la Consociatio internationalis studio iuris canonici promovendo[63], alla cui presidenza chiamarono Pietro Agostino d’Avack, allora anche rettore dell’Università La Sapienza di Roma, scelta questa che sottolineava l’indiscussa predominanza della cosiddetta «scuola italiana» e della sua concezione strettamente giuridica del Diritto canonico.

Il pensiero di Mörsdorf, intervenuto sia al convegno di Roma che a quello di Milano, era ascoltato con deferente attenzione, ma ancora considerato minoritario[64]. Eppure, quando al termine del convegno milanese, e www.iuscanonicum.it/consociatio-internationalis i canonisti avevano chiesto ed ottenuto di essere ricevuti in udienza dal papa, Sua Santità, il pontefice Paolo VI, dopo una rapida allusione a «opinioni non benevole [che] hanno gettato un’ombra di sospetto sul Diritto della Chiesa; certuni pensano che, come società visibile, la Chiesa non debba avere a che fare con un diritto vero e proprio, e possa attenersi a regolamenti ed ordinamenti interni; altri invece non hanno visto, alla luce del Concilio Vaticano II, che questo diritto è profondamente radicato nel mistero stesso della Chiesa», mirò soprattutto a sottolineare che «il Diritto canonico non può non essere in relazione sempre più stretta con la teologia e con le altre scienze sacre, perché è anch’esso una scienza sacra, e non è certo quella “arte pratica” che alcuni vorrebbero, il cui compito sarebbe solo quello di rivestire di formule giuridiche le conclusioni teologiche e pastorali ad esso pertinenti»[65]. E ancora: «Col Concilio Vaticano II si è definitivamente chiuso il tempo in cui certi canonisti ricusavano di considerare l’aspetto teologico delle discipline studiate, o delle leggi da essi applicate»[66]. Paolo VI sottolineava che «la Chiesa del “Diritto” e la Chiesa della “carità” sono una sola realtà, della cui vita interna è segno esteriore la forma giuridica»[67] ed invocava la necessità di una teologia del Diritto, «che non solo approfondisca, ma perfezioni lo sforzo iniziato dal Concilio stesso»[68] e concludeva: «la vostra prima preoccupazione non sarà dunque quella di stabilire un ordine giuridico puramente esemplato sul diritto civile, ma di approfondire l’opera dello Spirito che deve esprimersi anche nel Diritto della Chiesa»[69].

Era la priorità emersa già negli scritti di Corecco degli anni ’60, sia nel suo primo saggio del 1964, dedicato appunto al metodo, sia nel corposo studio su L’origine del potere episcopale (1968)[70], ripreso in un conciso contributo per la rivista Concilium[71]. L’A. esaminava gli aspetti del mistero comunionale della Chiesa, rimessi in luce dal Concilio Vaticano II. Nei necessari rinnovamenti strutturali e nella stessa riforma del CIC individuava il livello profondo, teologico, da cui entrambi dovevano muovere, per esprimere la natura ed il compito della Chiesa. L’insistenza sul problema del metodo e sul fondamento teologico nasceva sia dall’evidente inadeguatezza dei concetti giuridici mediati dall’ambito civile sia dal timore che le riforme si esaurissero ad un livello formale ed esteriore, senza introdurre i fedeli ad una più profonda comprensione della propria fede.

Alla fine degli anni ’60, i giovani esponenti della «Scuola di Monaco» erano ormai fisicamente dispersi: nel 1969 Eugenio Corecco aveva iniziato l’insegnamento all’Università di Friburgo; Winfried Aymans era all’Università di Treviri, Antonio Rouco Varela a Salamanca, mentre Oskar Saier nel 1970 diventava rettore del seminario St. Peter di Freiburg e vescovo ausiliare di quella diocesi due anni dopo (1972). La loro collaborazione scientifica con Mörsdorf e tra di loro era però rimasta intensa, così come l’amicizia, sempre viva ed anche battagliera[72]. Nel 1971 usciva nelle edizioni Jaca Book, la giovane casa editrice milanese fondata da Sante Bagnoli, uno dei primi seguaci di don Giussani, con l’intento di dare voce ad esperienze autentiche di Chiesa e ad opere in cui fosse viva e presente la domanda sulla condizione umana e soprattutto sul suo desiderio di libertà, un piccolo libro in forma dialogica tra Eugenio Corecco (che poneva le domande) e Antonio Rouco Varela (che rispondeva) sul significato del diritto canonico, che fin dal titolo focalizzava un aspetto molto dibattuto e spesso frainteso: Sacramento e diritto. Un’antinomia nella Chiesa?[73]. In un momento in cui l’alternativa sembrava porsi tra una Chiesa, resa rigida ed incapace di dialogo con il mondo dai suoi dogmi e dal suo ordinamento gerarchico, ed una Chiesa povera, priva di strutture, di potere, ma anche di certezze ed ancella per questo delle ideologie dominanti, Rouco Varela e Corecco parlavano di una Chiesa cosciente di sé, con un suo proprio dinamismo non descrivibile con le categorie umane del potere o dell’assenza di potere. Da questo dinamismo prendevano significato peculiare i concetti, in primis quello di autorità, le strutture ed anche le norme. Le definizioni delle costituzioni conciliari sarebbero dunque divenute realtà lasciando emergere e seguendo il dinamismo proprio della Chiesa, che altro non era se non la Communio[74]. Compito del diritto era servire questa realtà non mondana, con i suoi strumenti concettuali. L’intento non era polemico, ma esprimeva il contributo della Scuola di Monaco a tutti quelli che desideravano «aprire vie nuove alla Chiesa»[75], ed in particolare alle altre scuole ed agli altri canonisti, impegnati a tradurre in termini giuridici l’insegnamento conciliare, che, frutto di profonde riflessioni ed appassionate discussioni, aveva aperto speranze ed attese su temi fondamentali come un nuovo concetto di autorità, i rapporti tra Chiesa universale e Chiese locali, lo status dei laici.

Conferma della schietta volontà di collaborazione è il Symposion di Monaco di Baviera, che si tenne in due sessioni dal 3 al 5 giugno e dal 30 settembre al 2 ottobre del 1971, radunando in un intenso lavoro di confronto e riflessione una cinquantina di canonisti ed alcuni teologi provenienti soprattutto dall’Austria e dalla Germania, ma anche da Spagna, Svizzera, Polonia e Lussemburgo. Dalla prima sessione scaturì una bozza di LEF, le cui parti furono esaminate da diversi gruppi, che avrebbero sottoposto le loro osservazioni alla discussione comune nel corso della seconda sessione. La Scuola di Monaco si occupò del Caput I, cioè dell’impianto basilare della stessa LEF, che comportava la riflessione sulla possibilità e sull’opportunità stessa di definire una LEF e l’affronto delle obiezioni che da più parti e per diverse ragioni erano state mosse al progetto[76]. Le proposte di modifica esposte da Eugenio Corecco in una conferenza al Conventus Canonistarum hispano-germanus di Salamanca nel gennaio del 1972 e rielaborate in un saggio pubblicato su La Scuola Cattolica[77] giungevano alla significativa conclusione, che definiva la Chiesa sul piano ontologico come communio Ecclesiarum, e quindi realtà essenzialmente sinodale, e sul piano antropologico come communio visibilis fidelium, chiave di volta per affermare anche il ruolo attivo dei laici. Da notare che Corecco si recò a Salamanca, accompagnato da un gruppo di studenti, approfittando del viaggio per stare con loro, mostrare loro un paese che ancora non conoscevano e farli incontrare con i suoi amici canonisti. Per queste ragioni, condivise con loro i rischi e le fatiche di un viaggio in automobile in pieno inverno[78]. Questi dettagli sono significativi: Corecco aveva un’intelligenza brillante, ma, come lui stesso affermerà a pochi mesi dalla sua morte prematura, è stata la partecipazione personale ad un’esperienza viva di comunione a dare un’impronta originale e radicale al suo affronto delle questioni di Diritto canonico[79].

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[1] ACorecco Lugano, Epistolario post mortem , 19 settembre 1969: lettera a R.

[2] ACorecco Lugano, Epistolario post mortem , 20 luglio 1967; anche in L’epistolario , in Bollettino Amici 1/I (novembre 1996) 20s.

[3] ACorecco Lugano, Epistolario post mortem : a G. F., 13 ottobre 1967; anche in

[4] ’ epistolario , 2224.4 Anche Corecco ne accenna: il dilagante clima di contestazione studentesca accen tuava la normale insofferenza di studenti, che si sentivano pronti a spiccare il volo verso l’università, mentre erano ancora confrontati con uno stile di insegnamento piuttosto au toritario , che, e non solo ai loro occhi, era giunto al capolinea.

[5] ACorecco Lugano, Epistolario post mortem : a G. F., 13 ottobre 1967; anche in

[6] ’ epistolario , 2224.6 ACorecco Lugano, Epistolario post mortem : a G. F., 3 dicembre 1967 e 23 gennaio 1968.

[7] A. Savorana , Vita di don Giussani , Milano 2013, 293: «tutto l’enorme lavoro di GS sta in piedi per la loro [degli studenti] dedizione, dal momento che i sacerdoti sono 2» (da una relazione di don Giussani al card. Montini, 23.1.1963).

[8] ACorecco Lugano, Epistolario post mortem , a G. F., lettera s. a. ma ancora sulla carta intestata del Seminario S. Carlo, in cui ribadiva la necessità della presenza al pros simo campo di sci di una persona autorevole (padre Emmanuel o don Fabio Baroncini), perché «don Mauro sta capendo tante cose ma ancora non saprebbe evitare gli equivoci». Evidentemente rispondendo a qualche segnalazione di difficoltà, chiariva che don Mauro era buono, era molto buono nei rapporti personali, ma era ancora intimorito dal gruppo; sollecitava ad evitare i pregiudizi e si preoccupava che materiali e registrazioni del recente ritiro venissero conservati e trasmessi a Milano a padre Emmanuel perché non andassero

[9] raccomandava di lavorare sugli esercizi che erano andati bene e chiedeva l’indirizzo di una studentessa ora a Zurigo perché le voleva scrivere, avendo l’impressione «che navighi un poco». Per l’incontro di padre Emmanuel Braghini, cappuccino, con don Giussani, cfr. Savorana , Vita di don Giussani , 157; per quello di don Fabio Baroncini, cfr. ibid. , 190.9 Testimonianza di Giulia Ferroni, Massagno (19 dicembre 2016).

[10] ACorecco Lugano, Epistolario post mortem , a G. F., 3 dicembre 1967, da Monaco.

[11] Ibid. : alla stessa, 23 gennaio 1968: per l’organizzazione degli esercizi, le ricordava ancora che voleva si proponessero anche ai ragazzi di V Ginnasio e per il campo di sci, per il quale raccomandava che ci si assicurasse la presenza di padre Emmanuel e che si sollecitasse la concessione del sussidio, che il cantone prevedeva per i gruppi che praticavano sport. A questo riguardo bisognava adempiere ad alcune condizioni, che non erano però difficili da rispettare.

[12] ACorecco Lugano, Epistolario post mortem : cartolina da Monaco a G. F., 23 gen naio 1967: le scrive di non ricordare se si sia mai ricevuto qualche sussidio, direttamente certamente no, forse qualcosa da Gioventù e Sport grazie al maestro Sandro Bottani, ma si tratterebbe di soli 200 FRS ogni 12 ragazzi e con l’obbligo di pagare un istruttore di sci.

[13] ACorecco Lugano, Epistolario post mortem : lettera a G. F., 13 dicembre 1967 ( er roneamente datata 1968); anche in L’epistolario , 25-27.

[14] ACorecco Lugano, Epistolario post mortem , a G. F., 13 giugno 1968; anche in

[15] , 2830.15 Cfr. più avanti l’«occupazione» del 1968.

[16] Cfr. Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore 3: lettera di E. (studentessa di medicina), s. a. ma databile al 1968.

[17] Così dal volantino stilato per diffondere la loro motivazione di adesione alla sciopero, che si dissociava nettamente da una convalida delle tesi marxiste, e voleva mettere a tema: «A) i rapporti fra la cosiddetta scuola “neutrale” e la società, B) i rapporti , e soprat tutto i rapporti di potere tra le componenti all’interno della scuola: studenti, professori, direzione; C) il rapporto tra scuola e cultura» ( ms presso Giulia Ferroni, Massagno).

[18] È quanto rilevava anche P. R., uno dei pochissimi adulti della comunità di allora, cfr. Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore 3: in una riflessione datata all’11 marzo 1968, constatava l’immaturità di una presenza se non era capace di porsi in modo originale; non poteva condividere l’immobilismo né riusciva a credere che la persona fosse maggiormente rispettata in una società le cui strutture erano state cambiate violentemente da una rivoluzione. Al momento di questa riflessione comunque la maggior parte dei Gau ni aveva deciso di partecipare all’occupazione; cfr. anche ibid. , Classatore nr. 2: Appunti dal raggio del 13 marzo 1968, da cui emerge una certa varietà di posizioni. Era stato lo stesso Corecco a chiedere ai ragazzi di incontrarsi (testimonianza di Giulia Ferroni, 19 dicembre 2016).

[19] Cfr. sopra, n. 17.

[20] Testimonianza di Claudio Mésoniat , Massagno 22 febbraio 2014, che, a tanti anni di distanza, ancora ricorda come don Giussani avesse letto il volantino durante un incontro al Centro Péguy, additando i ragazzi luganesi come un esempio da seguire.

[21] ACorecco Lugano, Epistolario post mortem , in una lettera a E. V., 14 marzo 1968, Corecco scriveva: «il C. ha agito in modo responsabile anche se, se si fosse potuto evitare un gesto così clamoroso, forse sarebbe stato meglio».

[22] ACorecco Lugano, ibid. , lettera al signor G. S., 3 ottobre 1968, anche in L ’ epistolario , 31-33; e cfr. anche in Giornale del Popolo, 24 ottobre 2015, 8: la testimonianza di Flavio Schira .

[23] Questo il nome dato al gruppo all’Università di Friburgo dagli altri studenti ticinesi.

[24] Dai primi ciclostilati si passò ad un agile libretto a stampa con Lodi, Ora Media, Vespri e Compieta; a partire dal 1975 Il Libro delle Ore fu pubblicato ripetutamente dalla Jaca Book di Milano.

[25] ACorecco Lugano, Epistolario post mortem : ad esempio le lettere a R. tra il 1969 ed il 1971; ed anche la lettera a lui indirizzata da un giovane non identificato, 12 agosto 1970.

[26] Per l’incidenza della cosiddetta «rivoluzione sessuale» nel rapporto dei giovani con la dottrina della Chiesa, si veda lo scandalo de La Zanzara, giornalino del Liceo Parini di Milano nel 1966; cfr. M. Busani, Gioventù studentesca . Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione , Roma 2016, 393-402.

[27] AVescLugano , Fondo Consiglio del Clero, Scat. 12, Corrispondenza – Documen tazione 1967-1968-1969: don De Grazia è allontanato nell’agosto 1969 e la decisione è confermata malgrado le lettere di sostegno da parte degli studenti universitari di Friburgo (26 agosto 1969) e Zurigo (28 agosto 1969). Scoppia poi una violenta polemica tra don Bruno Zoppi e mons. Leber, accusato di sostenere sul Giornale del Popolo posizioni ostili alle riforme conciliari.

[28] AVescLugano , SC 165: «lascia la veste» nel 1976.

[29] Si veda anche a questo proposito il carteggio con R., in ACorecco Lugano, Episto lario post mortem , lettere tra il 1969 ed il 1971; in particolare sul significato del campo di lavoro in Calabria quelle del 29 giugno 1969 e 30 luglio 1969: «Poi ti scrivo per scrivere a tutti voi che partite per la Calabria. È la prima volta che parte un gruppo di queste dimen sioni […] se andate in Calabria senza essere disponibili per fare un incontro con un annun cio che si manifesta attraverso le persone che incontrerete arrischiate di perdere il tempo, di tornare indietro più chiusi di prima, meno religiosi. Inoltre non si tratta di fare un’ espe rienza ognuno per conto suo, ma di farla assieme in una tensione di rapporto di comunione tra di voi. Quello che deve aumentare è la comunione, l’amicizia vostra, il desiderio di approfondire sempre di più il mistero di appartenere alla stessa Chiesa, la consapevolezza che la Chiesa siete voi, è in mezzo a voi. Buon viaggio a tutti e aspetto una cartolina». E nella lettera precedente si era raccomandato perché gli mandassero gli appunti dei raggi…; per i campi di lavoro in Calabria che iniziarono nel 1962, cfr. Busani, Gioventù studentesca , 428.

[30] Cfr. l’intervista al card. Antonio María Rouco Varela, Ascona 24 agosto 2009 (Patrizio Foletti e Antonietta Moretti) (d’ora in poi intervista al card. Rouco Varela, 24 agosto 2009): il Cardinale ricorda che, all’epoca, i giovani abbandonavano in massa la pratica religiosa. Andare a Messa e frequentare i sacramenti erano considerati segni di arretratezza mentale o di disadattamento. Ma questi ragazzi, che andavano a messa e si comunicavano, erano come tutti gli altri, allegri e senza complessi di inferiorità. «Chi sono?», chiedeva ad Eugenio, che gli raccontava del movimento di don Giussani, del quale non aveva ancora sentito parlare. È significativo che una volta divenuto vescovo, mons. Rouco Varela si sia reso disponibile ad invitare giovani di CL per impiantare l’esperienza nella sua diocesi, così come fece un altro degli assistenti, mons. Oskar Saier , quando divenne vescovo di Freiburg.

[31] Si confermava pienamente l’intuizione di cui aveva fatto parte a mons. Jelmini: solo se la fede fosse tornata ad essere una vita e una vita piena, i giovani si sarebbero interrogati a proposito della vocazione verginale. Questo tema era posto frequentemente nelle lettere e sempre Corecco invitava il corrispondente a vivere fino in fondo la circostanza in cui si trovava.

[32] Così nell’intervista al card. Rouco Varela, 24 agosto 2009: ricorda anche come fos sero soliti chiedere ospitalità nei seminari o nei conventi, ed in questo Corecco rinnovava la tradizione inaugurata da studente.

[33] L’interesse di Corecco non era né generico né astratto. Gli studenti di don Giussani, su particolare impulso di don Francesco Ricci (1930-1991), geniale prete di Forlì e tra i principali collaboratori di don Giussani, si interessavano vivamente della vita della Chiesa nei paesi sottoposti alla dittatura comunista, allora chiamata «Chiesa del silenzio». Don Ricci contestava questa definizione, il silenzio era imposto dall’impedimento della comu nicazione , invitava dunque i ragazzi a viaggiare nei paesi «d’oltre cortina», per incontrare i Cristiani, ascoltare la loro testimonianza e stringere con loro legami di amicizia. Nacque in questo modo CSEO (Centro Studi per l’Europa Orientale), con la propria omonima rivista, che rese familiari i nomi, la storia ed il pensiero di teologi, filosofi, artisti o semplici testimoni della fede, impegnati nella lotta per la libertà in Jugoslavia, Cecoslovacchia, Polonia , Ungheria, Germania dell’Est e Romania. Non fu mai possibile penetrare in Albania. Anche tra gli studenti svizzeri di Friburgo si diffuse la consuetudine di dedicare le vacanze estive, non solo al tradizionale campo di lavoro in Calabria, ma anche ai viaggi «all’Est»; per Ricci, che Giussani definì « il primo e più grande compagno di cammino», cfr. M. Ferrini (a cura di), Don Francesco Ricci fino agli estremi confini della terra , Castel Bolognese 2011.

[34] Intervista al card. Rouco Varela, 24 agosto 2009.

[35] Così il card. Rouco Varela, ibid.

[36] Fanno stato di questa certezza i primi saggi di Corecco , pubblicati su La Scuola Cat tolica , rispettivamente nel 1965 e nel 1968. Se nel primo, dedicato al rinnovo metodologico del Diritto canonico, la posizione viene spiegata teoricamente, nel secondo, che tratta del vescovo, del suo ruolo nella Chiesa locale e dell’origine del suo potere, questa metodologia è messa in pratica; cfr. E. Corecco , Il rinnovo metodologico del Diritto canonico , in La Scuola Cattolica 94 (1966) 3-35, e Id., L’origine del potere di giurisdizione episcopale. Aspetti giuridici e metodologico-sistematici della questione , in La Scuola Cattolica 96 (1968) 3-42, 107-141.

[37] E. Corecco , Dalla sussidiarietà alla comunione , in Communio 127 (1993) 90-105, 92.

[38] Cfr. l’annuncio di Giovanni XXIII che convocava dapprima il Sinodo romano, poi il Concilio ed infine prospettava la revisione del Codice, «come coronamento del Concilio »; a tale riguardo si veda C. Fantappiè , Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa , Bologna 2011, 301. I lavori iniziarono solo nel 1965.

[39] G. Alberigo, Fede, istituzione e L. F. nella tradizione cristiana , in AA.VV., Legge e Vangelo. Discussione su una legge fondamentale della Chiesa , Brescia 1972, 15-42, 17: in particolare il riferimento al progetto descritto da Paolo VI nel suo discorso del 20.11.1965:

[40] communis et fundamentalis codex ius constitutivum continens »; cfr. anche Fantappiè , Storia del diritto canonico , 301.40 Fantappiè , Storia del diritto canonico , 302, n. 125: rileva che un progetto di LEF era già stato prospettato nel 1904, ma con lo scopo di difendere la sovranità della Chiesa.

[41] Ibid. , 302.

[42] Ibid.

[43] Ibid. , 233.

[44] Corecco , Il rinnovo metodologico , 3: attribuisce al CIC 1917 un ruolo uguale, o forse ancor maggiore, rispetto a quello che deve essere riconosciuto ai Patti lateranensi del 1929, cfr. anche G. Feliciani, Esperienze canonistiche nell’Università italiana del secolo XX , in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 16 gennaio 2012, 1; e l’omaggio che Corecco riserverà sempre al Codice del 1917 nelle sue conferenze e nei suoi saggi di presentazione del Codice del 1983.

[45] Feliciani, Esperienze canonistiche , 1s.: per il giudizio negativo dell’autorevole Guido Padelletti (1843-1878), espresso pochi anni dopo la presa di Roma; ibid. , 3-6: per i concor di giudizi di Giuseppe Forchielli , Vincenzo del Giudice, Orio Giacchi e Pietro Agostino d’Avack, che vincolano la validità del diritto canonico al metodo giuridico, ad imitazione del diritto statuale.

[46] E. Corecco , Il nuovo Codice di diritto canonico nel segno del rinnovamento conciliare. Conferenza tenuta a Lugano martedì 22 marzo 1983 , in Bollettino Amici 3/IV (marzo 1999) 7-17, 10s.

[47] È un’affermazione cara al card. Pietro Gasparri, cfr. Corecco , Il rinnovo metodologico , 15; per l’origine culturale e la natura del CIC del 1917, cfr. anche Corecco , Il nuovo Codice di diritto canonico nel segno del rinnovamento conciliare , 8-12.

[48] Per la valorizzazione di questo scopo, poi sostituito nel pensiero di Corecco da quello di communio , cfr. G. P. Milano, Il Diritto canonico come scienza teologica nel pensiero di Klaus Mörsdorf , Eugenio Corecco e nella canonistica contemporanea, in Il Diritto Ecclesiastico 3-4/CXXVII (luglio-dicembre 2016) 279-291, 286 e n. 14.

[49] Si vedano a questo proposito le osservazioni di G. Philips, La Chiesa ed il suo mistero , Milano 1993, 21.

[50] E. Corecco , Prospettive per la « Lex fundamentalis » e la revisione del diritto canonico nel documento di Puebla , in Il Diritto Ecclesiastico 1/XCI (1980) 3-23, 14s.

[51] Ibid. , 11; e cfr. anche l’analisi di J. Bagnoud , Charismes et Mouvements selon Mgr . Eugenio Corecco , Milano 2020, 44-46.

[52] Cfr. in Feliciani, Esperienze canonistiche , 11: una citazione di d’Avack, secondo il quale il Concilio si riassume «in un grande sforzo di autoqualificazione e di autodefini zione della Chiesa, che, abbandonando l’ estrinsecismo dell’ecclesiologia post-tridentina, ha cercato di mettere in luce la propria natura misterica e sacramentale e la propria intima ricchezza spirituale carismatica».

[53] Cfr. F. Margiotta Broglio, D’Avack Pietro Agostino (1905-1982), in Dizionario Biografico degli Italiani , vol. 33, Roma 1987; e soprattutto i contributi di C. Mirabelli, C. Fantappiè , L. Graziano, M. Ventura e M. Vismara Missiroli, in J. L. Arrieta – G. P. Milano (a cura di), Metodo, fonti e soggetti del diritto canonico , Città del Vaticano 1999.

[54] Cfr. G. Caravale , Orio Giacchi (1909-1982) , in Dizionario Biografico degli Italiani , vol. 54, Roma 2000; e anche E. Corecco , Orio Giacchi , in Jus. Rivista di scienze giuridi che 39 (1992) 285-298.

[55] Pedro Lombardía Diaz (1930-1986), professore all’Università di Pamplona (Navarra ) ed alla Complutense di Madrid, fu il pioniere dello studio del diritto canonico in Spagna; per la sua opera, cfr. i contributi di J. Fornés , D. Le Tourneau , L. Graziano, C. Minelli, V. Prieto e M. Vismara Missiroli, in Arrieta – Milano (a cura di), Metodo, fonti e soggetti del diritto canonico ; per un confronto del suo pensiero con quello di d’Avack, cfr. C. Fantappiè , Pietro Agostino d’Avack: dal confronto con la canonistica curiale all’autonomia scientifica del diritto canonico , in ibid. , 139-170, 164-166.

[56] Si tratta qui della preoccupazione di salvaguardare il primato del pontefice, che tanto fece dibattere il Concilio, cfr. Philips, La Chiesa ed il suo mistero , 52-54; anche e soprattutto ibid. , 257-269; e le cautele che hanno portato alla stesura della Nota explicativa praevia , ibid. , 603-605.

[57] Si veda ad esempio l’ Editoriale di Testimonianze 127/XIII (settembre 1970) 580:

[58] resto qualsiasi Lex fundamentalis appare strutturalmente inadeguata a rispecchiare e a interpretare il significato della ecclesiologia conciliare». La rivista, che manterrà sempre un parere fortemente negativo, era intervenuta sul tema dopo che Il Regno. Documentazione cattolica 207, 15.7.1970, aveva pubblicato, senza autorizzazione, il progetto di LEF , che era allo studio nella commissione di riforma del CIC; ancora più esplicitamente L. Guer zoni, C anonisti a congresso , in Testimonianze 156/XVI (agosto 1973) 488-493: la relazione dedicata al II Congresso internazionale di Diritto canonico, tenuto a Milano all’Università Cattolica del Sacro Cuore dal 10 al 15 settembre 1972, dove appare tutta la sfiducia nei confronti del sistema parlamentare, superato ormai dal modello socialista.58 Circa le profonde radici di questa sensibilità, cfr. D. Saresella , Dal Concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli anni del cambiamento (1958-1968) , Brescia 2005, 117-129: il crescente interesse per questo tema testimoniato dalle riviste di riflessione religiosa fin dagli anni Cinquanta.

[59] Cfr. l’ Editoriale di Testimonianze 125/XIII (settembre 1970) 769774.

[60] Cfr. a questo proposito i riferimenti all’intervento del card. Pericle Felici, in apertura del Congresso di Milano (v. sopra, n. 57), che, parlando della situazione della Chiesa, la dice caratterizzata da una «contestazione sfrontata dell’autorità»; per un quadro della contestazione all’interno della Chiesa sulla stampa italiana, con particolare attenzione ai rapporti con i partiti politici, cfr. Saresella , Dal Concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli anni del cambiamento (1958-1968), 323-470: il capitolo «Verso il Sessantotto (1965-1968)».

[61] Così su L’Osservatore Romano, 12 settembre 1973, 2.

[62] Si tenne nel 1968, come ricorda Corecco nell’evocare l’itinerario della collaborazio ne tra i canonisti: cfr. E. Corecco , Presentazione , in E. Corecco – N. Herzog – A. Scola ( éd .), Les droits fondamentaux du chrétien dans l’ Eglise et dans la société . Actes du IV Congrès International de Droit Canonique = Die Grundrechte des Christen in Kirche und Gesellschaft. Akten des 4. Internationalen Kongresses fur Kirchenrecht = I diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società. Atti del IV Congresso internazionale di Diritto canonico, Fribourg (Suisse) 6-11.X.1980 , Fribourg-Freiburg-Milano 1981 (d’ora in poi I diritti fondamentali del cristiano ), XXIII-XVIII, XXIII; più in generale per l’importante ruolo di Paolo VI nell’av viare l’attuazione del Concilio, nella riforma del CIC e per la natura di questa riforma auspicata, che attribuiva al Codice «stile pastorale» in linea con la natura di «servizio, ministero, amore» dell’autorità ecclesiastica, cfr. Fantappiè , Storia del diritto canonico , 296s.; cfr. anche la felice sintesi di Milano, Il Diritto canonico come scienza teologica nel pensiero di Klaus Mörsdorf , Eugenio Corecco e nella canonistica contemporanea , 278-291, 279-283.

[63] Feliciani, Esperienze canonistiche , 13; per un più recente bilancio dell’attività di que sta associazione cfr. l’intervista al Presidente Rev. prof. Luis Navarro, 18 maggio 2015, in (consultato nel gennaio 2016).

[64] Così nell’intervista del card. Antonio Rouco Varela, 24 agosto 2009, il quale ricorda con un certo humour che anche lui ed Eugenio Corecco erano presenti al convegno, ma non intervennero perché allora contavano troppo poco.

[65] Discorso di Paolo VI ai partecipanti al II Congresso internazionale di Diritto cano nico , 17 settembre 1973.

[66] Ibid.

[67] Ibid.

[68] Ibid.

[69] Ibid. ; circa l’evoluzione del pensiero di Paolo VI in materia di Diritto canonico, cfr.

[70] Corecco , Paul VI et le statut du droit canonique , in Paul VI et les réformes institutionelles dans l’Église. Actes de la Journée d’Études (Fribourg [Suisse] 9 novembre 1985). Sous les auspices de l’Institut Paul VI de Brescia et de la Faculté de Théologie de l’Université de Fribourg , Brescia 1987, 13-29.70 E. Corecco , L’origine del potere episcopale. Aspetti storico giuridici e metodologi-sistematici della questione (Al Prof. Dr. Audomar Scheuermann, ordinario di Diritto Canonico dell’Università di München, nel suo 60° compleanno), in La Scuola Cattolica 96 (1968) 3-43; 107-142.

[71] E. Corecco , Il vescovo capo della Chiesa locale, protettore e promotore della disciplina locale , in Concilium 4 (1968) 602-609 (saggio uscito anche nelle edizioni della rivista in lingua tedesca, olandese, spagnola, francese, portoghese, inglese, polacca).

[72] Angelo Scola nell’intervista rilasciata a Nathalie Frieden (Milano, febbraio 2015) ricorda le loro discussioni vivacissime, in parte in tedesco, in parte in spagnolo, al limite del litigio (gennaio 2015).

[73] E. Corecco – A. M. Rouco Varela, Sacramento e diritto: antinomia nella Chiesa? Riflessioni per una teologia del Diritto canonico , Milano 1971; le tesi del testo furono sottoposte a minuziosa critica da L. Martini – A. Ippoliti, Il dibattito sui fondamenti teologici del diritto canonico e sulla Lex fundamentalis , in Legge e Vangelo , Brescia 1972, 265-340, 265-271; parte delle critiche erano state anticipate dagli stessi autori in Sondaggi a proposito dell’attuale dibat tito sui fondamenti teologici del diritto canonico con particolare riferimento al progetto di Lex Ecclesiae fundamentalis , in Testimonianze 156/XIV (1971) 125-148.

[74] Si deve in particolare al contributo di Oskar Saier il passaggio a questa nozione fondamentale per definire la natura della Chiesa; cfr. O. Saier , “Communio” in der Lehre des Zweiten Vitikanischen Konzils . Eine rechtsbegriffliche Untersuchun , München 1973.

[75] Così il card. Rouco Varela nell’intervista del 24 agosto 2009.

[76] E. Corecco , Proposta per una rifusione dell’Art. 2 del Caput I della Lex fundamentalis ( textus emendatus ), in La Scuola Cattolica 101 (1973) 160, n. 1.

[77] Ibid. , 160184.

[78] Testimonianza di Giulia Ferroni, Massagno, 19 dicembre 2016, che partecipò a questa ed altre imprese, inclusa quella di portare Corecco da Friburgo a Milano, per l’ultima correzione delle bozze della sua pubblicazione del 1971, guidando l’auto sebbene fosse ancora solo allieva conducente, mentre il suo «istruttore», che aveva lavorato tutta la notte, dormiva.

[79] «È nata da un’esperienza per cui mi è venuto spontaneo parlare in termini scientifici di concetti e nozioni che avevano un impatto comunque dal profilo esistenziale, nella vita dei giovani, così come la fede, la communio e tante altre cose», così nel Discorso di ringraziamento di Eugenio Corecco , raccolto da Libero Gerosa, in L. Gerosa (a cura di), Antropologia, fede e diritto ecclesiale. Atti del Simposio internazionale sugli studi canonistici di Eugenio Corecco (Lugano, 12 novembre 1994), Milano 1995, 140.

1.1.   La partecipazione all’esperienza comunitaria: dall’incontro con la città a quello con l’università

1.1.1.  L’incontro con la città e la caritativa

Chiamato a Friburgo nel 1969, all’Università Cattolica come associato alla cattedra di Diritto canonico[80], Corecco vi ritrovava i suoi studenti di Gaunia e prendeva in mano la conduzione della comunità, offrendo una compagnia, che culminava nella celebrazione della S. Messa quotidiana. Ogni settimana, come voleva il metodo di don Giussani, ci si incontrava per il «raggio», il momento in cui si metteva in comune il proprio cammino di fede, aiutati da alcune domande o da una traccia di riflessione. Oltre ai momenti quasi «istituzionali», Corecco era sempre disponibile; la porta del suo ufficio al Salesianum, il convitto che lo ospitava e dove alloggiavano anche i seminaristi ticinesi, era costantemente aperta[81]; persino la sua auto – dapprima la VW bianca poi sostituita dalla più potente BMW sempre rigorosamente bianca – era a disposizione dei bisogni di tutti.

A Corecco stava a cuore che la fede fosse incisiva sulla vita degli studenti rendendola veramente missionaria, cioè capace di incontro con persone ed altre esperienze. Già da Monaco, egli aveva sollecitato i ragazzi ad interessarsi del nuovo ambiente. La cattolica Friburgo, negli anni ferventi e confusi del post-Concilio, abbondava di nuove comunità e l’università era frequentata da monaci, religiosi e religiose di diversi ordini. Come gli stessi protagonisti ricordano erano «desiderosi di incontrarsi, di confrontarsi con altre identità, prima di tutto quelle cristiane per trarne conferma nella fede»[82]. Nei primi tempi il loro campo d’azione fu soprattutto la città: dalle parrocchie, ai carrefours[83] giovanili, alla Missione Cattolica Italiana, dove avrebbe preso corpo un’importante caritativa. Per i giovani italofoni infatti il campo dell’incontro con gli operai italiani, soprattutto meridionali – ma poi ben presto non solo italiani –, era privilegiato. Il numero di questi lavoratori, attirati nella Confederazione dal rapido sviluppo industriale e dall’apertura di enormi cantieri, quali quelli per la costruzione della rete autostradale, era in costante crescita e suscitava diffidenze e timori nella popolazione autoctona, che tendeva ad isolare questi stranieri, alle prese con le difficoltà della lingua, intimoriti dalla diversità, sottoposti talvolta a condizioni di lavoro e di vita umilianti. A questo, per molti di loro, si aggiungeva lo sradicamento affettivo, vista l’impossibilità di farsi raggiungere dalla famiglia, a causa di una delle severe regole dello statuto degli operai stagionali[84]. La caritativa in questo ambito, iniziata con le visite agli ospedali

http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I25738.php

e nelle baracche dove erano alloggiati gli stagionali, portò gli studenti ad affiancarsi ai preti della Missione italiana e a legarsi d’amicizia con gli operai e le loro famiglie. Proprio in questo quadro, in quel primo semestre invernale del 1968, l’incontro più significativo fu con i preti operai della MOPP (Missione Operaia dei Santi Pietro e Paolo) di Rue Grand-Fontaine. La loro comunità, centrata sulla comunione personale con Cristo, dove tutto era in comune, li aveva fatti sentire a casa malgrado la evidente diversità del carisma. Senza contare il fatto che spesso era stato presente anche il suo carismatico fondatore, padre Jacques Loew (1908-1999)[85].

1.1.2.  La presenza nell’ambiente universitario

Tutte queste attività si svolgevano al di fuori dal luogo e dall’impegno principale, che erano quelli dell’università e dello studio. Se i preti operai studenti in teologia, che in università si trovavano a disagio, di lì a qualche mese avrebbero creato, con altre persone confluite a Friburgo in funzione degli studi, una loro piccola universitas, che chiamarono École de la foi[86], non era questa la strada della «comunità». Lo indicò molto bene Angelo Scola, giunto a Friburgo anche lui nel 1969 per continuare gli studi teologici in vista dell’ordinazione sacerdotale[87]. Egli aveva ben presente la situazione italiana ed anche la vivacità del lavoro culturale che caratterizzava la proposta di Giussani. Fin dagli anni Cinquanta, i Giessini avevano condiviso tra loro la fatica e la gioia dello studio e si erano interrogati sulla verità di quanto era loro insegnato a scuola. L’interpretazione ideologica di materie come la storia e la letteratura era evidentemente ben nota; in Italia era marcata soprattutto dal pensiero risorgimentale, guardato, in quegli anni del dopoguerra, con crescente insofferenza come un’ideologia falsa e stantia, ma la novità rischiava di ridursi all’adozione di un’altra ideologia, più nuova, ovvero quella marxista. A Milano dunque si era dato vita a momenti di scuola «alternativa» sui temi più ignorati o bistrattati dall’insegnamento manualistico, avvalendosi dell’aiuto di studenti universitari ed anche di professori soprattutto dell’Università Cattolica[88]. Dopo la bufera del ’68, che aveva distrutto le associazioni tradizionali, era nato un forte movimento studentesco dominato da un’ideologia marxista sempre più intollerante ed incline alla violenza. Gli studenti rimasti fedeli a don Giussani ed alla sua proposta si trovarono impegnati in un serrato confronto con questi «compagni» ed avevano iniziato a pubblicare un «quartino» intitolato Comunione e Liberazione, nome con il quale vennero poi identificati[89]. Dietro questa pubblicazione stava un costante lavoro di ricerca della novità, che la fede introduceva nell’affronto delle domande suscitate dalla realtà, soprattutto dalla provocazione costituita dalle evidenti disparità economiche e dalle clamorose ingiustizie contrassegnanti i rapporti tra gli uomini e tra le nazioni. Nel corso di svariate settimane di studio, convegni o incontri, i giovani intellettuali del movimento si sarebbero chinati sulla storia della Chiesa (d’Oriente e d’Occidente), sui testi dei filosofi e degli intellettuali più noti, sulle problematiche dello sviluppo e del sottosviluppo, sulle riflessioni relative all’impegno dei Cattolici in politica, paragonando la propria esperienza con quello che andavano studiando e contendendo di fatto il terreno alla diffusione dell’ideologia comunista[90].

Anche a Friburgo il movimento studentesco aderiva al marxismo, ma non determinava di certo il clima dell’università. Gli studenti della «comunità» sentivano però l’urgenza di porre la propria presenza dentro l’ateneo ed avevano dato vita a qualche momento di contestazione[91]. Si iniziava a parlare di un gesto pubblico e comunitario.

Nell’autunno del 1970, a un anno dal suo arrivo a Friburgo affiancato per di più da Scola, il bilancio che Corecco tirava della crescita del movimento era però pesantemente negativo. Egli rilevava un preoccupante calo della capacità di incontro con gli altri. Avvertiva il rischio che gli studenti si impegnassero in un «discorso», anzi nella ripetizione di un discorso che nasceva altrove, dagli amici di Milano. Influenzati dal clima generale di contestazione, i «suoi» studenti si erano messi in una posizione quasi previamente scettica nei confronti dei corsi universitari ed il loro atteggiamento rischiava di ridursi o a presuntuosa diffidenza o a rivendicazione di qualcosa d’altro: «pretendete qualcosa di più nuovo e non guardate a quello che l’università vi offre»[92]. A suo giudizio non c’era stata disponibilità ad un vero incontro con la realtà universitaria, ma piuttosto ci si era preoccupati di rimanere all’interno di un proprio discorso. Per Corecco era doloroso constatarlo. Subito dopo il ritiro sul monte Generoso, subito dopo il primo incontro con don Giussani, i ragazzi erano stati capaci di proporsi a tutti i compagni ed avevano partecipato alla vita della scuola in modo originale, critico e libero da complessi, mentre ora non era più così. Alla ricerca di una spiegazione – soprattutto per sé – egli si inoltrava in un’analisi storica, che per altro non pretendeva fosse condivisa. A suo modo di vedere, la prima spinta verso la confusione era nata dal cambio dell’assistente, dopo la sua partenza per Monaco. Il nuovo assistente aveva portato uno sguardo ideologicamente critico sulla Chiesa ed aveva contestato l’insegnamento di don Giussani. I ragazzi avevano dunque iniziato ad andare a Milano per capire cosa rispondere a lui ed a quelli che seguivano i suoi discorsi. La partenza per Friburgo era avvenuta sotto il segno di una generale polemica, tanto con gli ex-compagni della comunità quanto verso gli ex-compagni di scuola, che avevano aderito al marxismo. Da qui la tendenza a rifugiarsi negli appartamenti, quasi per una necessità di sopravvivenza. Ma più profondamente l’aver privilegiato la padronanza del «discorso» aveva impiantato in loro un atteggiamento incapace di accogliere ed apprezzare altre esperienze ed una tendenza a mitizzare la propria, tanto che si rendevano antipatici a tutti e si attiravano purtroppo giustificate critiche di chiusura e presunzione. Egli coglieva due segnali «oggettivi» di questa incapacità di presenza: il deludente impegno in occasione della votazione popolare sull’iniziativa antiinforestieramento di Schwarzenbach[93] e l’aver mancato l’occasione delle elezioni universitarie. Corecco non credeva che il gesto pubblico di cui si iniziava a parlare avrebbe sanato questa situazione. Eranecessario che ciascuno si impegnasse in un lavoro personale di conversione, in un personale cammino di fede, al di fuori del quale la partecipazione ad un gesto pubblico sarebbe stata fondamentalmente inutile. Gli era ben chiara la natura comunitaria della proposta di Giussani, che non si riduceva certo ad una individualistica formazione morale della persona, e non sottostimava il valore della testimonianza pubblica, ma aborriva qualunque sequela non sorretta da una chiara coscienza personale. Gli sembrava che imitare pedissequamente i passi dei compagni italiani distogliesse da un vero lavoro di presenza.

1.1.3.  I gesti in università: difficoltà di conduzione

Al contrario di lui, gli studenti resi entusiasti e persuasi dai momenti di incontro e dalle attività estive, ovvero le vacanze comuni, i campi di lavoro in Calabria ed i viaggi nei paesi dell’Europa dell’est per incontrare cristiani sottoposti alle dittature comuniste, intendevano seguire il più da vicino possibile i passi dei loro amici italiani. Infatti nel mese di novembre 1970, si presentavano in università con il quartino milanese Costruire la Chiesa è liberare l’uomo, da loro tradotto in francese, in un momento pubblico che chiameranno Parole Claire[94].

L’iniziativa non diede grandi esiti – all’università certe domande non sembravano porsi né tra gli studenti credenti (segnatamente quelli che seguivano i corsi di teologia) né tra i non credenti – e soprattutto non riuscì a superare un certo livello di astrattezza e per molti il ripetersi dei momenti di Parole Claire, cui fecero seguito altri momenti chiamati assemblee di riconoscimento[95], rimase un’iniziativa giustapposta alla normale frequenza universitaria.

Nell’autunno del 1971, di nuovo al momento assembleare a Montbarry per l’inizio dell’anno accademico, Corecco rinnovava le sue perplessità. Confessava un crescente disagio, perché si era accorto di far fatica persino a ricordare cosa si era fatto nel corso dell’anno precedente, che gli era sembrato trascorrere senza costruttività. Ai suoi occhi, l’unico punto di novità erano gli appartamenti in Basseville. Infatti desiderosi di incrementare la vicinanza con gli operai, alcuni studenti erano andati a vivere nel quartiere povero della città, condividendo i disagi dei loro amici e ponendo il seme di un’importante presenza, che caratterizzerà l’esperienza degli studenti di CL a Friburgo. Anche sulle altre piccole comunità universitarie – Berna e Zurigo – il suo giudizio era critico, nella misura in cui le percepiva ripiegate su di sé e inclini a privilegiare il «discorso»[96]. Emerge in lui una sorta di preferenza per la carità concreta. Lo attesta la grande stima che ebbe sempre per esperienze come quella della «colonia integrata»[97]. Gli doleva soprattutto la persistente rottura con i primi universitari, quelli che inizialmente avevano aderito alla proposta di don Giussani, ma poi avevano lasciato perdere. La sua affezione per questi compagni di cammino non era mai venuta meno, quasi una fedeltà ad oltranza a quel «per tutti» che a suo tempo l’aveva indotto a rompere le barriere politiche della Lepontia. E forse con una certa parzialità non voleva vedere che da parte degli altri non sempre c’era molta volontà di riprendere i rapporti[98]. Oltre a queste considerazioni, il giudizio negativo nasceva forse dal paragone con la serietà di lavoro su cui si fondava la presenza critica in università dei Ciellini italiani[99]. Anche gli stessi studenti ben vedevano il rischio di astrattezza delle loro iniziative di presenza, il rischio cioè di proporre un discorso e non condividere una vita, aprendosi all’ascolto degli altri, ma ritenevano che fosse necessario insistere in un gesto che faceva loro toccare con mano questi limiti, per poter maturare nell’esperienza incontrata[100]. Nel mese di febbraio in un lungo documento, una parte di loro difendeva ulteriormente il tentativo di presenza e se mai lamentava una carenza di conduzione autorevole, confermando un certo disagio nei confronti di Corecco[101]. Alcuni di loro avevano iniziato a riferirsi ad Angelo Scola, il cui radicamento nel rapporto con Giussani ed il suo carisma li riempiva di curiosità e desiderio. Questo favorì il trasferimento di qualcuno a Milano, soprattutto in vista della verifica di una vocazione ad una forma di vita verginale nel Gruppo Adulto, esperienza riconosciuta dalla Chiesa con il nome di Memores Domini nel 1988. I gesti – assemblee e raggi – in università continuarono mettendo inesorabilmente a nudo le timidezze e le difficoltà a comunicare con semplicità la propria esperienza, ma anche il desiderio di dare seguito a questa iniziale presenza[102], che negli anni seguenti prenderà anche la forma dei Gruppi di Facoltà (GDF)[103], vale a dire momenti di incontro e riflessione tra gli studenti di una stessa facoltà, con l’intento di maturare anche un giudizio culturale sul proprio studio e soprattutto la proposta dello studio in comune a tutti compagni. Gruppo trainante sarà quello degli studenti di medicina dell’università di Berna, favoriti dal fatto di costituire la maggioranza dei membri della comunità e di poter approfittare di momenti di formazione e di vacanza con il gruppo dei sanitari ciellini italiani[104].

1.2.  L’impegno teologico, l’impegno con il movimento

L’incredibile quantità di tempo che Corecco dedicava agli incontri[105], ai rapporti personali ed alla corrispondenza, nulla toglieva al suo lavoro scientifico ed alla carriera accademica, che percorse rapidamente[106]. D’altra parte egli faceva in prima persona l’esperienza che proponeva ai giovani e, grazie a questa sua disponibilità, la sua presenza nella facoltà di teologia dell’Università di Friburgo doveva diventare una felice opportunità per Comunione e Liberazione di offrirsi all’attenzione dei teologi.

All’interno del movimento fiorivano vocazioni alla vita consacrata ed al sacerdozio. Giovani, talvolta già laureati, chiedevano di entrare in seminario, ma la loro età e condizione rendeva difficile sottostare alla disciplina di istituti, retti da regole rigide, e, soprattutto nella diocesi milanese, superare la diffidenza suscitata dal movimento di don Giussani, sempre in difficoltà con i responsabili dell’Azione Cattolica, in particolare quelli della FUCI, che godevano della piena fiducia dell’arcivescovo[107]. Per queste ed altre ragioni, dopo Angelo Scola ordinato prete nel 1971, altri candidati al sacerdozio si indirizzarono verso l’università di Friburgo per seguire gli studi di teologia e presero alloggio negli appartamenti della comunità. Non solo diedero impulso alla presenza missionaria in università, rilanciando gli studenti anche nel lavoro culturale, ma essi stessi, come studenti di teologia, crearono fra di loro e con Corecco un ambito di amicizia e di riflessio ne teologica. In quegli anni, tra i preti che seguivano don Giussani e ne diffondevano il movimento, Corecco era l’unico che insegnava a livello accademico. Di fatto egli costituiva per il carismatico prete milanese un punto di confronto non sempre facile, ma autorevole. Le osservazioni di Corecco sulla correttezza teologica delle espressioni di don Giussani erano molto puntuali e talvolta rendevano burrascoso il rapporto, ma Corecco non era solito offrire una sequela cieca e tacere le sue perplessità per timore di disturbare[108]. D’altra parte, coglieva pienamente sia la novità sia la profondità dell’esperienza che don Giussani proponeva. Se ne fece costante promotore ovunque ebbe l’occasione di farlo e, soprattutto, vi radicò la sua vita di fede e la pose alla base della sua riflessione scientifica, facendosene umile servitore.L’incontro con Hans Urs von Balthasar e l’edizione italiana della rivista Communio Eugenio Corecco ed Angelo Scola sono stati senz’altro lo strumento dell’incontro tra don Giussani e Hans Urs von Balthasar[109], il grande teologo svizzero uscito dall’ordine dei Gesuiti per perseguire una missione del tutto particolare nella Chiesa[110]. Guardato con sospetto, negli anni prima del Concilio Vaticano II, al pari di altri teologi con i quali collaborava strettamente e che furono poi convocati a Roma come esperti, egli non fece parte del loro numero[111].

L’occasione dell’incontro con lui fu fornita da una notizia, riportata da Le Monde, secondo la quale il progetto di Marie-Joseph Le Guillou, Joseph Ratzinger, Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar ed altri di fondare una nuova rivista teologica che proseguisse il lavoro teologico del Concilio e nel contempo «tenesse insieme riflessione teologica ed esperienza ecclesiale»[112], era fallito. L’esigenza di una pubblicazione di questo tipo era sentita fin dalla conclusione dei lavori conciliari ed aveva portato alla creazione di Concilium[113], una rivista che si avvaleva della collaborazione di teologi provenienti da numerosi paesi ed era pubblicata in otto lingue. «Ma ora sentono il bisogno di prenderne le distanze e pensano ad una nuova rivista […] non pensano primariamente ad una polemica con Concilium. Vogliono tuttavia parlare con franchezza, mostrare il coraggio di partire, nei loro articoli, dalla comunione nei sacramenti e nella fede, condivisa con i vescovi, ma anche con il popolo di Dio, con i semplici fedeli, che, secondo Gesù, sono i prediletti del Padre»[114]. Come avrebbe illustrato von Balthasar nell’editoriale del primo numero, continuamente riproposto nei numeri successivi, preoccupazione di Communio era quella di “porsi”, facendo spazio ad una teologia che «si sviluppa coerentemente da un soggetto con una identità ecclesiale dinamica». Intendeva anche essere una rivista culturale, per rispondere alle sfide del mondo contemporaneo e non solo una palestra speculativa per teologi; da ultimo voleva essere internazionale. Quindi «non una pubblicazione tradotta in varie lingue, ma un mix di testi comuni […] e di contributi delle singole redazioni»[115].

Fu dunque Angelo Scola a portare la notizia letta su Le Monde a Corecco ed a proporgli di farsi avanti offrendo la collaborazione di tutti loro a von Balthasar. Corecco accettò subito di telefonare al teologo basilese, sebbene non lo conoscesse di persona[116]. Von Balthasar li rinviò a Ratzinger, che era allora professore a Ratisbona e questo fu l’inizio della rivista Communio, nome proposto da Corecco e da Sante Bagnoli, che ne curerà l’edizione italiana[117]. Il fattore primario che attirò e mantenne vivo l’interesse di eminenti teologi per l’ambito e le persone legate a Comunione e Liberazione era la grande vitalità del movimento di don Giussani[118] e la sua profonda sintonia con il Concilio[119]. Tuttavia era stata proprio la credibilità accademica di Corecco a favorire un incontro destinato a diventare duratura amicizia, anche grazie alla sua tenacia. Lo stile di lavoro della redazione di Communio voleva essere l’incarnazione di quanto si andava indagando, come chiarisce Angelo Scola, ricordando quegli anni: «Il sodalizio che ne nacque fu assai più di quello che solitamente unisce i redattori di una rivista. Letteralmente cominciò una communio, cioè una trama profonda di rapporti tra filosofi, teologi, uomini di cultura europei ed americani. Eravamo animati da una passione per la Chiesa che poggiava sull’assoluto primato dell’esperienza della communio vissuta come base di un’adeguata riflessione filosofica e teologica»[120]. A conferma di questo sta il fatto che nel mese di gennaio 1971, von Balthasar predicava insieme a don Giussani gli esercizi spirituali agli universitari svizzeri ad Einsiedeln. Dopo pochi mesi, la Jaca Book pubblicava un agile libretto, intitolato L’impegno del cristiano nel mondo[121], che presentava, in due parti distinte, un testo di von Balthasar e le meditazioni che Giussani aveva dettato. Anche per Jaca Book, questo volumetto costituiva l’inizio di una lunga collaborazione, perché l’editrice milanese avrebbe pubblicato nel corso dei seguenti decenni altre opere di von Balthasar e di Adrienne von Speyr, la mistica svizzera alla quale egli era profondamente legato, affiancando dunque nella diffusione delle opere balthasariane in Italia case editrici ben più note.

1.3.  Le reazioni in Italia

L’incontro tra von Balthasar e don Giussani non passò inosservato negli ambienti cattolici italiani (soprattutto in quelli milanesi di AC), dove il teologo svizzero era assai apprezzato anche per la sua apertura e modernità, mentre don Giussani ed il suo il movimento erano accusati di chiusura e integrismo, nuova veste di una vecchia difficoltà di rapporto[122]. Nel 1968, la contestazione studentesca aveva messo a dura prova il movimento di don Giussani, aprendo nel contempo la possibilità di un passo di maturazione[123], mentre aveva travolto quasi del tutto le associazioni cattoliche tradizionali, rivelando un certo vuoto di contenuti. Negli anni ’70, alla maggior parte dei pochi superstiti di queste associazioni pareva evidente che potevano essere presenti nella società solo muovendosi sullo stesso terreno delle altre forze impegnate nella trasformazione del mondo, lasciando nella discrezione del privato gli aspetti peculiari della fede. Di conseguenza, vista la reale egemonia culturale esercitata da questo pensiero, era quasi ovvio per loro far propri i criteri di giudizio del marxismo, persuasi che in questo modo si attuasse quel concetto di «Chiesa povera», che sembrava riassumere l’essenza della novità dell’ecclesiologia conciliare ed accreditare il diritto della Chiesa ad esistere[124]. Chi intendeva trarre dalla fede anche i criteri di giudizio per la presenza nella società, chi presentava in questa società un proprio volto cristiano, era inevitabilmente tacciato di integrismo e tale fu il giudizio calato sul movimento noto ora come Comunione e Liberazione, che fu oggetto a più riprese di virulente critiche in particolare sulla rivista Testimonianze[125], fondata nel 1958 da padre Ernesto Balducci, una delle tante personalità di rilievo che si era orientata al dialogo ed anche alla collaborazione con i comunisti del PCI[126]. Con queste premesse, non era ammissibile una sintonia tra i due, e don Giussani fu tacciato di aver manipolato von Balthasar. Si faceva interprete di questa accusa don Roberto Bonato[127], che, per essere l’assistente degli studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, riteneva di ben conoscere le caratteristiche ed il modo di fare degli studenti che provenivano da GS[128]. Recensendo per Letture il volumetto delle meditazioni di Einsiedeln, don Bonato si stupiva dell’inedita collaborazione e giustapponeva l’insegnamento del teologo svizzero alle posizioni di don Giussani[129], reo – ai suoi occhi – di gnosticismo e di «ideologia di gruppo»[130]. La recensione deve essere stata inviata in anteprima a von Balthasar, che si inquietava e chiedeva lumi a Corecco, il quale gli rispondeva immediatamente. Nell’ampia, seppur a suo dire frettolosa risposta[131], Corecco prendeva le difese di don Giussani e dei suoi studenti, pur riconoscendo volentieri che potevano talvolta eccedere o commettere degli errori, soprattutto a causa dell’inesperienza e della singolare durezza dei tempi: «Difatti il modo di porsi concretamente del movimento di Comunione e Liberazione all’interno della Chiesa italiana non è privo di ingenuità e di spirito di parte. Si deve tener conto che la maggior parte delle persone impegnate sono solo degli universitari e che la polemica, alla quale devono fare continuamente fronte con i marxisti ed i cattolici di sinistra, non perdona e fa commettere degli errori. Ho fatto anch’io la stessa esperienza, quando ho cominciato a staccare gli studenti della Lepontia dalla SStV, e la faccio tutt’ora specialmente con i ragazzi di Lugano, l’esistenza dei quali dà molto fastidio al gruppo locale di cattolici che fanno capo a Testimonianze (il gruppo dei Dialoghi). Se si potessero evitare tutte queste situazioni sarebbe molto meglio, ma sono purtroppo un tributo che si deve pagare al fatto di fare qualche cosa che non è conformista»[132]. Dopo aver fatto presente i profondi legami già dell’allora cardinal Montini ed ora del cardinal Giovanni Colombo con l’AC, Corecco non mancava di riferire che Montini stesso aveva riconosciuto nel movimento di don Giussani l’unica forza viva presente in diocesi, e, per quanto lo riguardava, aggiungeva:

«Avendo per istinto paura di ogni forma di integrismo, sono sempre stato molto sincero e preciso con don Giussani, credendo di doverlo mettere sull’attenti per questo o quel punto, ma ho finito per capire due cose: che da un punto di vista dottrinale le mie obiezioni non erano pertinenti e che da un punto di vista della prassi e modalità di atteggiamenti all’interno della Chiesa italiana è difficile giudicare dall’esterno»[133]. Quanto ad altre accuse, quali quella di ambire al potere, Corecco le trovava semplicemente ridicole: «all’interno delle strutture ecclesiastiche […] non c’è nessuna persona del Movimento che tenga una qualsiasi leva del potere» e «Da un punto di vista della politica universitaria se è stato fatto un errore è proprio quello di non aver puntato decisamente verso la carriera accademica, almeno per quelle persone che avrebbero potuto farla, come per es. Bagnoli»[134]. Corecco aggiungeva: «le assicuro comunque che non sarei stato capace di pensare di strumentalizzare la Sua persona, quando ho preso l’iniziativa di invitarla ad Einsiedeln per farle prendere contatto con Comunione e Liberazione. I Suoi scritti sono sempre stati libri di testo nel Movimento di don Giussani, per cui mi è sembrato logico stabilire un contatto personale. Esiste una vera comunione di giudizio con il suo pensiero teologico. Naturalmente questo lo può affermare anche padre Bonato e magari qualche altro, ma il problema è quello di saper riuscire a tradurlo in una prassi ecclesiale, fosse pure piena di manchevolezze, ma una prassi che sia ancora capace di suscitare la fede e l’amore per la Chiesa nei giovani di oggi»[135]. In conclusione Corecco invitava di nuovo von Balthasar al ritiro degli universitari che si sarebbe tenuto a Montbarry (Bulle) alla fine di gennaio. Don Giussani desiderava molto avere la consolazione di incontrarlo e avrebbe comunque cercato di raggiungerlo. Di fatto l’amicizia tra don Giussani, altre personalità del movimento e von Balthasar non fece che crescere, favorita anche dalla collaborazione all’interno della rivista Communio, che molto stava a cuore al teologo svizzero. Egli sollecitò l’aiuto di Corecco in particolare per l’edizione in lingua francese, i cui inizi avevano richiesto lunghi preparativi[136] e dove si riservò un ampio spazio alla presentazione di Comunione e Liberazione fin dai primissimi numeri[137]. Un altro campo in cui per anni fiorì la collaborazione fu quello delle traduzioni: non solo, come già detto, la piccola e quasi sconosciuta Jaca Book ebbe l’onore di pubblicare le opere di von Balthasar, ma questi si impegnò in prima persona perché i libri di don Giussani fossero tradotti in tedesco, in una forma fedele ed elegante. Fu sempre per lui di primaria importanza che la proposta di Comunione e Liberazione potesse essere diffusa nei territori di cultura germanica[138].

1.4.  La proposta di CL in Svizzera negli ambienti francofoni ed italofoni

Le iniziative di presenza in università avevano comportato la traduzione in francese dei primi testi che presentavano, in modo organico, l’esperienza di Comunione e Liberazione[139]. E prima che l’edizione francese di Communio desse spazio all’ampia intervista di Robi Ronza a don Giussani, Pietro Ortelli aveva parlato di Comunione e Liberazione sulla rivista Choisir[140]. Anche il vescovo di Friburgo, mons. Pierre Mamie (1920-2008)[141], era costantemente aggiornato e, al momento in cui il movimento intraprese l’iter per il riconoscimento ufficiale, Corecco sollecitò ed ottenne un suo giudizio a sostegno di questa richiesta. Per quello che riguarda il Ticino una grande occasione per parlare di CL fu il Sinodo 72, quando per due sabati successivi sul Giornale del Popolo gli studenti si avvicendarono nella presentazione dei vari aspetti della loro esperienza di movimento[142].

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[80] Archivio dell’Università di Friburgo, Fascicolo Personale: 22 giugno 1969, incarico come « chargé de cours et attaché à la chaire de droit canon »; cfr. anche la lettera del decano prof. Vicaire del 18 febbraio 1969, che gli anticipa la notizia, con l’assicurazione che potrà esser promosso professore straordinario dopo la pubblicazione della tesi; e cfr. anche in AVescLugano , Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco : la lettera del 2 marzo 1969 con la quale Corecco informa il Vescovo della proposta ricevuta da parte dell’Università; e la cordiale risposta di mons. Martinoli del 5 marzo 1969: dopo essersi rallegrato per le prospettive di Corecco , scrive: «non so tacerti un senso di disagio, che provo, per non averti potuto inserire direttamente nell’apostolato in Diocesi. Mi consola però il fatto che la tua opera potrà estendersi ai nostri seminaristi, unendosi a quella tanto apprezzata del prof. Vitalini. Poi potrà essere ripresa e continuata anche l’opera che esercitavi, in altra veste, presso gli studenti ticinesi: e questo sarà un gran bene, perché coloro che costituiranno domani la classe dirigente sono purtroppo molto trascurati». Il rincrescimento di mons. Martinoli è forse da mettere in relazione con la proposta di don Giovanni Maria Colombo, che gli

[81] suggerito di prendere Corecco come vicario generale, cfr. AVescLugano , Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco : biglietto s. a.81 Come già era accaduto a Monaco al Collegio Maria Stern (v. intervista al card. Rouco Varela, 24 agosto 2009), anche qui non sarebbero mancati i lamenti per il disturbo arrecato dal continuo andirivieni dei giovani. Un chiaro esempio dell’attenzione di Corecco ai giovani, della sua personale implicazione con loro, è nel ricordo di Plinio Pianta, Brusio. Alla fine degli anni ’60, studente avanzato di diritto, giovane in carriera militare ed impegnato ad alti livelli nella Società degli Studenti Svizzeri, Plinio Pianta era alla ricerca di risposte alle profonde domande esistenziali che l’educazione nel Collegio di Disentis aveva aperto in lui ed alle quali non poteva rispondere il successo, pur ottenuto nei molteplici impegni che lo appassionavano. Avendo accettato di andare a stare al Salesianum, vi aveva incontrato i seminaristi che seguivano l’esperienza della <<comunità>>. Iniziava ad interessarsi a questa esperienza, quando alcune gravi delusioni minavano il suo equilibrio, Corecco si rese chiaramente conto della gravità del suo stato depressivo ed arrivò al punto di vegliare per una intera notte nella sua stanza per scongiurare un gesto irrimediabile. Lo convinse poi ad informare la famiglia e ad accettare l’aiuto di un terapeuta, v. P. Pianta, Il senso, Albatros 2020, 68-84.

[82] Inizi . I primi anni di CL in Svizzera , Quaderno di CL (s.a.), 12.

[83] Si tratta di gruppi giovanili di riflessione, promossi dalle parrocchie sull’onda delle novità del Concilio.

[84] In (S. Arlettaz ) (consultato 10 maggio 2017).

[85] Cfr. http://www.mopp/jp/jacques_it.htm (consultato 8 maggio 2016).

[86] Inizi . I primi anni di CL in Svizzera , 12s.

[87] A. Scola con L. Geninazzi, Ho scommesso sulla libertà , Milano 2018, 54-56: ricorda di aver scoperto la vocazione sacerdotale quando era già laureato in filosofia ed era assisten te di Bontadini. Era dunque entrato in seminario piuttosto tardi e doveva assolvere ancora il servizio militare, che durava allora in Italia 18 mesi. Per essere esentato avrebbe dovuto ricevere il suddiaconato con due anni di anticipo, ma i suoi superiori non lo ritenevano possibile. D’altra parte un’ennesima lunga pausa negli studi avrebbe davvero ritardato troppo la sua ordinazione. Per questa ragione si decise a lasciare il seminario, cercare un vescovo che capisse la sua situazione e gli conferisse il suddiaconato e si trasferì a Friburgo per lo studio della teologia.

[88] Busani, Gioventù studentesca , 428s., che menziona le lezioni tenute da Gustavo Bontadini , Mario Apollonio, Orio Giacchi, tutti professori dell’Università Cattolica.

[89] Savorana , Vita di don Giussani , 414418.

[90] Questo lavoro diventerà particolarmente sistematico con la creazione dell’ISTRA (Istituto per gli studi sulla transizione) nel 1972.

[91] Che Corecco , peraltro, stigmatizzava abbastanza duramente, ritenendola priva di originalità. Era in questione infatti soprattutto una critica indirizzata a padre Giovanni Pozzi ofmCap , professore di letteratura italiana, che non adottava il metodo strutturalista di analisi dei testi. E l’interessato non aveva di certo mancato di far presente le sue rimostranze al collega, ticinese come lui, e «padre spirituale» di questi inquieti cattolici; cfr. le allusioni piuttosto esplicite durante l’assemblea d’inizio anno del novembre 1970 (registrazione in ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[92] Assemblea d’inizio anno, novembre 1970 (registrazione in ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[93] Nel 1970 il popolo svizzero aveva dovuto votare sulla proposta del consigliere na zionale Schwarzenbach di ridurre il numero degli stranieri residenti in Svizzera al 10% della popolazione autoctona. La proposta fu largamente bocciata (solo il 10% di consensi) con una partecipazione al voto del 75% degli aventi diritto. Ben diverso sarà l’affronto della seconda iniziativa Schwarzenbach del 1974, quando il giudizio scaturirà dalla frequentazio ne quotidiana ed amichevole degli operai, cfr. Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 4: doc. dal titolo Editoriale , databile al 1974.

[94] Cfr. Inizi. I primi anni di CL in Svizzera : la riproduzione dell’invito all’incontro sul rovescio di copertina.

[95] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 7: doc. febbraio 1972; in precedenza anche assemblea di ascolto, cfr. ibid. : Classatore nr. 5: 20 novembre 1970.

[96] Dall’assemblea di inizio anno novembre 1971 (registrazione in ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[97] Cfr. sotto, § 3.3.2.

[98] Il costante tentativo di Corecco di non perdere nessuno per strada è attestato anche da una lettera, databile al febbraio 1967, di E. V., studentessa di medicina a Zurigo. Scri vendo all’amica parla anche dell’insistenza di Corecco perché continui a frequentare gli ambienti di Lepontia , senza lasciarsi scoraggiare dalle scarse intenzioni di impegnarsi che vi ritrova (lettera autografa, presso la destinataria Giulia Ferroni, Massagno).

[99] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 9: il momento più signifi cativo fu forse il seminario culturale a Montegrignano nell’estate 1971, al quale forse non partecipò, ma della cui documentazione era in possesso, che si apriva con un ampio intervento di Pieralberto Bertazzi, che fondava in modo cristallino la necessità di una presenza in università perché l’esperienza della fede non fosse astratta.

[100] Cfr. Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 7: giudizi per impo stare meglio l’assemblea in università, firmato la diaconia, s. a., ma posteriore alla decisone di proseguire gli incontri in università nella forma del raggio.

[101] Ibid. , Classatore nr. 7: febbraio 1972, ms senza firma.

[102] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 8: giudizio sull’assemblea di giovedì 4 maggio (1972), firmato B. O. e M. B.

[103] Cfr. ibid. : documento programmatico, semestre estivo 1974; ibid. , Classatore nr. 2: la documentazione dell’attività nell’ambito di alcune facoltà nel 1974; Classatore nr. 8: se ne parla alla Scuola estiva del 1974; Classatore nr. 7: riflessione sulla loro attività anno 1976; ibid. , Scat. nr. 2: il loro ruolo nella pubblicazione di Le Sycomore (metà degli anni ’80); per le origini dei «gruppi di facoltà», lanciati in alcune università milanesi tra il 1958 ed il 1959 per favorire la collaborazione tra studenti cattolici di diverse associazioni e movimenti, in vista di una testimonianza comunitaria, cfr. Busani, Gioventù studentesca , 251.

[104] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 7: 1974, si riconosce il ruolo trainante del gruppo degli studenti di medicina di Berna, che riesce a fare una sintesi tra la vita in appartamento e l’impegno in facoltà.

[105] Cfr. Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 2: le note manoscritte autografe dei raggi tenuti, tra il 1970 ed il 1974, in varie città universitarie, nei Grigioni e in Ticino, ovunque ci fosse una pur piccola comunità del movimento, oppure durante le vacanze comunitarie.

[106] Archivio dell’Università di Friburgo, Fascicolo personale: diventa professore stra ordinario nel 1971 (12 marzo) ed ordinario nel 1975 (23 dicembre; cfr. anche il parere positivo del Decano prof. Nicolas, del 18 novembre 1975); nel 1972 ottiene di poter concentrare i corsi per assumere un insegnamento presso la Facoltà teologica interregionale dell’Italia settentrionale a Milano (richiesta del 22 giugno 1972); nel 1979 è chiamato a tenere dei corsi all’Università di Genova (per 2 settimane) ed anche alla Facoltà teologica protestante di Ginevra (v. AVescLugano , Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco , ritaglio di

[107] datato 6 luglio 1979; ed anche ACorecco Lugano: attestato di ringraziamento per esser stato professore invitato alla Faculté autonome de Théologie protestante di Ginevra dal primo di aprile al 31 luglio 1972).107 Busani, Gioventù studentesca , 488-494: per queste difficoltà negli anni ’60; più in generale, cfr. M. Bocci, Don Luigi Giussani nel cattolicesimo ambrosiano: persistenze e disconti nuità , in G. Paximadi – E. Prato – R. Roux – A. Tombolini (a cura di), Luigi Giussani. Il percorso teologico e l’apertura ecumenica , Lugano-Siena 2018, 15-64, 53-63.

[108] Lo ricorda Angelo Scola nell’intervista rilasciata a Nathalie Frieden (Milano, feb braio 2015).

[109] Per un profilo di questo teologo, cfr. E. Guerriero, Hans Urs von Balthasar , Cinisel lo Balsamo 1991; ma soprattutto il pregnante profilo tracciato da Angelo Scola, che godette della sua piena amicizia, ne studiò e ne fece studiare il pensiero, in Scola – Geninazzi, Ho scommesso sulla libertà , 75-80.

[110] Su questo e sul fondamentale rapporto con la mistica Adrienne von Speyr , cfr. Scola – Geninazzi, Ho scommesso sulla libertà , 76s.

[111] Su questa esclusione denunciata apertamente all’assemblea dei vescovi da padre de Lubac come un grave errore, cfr. ibid. , 75s.

[112] Così Elio Guerriero nell’intervista concessa a Federico Anzini ed Antonietta Moretti (Milano, 19 luglio 2011).

[113] Fondata nel 1965 da Antoine van den Boogaard , Paul Brand, Yves Congar († 1994), Hans Küng , Johann Baptist Metz, Karl Rahner († 1984), Edward Schillebeeckx († 2009), edita in 7 lingue ed in 11 edizioni nazionali; Corecco vi pubblica un breve saggio nel 1968, cfr. E. Corecco , Il vescovo, capo della Chiesa locale, protettore e promotore della disciplina locale , in Concilium 4 (1968) 602-609. Questo articolo, uscito anche nell’edizione polacca ( Concilium 1/X [1968] 443-454) attirerà l’interesse di Karol Wojtyła, allora arcivescovo di Cracovia e da poco cardinale.

[114] E. Guerriero, Servitore di Dio e dell’umanità. Biografia di Benedetto XVI , Milano 2016, 152.

[115] Così di nuovo Scola – Geninazzi, Ho scommesso sulla libertà , 80s.

[116] Cfr. su questo il racconto leggermente divergente nei particolari di Angelo Scola, in ibid. , 72s.

[117] Così ibid. , 81 e 83s.

[118] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 6: lettera del 19 maggio 1970, con la quale la comunità universitaria di Friburgo presenta a von Balthasar la propria esperienza, aderendo ad una precisa richiesta dell’illustre teologo. Claudio Mésoniat ricor da anche il suo entusiasmo di fronte al quartino del 1970, Costruire la Chiesa è liberare l’uomo , tradotto in francese (colloquio del 22 febbraio 2014).

[119] Savorana , Vita di don Giussani , 306-320: descrive l’entusiasmo di don Giussani per il Concilio («Noi l’abbiamo […] – pur con tutti i nostri limiti – come “previssuto” per molti aspetti», ibid ., 308), l’attenzione verso i documenti conciliari proposti alla meditazio ne di tutto il movimento e la profonda sintonia con i loro contenuti.

[120] A. Scola , E il papa lo chiamava “vescovo teenager” , in F. Lombardi – G. Zois (a cura di), Siate forti nella fede , Lugano 1995, 379-392, 382.

[121] H. U. von Balthasar – L. Giussani, L’impegno del cristiano nel mondo , Milano 1971.

[122] Per questo difficile rapporto, spesso conflittuale, cfr. la minuziosa analisi in Busani, Gioventù studentesca , 250-306: fin dall’inizio degli anni ’60 soprattutto a Milano, l’arrivo in università di studenti cresciuti nella GS di don Giussani aveva acuito le frizioni con l’AC, ed in particolare con la FUCI che rivendicava un quasi monopolio della presenza in università, e, ligia al suo stile organizzativo, era estremamente sensibile alla separazione dei sessi e al rispetto degli ambiti di competenza, mentre i Giessini superavano, con la loro esperienza unitaria, ogni confine istituito. Anche la prospettiva educativa divergeva: per la FUCI l’obiettivo era la formazione dell’«intellettuale cattolico», per i Giessini la presenza comunitaria e missionaria nell’ambiente.

[123] Savorana , Vita di don Giussani , 387-413: il capitolo dedicato al Sessantotto intito lato «Una rivoluzione di sé», per sottolineare il passo di maturazione avvenuto attraverso questo grave momento di crisi; cfr. anche L. Giussani, Il movimento di Comunione e Libe razione (1954-1986). Conversazioni con Robi Ronza , Milano 2014, 69: l’incidenza del tem poraneo allontanamento di Giussani dalla guida di GS sulla sua impostazione pedagogica.

[124] Giussani, Il movimento di Comunione e Liberazione (1954-1986) , 78s.: la costatazione che «la maggior parte dei dirigenti della FUCI degli anni ’60 sono diventati cristiani per il socialismo».

[125] Cfr. in particolare per questi anni il saggio di G. Della Pergola, I gruppi di “Comunione e Liberazione” (1970-1971), in Testimonianze 136/XIV (agosto 1971) 523-534, introdotto come segue: «Pubblichiamo questo articolo di Giuliano Della Pergola sull’esperienza dei gruppi di “Comunione e Liberazione”. La prospettiva di questi gruppi, così come risulta dalle loro stesse pubblicazioni è, a nostro avviso, densa di rischi, a causa dell’impronta integrista che la caratterizza». Per articoli precedenti su “Gioventù Studentesca ”, cfr. in ibid. 86/IX (luglio-agosto 1966), Inchieste: il problema «GS». Note sull’esperienza del movimento «Gioventù Studentesca» a Milano , 428-446, S. Cesca, L’esperienza «GS» a Milano , 429-438; A. Marzotto, I meriti di «GS» , 438-441; Un gruppo di amici romani, Appunti sul metodo educativo di «GS» , 442-446; S. Cesca, «GS». Conferma di un’analisi , in ibid. 88/IX (ottobre 1966) 588-595; Id., Lettere a Testimonianze , in Testimonianze 89/IX (novembre 1966) 699-708; e ancora in ibid. 91/X (gennaio 1967), Risposta a «Milano Stu denti» , 73s. La rivista Milano Studenti aveva polemizzato con Testimonianze nel suo numero del 25 gennaio 1967. Nel 1971, Testimonianze tornava ad occuparsi del movimento di don Giussani nell’ Editoriale ( ibid. 139-140/XIV [novembre-dicembre 1971] 734), dove scrive: «Vogliamo invece occuparci di quei movimenti che, sottraendosi anch’essi alla tutela istituzionale, giudicata insufficiente (di qui il loro apparente progressismo), assecondano in modo acritico e quindi strumentale la spinta alienante della società produttiva. Pensiamo in particolar modo (ma non esclusivamente) ai gruppi di Comunione e Liberazione…»; ibid. , 858-872: il numero ospita Un’inchiesta su “Comunione e Liberazione”, la cui urgenza è dettata da una grave preoccupazione espressa nell’occhiello introduttivo: «La loro rilevanza e la loro capacità di penetrazione soprattutto fra i giovani sono notevoli. A nostro avviso […] essi sono caratterizzati da un forte integrismo e da una grave tendenza a sottrarre, in vista di un impegno comunitario totalizzante e dalle connotazioni assai discutibili, i loro aderenti ad impegni di altro tipo come ad esempio quello politico ( ibid. , 858); per l’origine ed il ruolo della rivista Testimonianze, cfr. Saresella , Dal Concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli anni del cambiamento (1958-1968) , 117-144.

[126] Per un giudizio su padre Ernesto Balducci (1922-1992), prete dell’ordine degli Scolopi , e la diffusa tendenza tra gli intellettuali cattolici di questi anni, cfr. Savorana , Vita di don Giussani , 387s.: «Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta Raniero La Valle si dimette da direttore del quotidiano cattolico bolognese Avvenire d’Italia e diventa deputato della Sinistra indipendente (1967); padre Ernesto Balducci, fautore del dialogo con i comunisti, fa della rivista Testimonianze l’amplificatore della sue posizioni di dissen so verso la Chiesa istituzionale, le ACLI compiono la scelta socialista che induce la CEI a ritirare gli assistenti ecclesiastici dall’organizzazione cattolica (1970). Gruppi di teologi diffondono pubblicamente prese di posizione contro il magistero di Paolo VI. E proprio il Pontefice valuterà il fenomeno con queste parole: “Se poi si esplora nella psicologia di que sti contestatori quale sia il modo tollerabile di tale esercizio [dell’autorità] pare che esso sia duplice: 1) che l’autorità stia zitta […]; 2) che si pronunci in conformità di chi la contesta”».

[127] Che era stato forse uno dei predicatori di Esercizi Spirituali della Lepontia ticinese, cfr. P. F. Riva, Cronistoria , in Risveglio 10-11 (1985) 377: nel 1961 «Gli Esercizi Spirituali, con 25 partecipanti, sono tenuti da padre Bonato sj ».

[128] L’impegno del cristiano nel mondo , recensione di R. Bonato, in Letture 2/XXVII (1972) 164: «Non sapremmo infatti dove e come collocare le stupende parole di Balthasar su “croce e gioia” (pp. 83-91) nella esperienza assai problematica e per molti aspetti contraddittoria di tali gruppi di cui ben conosciamo le possibilità ed i limiti»; ma si veda anche l’identica accusa di manipolazione su Testimonianze 139-140/XIV (novembre 1971) 871.

[129] L’impegno del cristiano nel mondo , recensione di R. Bonato, 163-165: «Come l’in segnamento di Balthasar sia entrato nel programma di Comunità (sic) e Liberazione, non siamo proprio in grado di rilevarlo, dal riassunto delle conferenze tenute ad Einsiedeln da Luigi Giussani, che occupa la seconda parte del volume […] il tessuto di tutto il discorso [di don Giussani] è biblico, ma nel senso inverso dell’uso che ne fa Balthasar […]. Ci sembra infatti che le numerosissime citazioni bibliche facciano da supporto o da pezze giustificative ad una tesi che è ben chiara […]: “Nel nostro tempo, il motivo essenziale di adesione al cristianesimo può essere costituito dall’incontro con un annuncio , cioè con un certo tipo di presenza, con una presenza carica di messaggio” […]. Di fatto ci sembra di scorgere in queste pagine una graduale sparizione dell’uomo e, parallelamente, una riesumazione di vecchie concezioni comunitarie , che man mano, si sostituiscono alla persona ed al dinamismo creativo di ogni essere umano».

[130] Così Corecco riassume le accuse addebitate a don Giussani nella lettera a von Bal thasar del 15 gennaio 1972, in ACorecco Lugano, Corrispondenza con von Balthasar.

[131] ACorecco , Lugano, Corrispondenza con von Balthasar: 15 gennaio 1972: «non ho il tempo di fare un’apologia in tutte le forme e per di più devo scriverle in italiano per essere più rapido, visto che domani parto per Salamanca per partecipare ad un Simposio sulla Lex fundamentalis e tenervi una relazione».

[132] Ibid.

[133] Ibid. ; ed è questa un’allusione ai complessi rapporti tra la Chiesa italiana, in particolare della sua gerarchia, e la Democrazia Cristiana, che hanno marcato in modo del tutto particolare la vita politica dell’Italia, un paese dove ai Cattolici era chiesto di aderire a questo partito.

[134] Ibid. : l’allusione è a Sante Bagnoli, fondatore e direttore della casa editrice Jaca Book di Milano.

[135] Ibid.

[136] ACorecco Lugano, Corrispondenza con von Balthasar: si parla di trattative per l’edizione francese della rivista già in un biglietto del 21 gennaio 1972. Il primo numero sarebbe uscito nel 1975.

[137] Cfr. Une expérience italienne . Comunione e Liberazione , in Communio 6 ( juillet-août 1976) 70-79 (traduzione della lunga intervista di Robi Ronza a don Giussani).

[138] ACorecco Lugano, Corrispondenza con von Balthasar: 9 gennaio 1976, chiede materiale da tradurre per presentare il movimento; per i rapporti tra von Balthasar e don Giussani, cfr. A.-M. Jerumanis , L’impegno del cristiano nel mondo secondo Luigi Giussani e Hans Urs von Balthasar , in Paximadi – Prato – Roux – Tombolini (a cura di), Luigi Giussani. Il percorso teologico e l’apertura ecumenica , 219-242.

[139] I quartini di presentazione si trovano sparsi nei classatori del Fondo Corecco presso l’Archivio di CL Lugano, cfr. ad es. Classatore nr. 7.

[140] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 6: P. Ortelli, « Communion et Libération», in Choisir 136/XII ( février 1971) 16s.

[141] HS I/4, 194s.; https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/023290/2008-08-15/ (V. Conze mius ) (consultato 30 agosto 2019).

[142] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco : Classatore nr. 6: Giornale del Popolo del 26 maggio 1973, 13 e 28 luglio 1973, 13: articoli firmati da Maurizio Balestra, Pietro Ortelli, Claudio Mésoniat , Flavio Schira , Albino Zgraggen .

«in lui il servizio alla Chiesa e la ricerca della verità fu sempre predominante»143

1.1.  Il servizio alla Chiesa luganese: l’episcopato di mons. Giuseppe Martinoli (1968-1978)

1.1.1.  Il Sinodo 72 (19721975)Il radicamento di Eugenio Corecco nella realtà della Chiesa faceva sì che non potesse certo dimenticarsi di essere incardinato a Lugano e di sentire verso questa diocesi un dovere di servizio, che aveva per lui un valore prioritario insieme alla coscienza dell’utilità per tutta la Chiesa dell’esperienza di CL. Questo emerse chiaramente in occasione del Sinodo 72. Verso la fine degli anni ’60 la Conferenza dei vescovi svizzeri promuoveva la convoca

zione di un sinodo, voluto come momento di riflessione delle diocesi svizzere e strumento per l’attuazione del Concilio Vaticano II, con la grande novità del coinvolgimento attivo del laicato[144]. Un gesto questo sul quale si potevano appuntare speranze e progetti divergenti tra loro, con il rischio che si rendesse manifesta la fragilità del tessuto ecclesiale[145]. Improntato al modello federale, il Sinodo avrebbe avuto una preparazione comune, uno svolgimento diocesano seguito da un coordinamento nazionale[146]. Le parrocchie, gli ordini religiosi ed altri ambiti ecclesiali riconosciuti erano chiamati ad eleggere i membri dell’assemblea sinodale diocesana, vi avrebbero fatto parte anche i delegati del vescovo, unica autorità alla quale spettava dare valore deliberativo alle decisioni sinodali[147]. Il vescovo aveva anche facoltà di ricorrere a delegati esterni[148]. L’assemblea avrebbe votato l’entrata in materia, l’approvazione o l’emendamento dei documenti sottoposti al suo esame. I delegati avevano diritto di interpellanza e di mozione[149]. I temi di riflessione, concordati a livello federale e definiti a partire dalle suggestioni emerse da vaste consultazioni nelle diocesi[150], furono raccolti in 12 tematiche, affidate ad altrettante commissioni speciali (COSPE) [151], che si incaricarono di elaborare, prima a livello interdiocesano e in seguito a livello diocesano, un documento sottoposto per finire all’esame delle assemblee sinodali diocesane[152]. Non mancarono le resistenze all’impresa del Sinodo. In Ticino la prima e più violenta polemica fu attizzata dal documento della COSPE 6 su matrimonio e famiglia, con una raccolta di firme tra quanti contestavano il contenuto del documento. Nel mirino dei critici c’era però anche il modo di procedere del Sinodo: invitare la base a suggerire i temi di riflessione era considerato un metodo inquinato di modernismo[153]. Mons. Giuseppe Martinoli, che nel 1968 era succeduto a mons. Angelo Jelmini[154], pur essendo considerato un vescovo poco incline all’ascolto e poco entusiasta del Sinodo[155], si oppose con decisione ad ogni tentativo di limitarne la libertà di parola e chiese di sospendere la raccolta di firme[156]. Anche la modalità con cui nella seduta costitutiva i delegati sinodali furono chiamati ad eleggere le cariche funzionali (presidente, vice-presidente, moderatori, praesidium, commissioni amministrative e presidenti delle commissioni speciali) suscitò delle critiche, perché la scelta avveniva sulla base di una lista di candidati presentati dal vescovo. Si richiese di rivedere gli statuti a livello federale, ma la proposta non ebbe seguito[157]. In ossequio al nuovo spirito ecumenico scaturito da Concilio, ai lavori sinodali, in particolare a quelli nelle singole commissioni, presero parte i rappresentanti della Federazione delle Comunità Evangeliche Riformate del Ticino[158].

Coinvolto, fin dalle prime battute, dal vescovo Martinoli[159], Corecco partecipò, a livello federale, alla commissione preparatoria interdiocesana (CPI), alla commissione incaricata di redigere lo statuto (COSTA) e a quella che rifletteva sul significato della Chiesa[160]. I lavori si sarebbero aperti nel 1972, da qui il titolo di Sinodo 72, per terminare nel 1975, dopo sette sessioni, tenute la prima nell’aula del Consiglio Comunale di Lugano e le altre nell’aula del Gran Consiglio a Bellinzona[161]. Al pari del parlamento cantonale, il Sinodo contava 90 membri: per statuto metà erano esponenti del clero e metà laici, 1/3 dovevano essere donne, 1/5 giovani tra i 16 e i 25 anni e 1/7 lavoratori stranieri[162]. Corecco vedeva nel Sinodo soprattutto un’occasione irripetibile per la crescita della coscienza ecclesiale. Da sempre aveva apprezzato, ed intensamente condiviso, il desiderio dei giovani laici di essere protagonisti della vita della Chiesa. In un primo tempo, come molti del resto, aveva forse riposto grandi speranze nell’adozione da parte dell’autorità ecclesiastica di strutture o atteggiamenti più «democratici», più attenti all’ascolto[163], ora si rendeva conto che questo desiderio poteva trovare vera risposta solo nella scoperta della dimensione comunionale della Chiesa stessa. La partecipazione attiva ai lavori era quindi ai suoi occhi solo propedeutica, seppure imprescindibile, per il disvelarsi di questa coscienza. Nel corso degli incontri di preparazione, più volte egli espresse preoccupazione per lo scarso interesse del clero e dei laici[164]. Grande e dolorosa apprensione suscitarono in lui le dimissioni del delegato vescovile, don Oliviero Bernasconi, proprio mentre i lavori preparatori erano in grande ritardo[165]. Episodio questo che purtroppo era preludio ad altre polemiche[166]. In occasione del Sinodo, Corecco pubblicava sul primo numero dell’edizione italiana della rivista Communio[167] un saggio, il cui titolo individuava l’alternativa fondamentale: Parlamento ecclesiale o diaconia sinodale?. Constatando l’aperta crisi in cui versavano i nuovi Consigli diocesani, creati dal Concilio Vaticano II, Corecco ricercava le origini del loro mancato funzionamento.

Non gli bastava la facile diagnosi, che ne addebitava la responsabilità al conflitto tra innovatori e tradizionalisti, il vero problema stava nel difetto di coscienza ecclesiale che accomunava i partiti contrapposti, per cui «queste nuove strutture sinodali della Chiesa particolare vengono concepite e strumentalizzate in funzione di una logica mondana di potere; dall’alto verso il basso per la conservazione dello status quo, dal basso verso l’alto per la scalata del potere, vale a dire in funzione della cosiddetta “democratizzazione” della Chiesa. Proprio all’interno di quest’ultima tendenza si dimentica facilmente che anche la democrazia, come ogni sistema costituzionale, è una struttura di potere, che si pone perciò, lo si voglia o no, al pari di ogni sistema autoritario, essenzialmente in termini di spartizione del potere»[168].

Corecco proseguiva leggendo il valore delle procedure – la prassi del voto, il significato della maggioranza ed infine tutto l’esercizio del potere all’interno della Chiesa –, alla luce della natura profonda di questa, ovvero della comunione, capace di dare un significato completamente diverso a pratiche esteriormente simili a quelle dei parlamenti. Nella Chiesa, la divisione delle competenze non era una ripartizione del potere, né un parere si imponeva automaticamente per la forza del numero (osservando, di passaggio ed anche sulla base del principio medievale della sanior pars, che il fatto di essere condivisa dai più non faceva di una decisione la migliore). Il valore della maggioranza era dunque più illustrativo che decisionale, così come il significato delle votazioni; la responsabilità del vescovo non poteva essere ripartita, sebbene la consultazione fosse parte integrante del giudizio autoritativo. L’accanito attaccamento alle forme della democrazia rivelava per Corecco una concezione individualistica della persona ed un equivoco associazionistico, mentre occorreva ritrovare il fondamento della comunione: dal battesimo nasce l’uomo nuovo, salvato da Cristo, reso unito in sé stesso e con gli altri dalla forza del sacramento; dalla comune appartenenza a Cristo scaturisce un criterio nuovo per affrontare la realtà e l’esistenza, divenuta reale tensione al coinvolgimento di sé con gli altri. Infatti l’uomo nuovo vive la comunione, superando l’antinomia tra individuo e società. La vita della Chiesa è dunque riconoscimento della comunione, i rapporti tra clero e laicato non sono definiti sulla base del modello dualistico Chiesa-mondo, non sono rapporti di potere-sottomissione, ma sono rapporti di comunione; la logica delle strutture ecclesiali è quella del servizio ed i consigli diocesani non sono organismi rappresentativi, bensì luoghi di testimonianza. La riscoperta del dinamismo della comunione comportava per tutti un cambiamento di mentalità, vescovi inclusi[169].

Corecco non solo abbracciò con dedizione e con passione l’impegno del Sinodo, partecipando il più possibile alle sessioni, ma invitò anche i suoi studenti a rendersi disponibili, candidandosi nelle rispettive parrocchie. E non invano: «Tra i giovani spiccarono gli appartenenti al movimento di Comunione e Liberazione (inizialmente 4 poi 5, su 8 giovani di diritto), che, legati a don Corecco, fecero sentire, in più occasioni, la loro presenza, attraverso l’esposizione di alcuni concetti chiave della visione teologica del loro movimento ed una loro particolare espressione linguistica»[170]. Insieme ad Albino Zgraggen, eletto tra i membri giovani del Sinodo ticinese e membro della commissione interdiocesana sulla Chiesa[171], ed ai gruppi di Comunione e Liberazione di Friburgo, Berna, Zurigo e Lugano, preparò un documento organico, inteso come contributo offerto all’assemblea centrale, sullo schema La chiesa nella comprensione dell’uomo contemporaneo, in cui proponeva i principi fondamentali dell’insegnamento di don Giussani, illustrando quanto la natura della Chiesa fosse diversa da quella di qualunque associazione puramente umana ed indicando la costruzione della stessa come progetto fondamentale della missione e primo compito culturale del cristiano[172]. In sede diocesana, Corecco scelse di lavorare nella COSPE 4 (La Chiesa come comunità) e nella COSPE 9 (La Chiesa e le comunità temporali), commissione di cui fu presidente[173]; ma diede un importante contributo al documento sulla fede presentato dalla commissione apposita. A questo proposito, le sue osservazioni miravano ad impedire che la riflessione si perdesse in astrazioni, perché – insisteva – «non si può parlare della fede, che è un dono, ma si può parlare dell’uomo credente, chiamato ad accettare liberamente questo dono, e quindi della sua esperienza, in cui la fede è strettamente connessa con le altre due virtù teologali, la speranza e la carità»[174]. Troppo avventurosa venne invece considerata la sua proposta di abbandonare lo spazio dell’ora di religione all’interno della scuola, alquanto contestato dai ragazzi e colpevole ai suoi occhi di aver intellettualizzato l’esperienza cristiana, per cercare altri spazi extra-scolastici in cui far incontrare ai giovani la fede[175]. Nell’ambito della COSPE 4, Corecco ripropose alla riflessione comune il testo sulla Chiesa redatto comunitariamente e presentato all’assemblea interdiocesana sullo schema La Chiesa nella comprensione dell’uomo contemporaneo[176]. E da questa scartato in prima battuta. Ma, di fronte all’insoddisfazione suscitata dal documento ufficiale della commissione interdiocesana, Corecco lo ripropose alla COSPE 4, che questa volta «decise di accoglierlo come fondamento per sviluppare la parte del proprio documento riguardante le riflessioni teologiche, elaborandone tuttavia una versione dal linguaggio più accessibile»[177]. All’interno della COSPE 9, Corecco collaborò strettamente con Alberto Lepori, a cui venne affidata la revisione di una prima bozza di testo preparata dallo stesso Corecco[178]. Tenendo conto di quanto si proponeva a livello centrale, si trattava di salvaguardare le peculiarità della situazione ticinese, che era considerata soddisfacente grazie alla legge civile-ecclesiastica del 1886[179]. Nell’esaminare il rapporto con lo stato, la commissione discusse anche del progetto di revisione dell’art. 1 della Costituzione ticinese, che mirava sostanzialmente a migliorare lo statuto delle chiese evangeliche, in vista di una reale difesa della libertà di coscienza[180]. Nell’ambito della COSPE 9, Corecco sostenne soprattutto il principio che la Chiesa era un istituto di diritto pubblico in sé e per sé e non grazie al riconoscimento dello stato e, durante l’ampia discussione dedicata al finanziamento della Chiesa, il principio fondamentale del contributo volontario. Egli non era contrario all’imposta di culto, purché fosse chiaro che questa non era esigibile al pari delle altre imposte[181]. Altri interventi puntuali riguardarono temi pastorali, quali il matrimonio dei credenti non cattolici[182] oppure controversi, come quello della difesa nazionale[183], discusso in un dilagante clima pacifista ad oltranza[184] e anti-occidentale, al punto da criticare duramente anche l’opera dei missionari[185].

Nell’arco dei quattro anni della sua attività, nella diocesi di Lugano il Sinodo funzionò davvero come un parlamento, nel quale il governo della diocesi, ovvero il vescovo, era chiamato a rendere ragione delle sue scelte, talvolta tra accese polemiche, legate all’attualità cantonale. Nella primavera del 1974, mentre in Italia si dibatteva sul referendum lanciato su proposta della CEI per l’abrogazione del divorzio (introdotto nella legislazione italiana nel 1970), in Ticino si discuteva animatamente a proposito del referendum sulla «legge sul cinema». Presentata dal governo con un articolo particolarmente pensato per proteggere i giovani dalla pornografia (art. 12), la legge era stata accettata dal parlamento solo dopo che questo articolo era stato espunto. Una frangia di cattolici aveva allora promosso un referendum per il suo mantenimento. Il vescovo ed il Giornale del Popolo si fecero paladini della campagna referendaria, che assunse toni piuttosto accesi. Altri cattolici erano invece antireferendisti e volevano vedere nell’articolo 12 una volontà autoritaria di censura soprattutto sui temi dell’educazione sessuale; molti di loro affratellavano questo referendum a quello italianosul divorzio e si affiancavano a quei cattolici italiani, che contro la volontà espressa dalla CEI, invocavano il diritto al divorzio per coloro che contraevano il matrimonio civile[186]. Nel mirino delle polemiche ticinesi finì ancora una volta il Giornale del Popolo, diretto da mons. Leber, paladino dei referendisti, che non si preoccupava di moderare i toni e non permetteva a nessuna voce dissidente di comparire sul giornale. Nella sessione straordinaria del Sinodo del 20 aprile 1974[187], don Dino Ferrando, cappellano degli operai italiani, protestava per l’intromissione di Comunità familiare[188] nella questione del referendum italiano in chiave favorevole al divorzio ed accusava apertamente padre Callisto Caldelari[189]. Gli rispondeva Fulvio Caccia, scagionando la responsabilità di padre Callisto e passando poi a presentare una interpellanza[190], diretta a mons. vescovo, a proposito del Giornale del Popolo, che doveva essere invitato a riflettere sul pluralismo di opinioni che i cattolici potevano legittimamente avere a proposito della «legge sul cinema»[191]. Chiamato direttamente in causa, Martinoli preparava un intervento per la sessione del 23-26 maggio, con il quale intendeva rispondere sia a proposito della linea del Giornale del Popolo sia a proposito della «legge sul cinema». Egli sottopose il suo scritto anche al giudizio di Corecco, che ne esaminava minuziosamente le argomentazioni e gli suggeriva alcune correzioni, soprattutto di tono. Corecco intendeva aiutare il vescovo a salvaguardare la sua indipendenza in merito al Giornale del Popolo, ma gli raccomandava anche di lasciare aperta la porta al dialogo[192]. Martinoli tenne certamente conto di alcune raccomandazioni, ma il suo intervento venne ritenuto insoddisfacente e, nel corso dell’assemblea sinodale, non mancò un fuoco di fila di critiche al quotidiano cattolico, rese pubbliche da Dialoghi che pubblicava la trascrizione integrale del dibattito[193]. Gli attacchi si rinnovarono ulteriormente, durante la sessione novembrina del Sinodo quando era a tema l’informazione. Mons. Martinoli intervenne allora in difesa del giornale e del suo direttore[194], persino ironizzando sull’accusa che il giornale non rispecchiasse il pensiero di tutti i cattolici ticinesi: «ma c’è qualcuno che si aspetta questo, nel caos di teorie che scopriamo nuove ogni giorno?»[195]. Neppure Corecco condivideva la linea voluta da mons. Alfredo Leber per il Giornale del Popolo[196], ma in occasione del Sinodo preferì astenersi dal contribuire ad alimentare una polemica già sufficientemente accesa, «esacerbatamente personalizzata», e, soprattutto, che metteva fortemente in causa anche l’autorità del vescovo, punto che maggiormente gli stava a cuore[197]. Il vescovo non poteva non apprezzare questo atteggiamento di sincero e costante servizio alla diocesi, soprattutto nel Sinodo, ringraziò di cuore Corecco con una lettera, nella quale gli preannunciava un nuovo impegno: la riforma della legge civile-ecclesiastica[198]. Eugenio Corecco sarebbe tornato sugli anni del Sinodo 72 e sul ruolo che vi svolse mons. Martinoli nell’omelia che scrisse in occasione delle esequie di questo suo predecessore: «Guardando in retrospettiva quell’avvenimento ecclesiale del Sinodo, che ha assorbito quasi la totalità della vita diocesana di quel decennio, non esiterei ad affermare che la sua resistenza, sempre lucida quanto al merito, se non sempre capace di opporre dialettica a dialettica, sia stata provvidenziale. In effetti, se nella nostra diocesi, come d’altronde in altre, a differenza di quanto è avvenuto in alcune regioni ecclesiali europee, la Parola di Dio ed i Sacramenti continuano ancora oggi ad esser praticati e celebrati in modo sostanzialmente uguale a quello della Chiesa universale, il merito è in gran parte suo. Questo merito non può essergli attribuito solo come risvolto positivo della sua paura di fronte alla novità, come spesso si andava allora insinuando, ma piuttosto al coraggio che gli era connaturale (anche se qualche volta si esprimeva in modo imbarazzato), oltre che alla lucidità, che aveva di fronte al dogma cattolico, acquisito quale infaticabile studioso autodidatta e quale insegnante di lungo corso nel nostro seminario»[199].

1.2.  Le comunità di Comunione e Liberazione in Ticino

La fiducia di mons. Martinoli nei confronti di Corecco, alla cui competenza faceva ricorso volentieri[200], si estendeva, sotto la forma di una stima cordiale sempre ammantata di discrezione, al movimento di Comunione e Liberazione[201] – significativo il fatto che abbia affidato a due preti di CL, don William Volonté e don Gianni Danzi (1940-2007), larga parte dell’insegnamento della religione alle scuole medie superiori nella speranza di arginare il dilagante abbandono[202] – e non venne meno, anzi il presule ebbe sempre più modo di apprezzare il valore della fedeltà all’autorità nella Chiesa, che l’educazione di don Giussani aveva instillato nel movimento, particolarmente preziosa in quegli anni in cui gruppi e personalità attivi ed impegnati vedevano nel dissenso dalla gerarchia quasi un indice di vitalità ed intelligenza[203]. Terminati gli studi universitari, la maggior parte della prima generazione dei giovani del movimento era ritornata in Ticino e si era inserita in vari ambiti lavorativi, soprattutto nella scuola. Sposati e ormai genitori proponevano, là dove vivevano, l’esperienza di CL ed in particolare avevano dato vita a due comunità: una a Bellinzona[204], che faceva capo a don Gianni Danzi[205], catechista alla Scuola Cantonale di Commercio e parroco di Daro, e l’altra a Lugano che si riferiva a don Ernesto William Volonté[206], catechista al Liceo cantonale e responsabile dell’Ufficio catechistico diocesano. Don Gianni condivideva la sua casa con due giovani che verificavano la loro vocazione tra i Memores Domini ed un seminarista, che ben presto lo affiancherà come sacerdote. Egli fondava a Daro il Centro culturale 1984[207], che gli offriva l’opportunità di invitare in Ticino esponenti di primo piano del cattolicesimo latino-americano, che costituivano una voce alternativa alla dilagante teologia della liberazione, ed intellettuali così detti «dissidenti», provenienti dai paesi oltre la cortina di ferro, in particolare dalla Polonia. Don Gianni si era infatti affiancato con entusiasmo al lavoro di don Francesco Ricci[208], di Forlì, instancabile promotore dell’incontro con credenti e uomini liberi in America Latina, nell’Est europeo e in Asia. Dall’esperienza italiana, egli portava in Ticino anche l’iniziativa della «Scuola estiva», una settimana di convivenza, proposta a studenti e insegnanti, con momenti di lezione e di confronto su di un tema di religione, arte, storia o attualità, volta non solo a colmare le lacune dei programmi scolastici ma soprattutto ad approfondire la capacità di giudizio, a partire dalla fede[209]. Legato alla parrocchia di Daro era il mensile Presenza, pubblicato dall’autunno 1974 al dicembre 1976[210]. Fu probabilmente in occasione di una scuola estiva che prese inizio la felice iniziativa dei seminari biblici con padre Dominique Barthélémy, op (1921-2002), docente di esegesi all’Università di Friburgo, amico di don Corecco e grande estimatore dell’esperienza di don Giussani, che presto si trasformarono in un lavoro regolare durante l’anno e tanta parte ebbero nella formazione di parecchi giovani ciellini[211]. A Lugano, don Volonté, confrontato con la necessità di alcuni studenti di trovare alloggio perché quello della città era l’unico liceo del cantone (a parte il Pontificio Collegio Papio di Ascona), raccoglieva praticamente ed idealmente il testimone della Casa dello Studente, che i Gesuiti si erano decisi ad abbandonare[212]. Nell’anno scolastico 1974/75, anche fisicamente, alcuni giovani adulti e gli studenti liceali «fuori sede» di Comunione e Liberazione si insediavano provvisoriamente nello stabile dei Gesuiti, che era in vendita[213]. L’anno seguente, grazie alla mediazione di Corecco, il vescovo offrì loro i locali dell’ex-albergo Bavaria in piazza Indipendenza, che l’OCST aveva lasciato per trasferirsi presso una nuova sede. Da questo momento la diocesi affiderà al movimento, unitamente all’attività dell’Oratorio, l’adempimento dell’obbligo morale e legale, vincolato al Lascito Maghetti, di operare a favore della gioventù[214]. In piazza Indipendenza si riorganizzò di fatto la Casa dello Studente, si aprì una mensa per studenti e lavoratori, si insediò la sede del movimento e si organizzarono locali per le riunioni e lo studio in comune. I giovani ospiti della Casa erano invitati a seguire una essenziale regola di preghiera e una stanza venne adibita a cappella. Con l’apertura dei licei di Bellinzona (1975), di Mendrisio (1977) ed infine anche di Locarno, la necessità di offrire ospitalità a studenti in trasferta sarebbe progressivamente venuta meno. Quando, alla fine degli anni ’70, la diocesi avviava la radicale ristrutturazione degli stabili che avrebbe portato alla creazione del nuovo Quartiere Maghetti, per la sede del movimento venne predisposto uno spazio, con locali per la segreteria, le riunioni ed ancora la possibilità di una piccola mensa (settembre 1983). Negli anni ’70, che anche nelle scuole superiori ticinesi furono alquanto burrascosi per la contestazione giovanile e non solo, la Casa dello Studente ed i liceali di CL furono un punto di riferimento per molti studenti. I ciellini parteciparono lealmente, da protagonisti e talvolta da leader, alle battaglie dei loro coetanei per una scuola meno autoritaria e più «democratica». Essi condividevano volentieri il vocabolario libertario e sinistrorso in uso all’epoca, ma mantenevano un atteggiamento critico di fronte all’analisi marxista del disagio[215]. In questo modo fecero sì che nelle assemblee studentesche ci fosse un reale spazio di dialogo ed esse non divenissero un ambito di indottrinamento ideologico. In quegli stessi anni però, tra i più accreditati insegnanti del Liceo figuravano rappresentanti della «vecchia guardia» della Lepontia storica, che faticavano non poco a capacitarsi della cordiale adesione dei giovani cattolici alle lotte studentesche, che ai loro occhi erano pura espressione della rivoluzione marxista; non mancavano dunque di far parte del loro sconcerto a mons. Martinoli, il quale però sembrava riuscire a vedere più lontano. I gruppi di studenti che aderivano a CL erano presenti in varie scuole superiori: oltre che al Liceo di Lugano, a quello Bellinzona, alla Scuola cantonale di Commercio216 e alla Scuole magistrali di Locarno e Lugano217. Questo vivace movimento, in anni di vita scolastica turbolenta, incuriosiva e forse metteva in apprensione i genitori[218] e non a caso, nei mesi di febbraio e maggio 1972, don Corecco dedicava a loro due incontri[219]. Altre piccole comunità nascevano attorno ai giovani adulti, rientrati nei luoghi di origine, dopo aver incontrato CL durante gli studi: è il caso delle comunità in valle di Blenio e in val Poschiavo. Corecco seguiva con attenzione queste realtà e le visitava non appena possibile, percorrendo la Svizzera sempre in compagnia di qualche studente[220]. Amava questi viaggi e godeva nell’incontrare e far incontrare tra loro le persone, come già ai tempi di Monaco quando aveva voluto che i «suoi» ragazzi incontrassero i colleghi canonisti, quando preferiva andare in Spagna in auto per offrire ai giovani la possibilità di accompagnarlo. Seguiva con attenzione anche l’attività culturale delle comunità. Per tutto il movimento di don Giussani quello era un periodo di intenso impegno e al pari degli amici italiani anche i Ciellini ticinesi cercavano di rendere visibile la loro presenza tramite gesti pubblici e soprattutto la maturazione di un proprio giudizio sulla società. Era per loro di particolare importanza il campo della scuola e dell’educazione alla quale avrebbero dedicato una giornata di riflessione nel 1975[221]. Un altro tema caldo era quello dell’America Latina – un continente stretto tra la povertà, frutto dello sfruttamento colonialista e capitalista, e le dittature di destra, dove si faceva largo la teologia della liberazione, della Spagna – confrontata con gli ultimi colpi di coda della dittatura del generale Franco († 1975)[222]. In ambedue i casi erano frequenti le accuse alle gerarchie ecclesiastiche compromesse con il potere e lo sforzo di giudizio del movimento tendeva a mostrare come invece una vera esperienza di Chiesa fosse custode e sostegno delle istanze di giustizia e di libertà. Particolarmente significativo a questo proposito fu Il canto perseguitato, uno spettacolo di canti latino-americani, che esprimevano, accanto alla denuncia, anche tutta la religiosità di quei popoli[223]. Diffusi in prima battuta da un gruppo musicale di Rimini legato al movimento e pubblicizzati con uno spettacolo al Meeting di Rimini, essi furono ripresi ed interpretati da un gruppo di ragazzi talentuosi ed appassionati di musica. Lo spettacolo fu invitato anche a Friburgo[224].

1.2.1.  La partecipazione ai lavori di ISTRA

Nel grande travaglio intellettuale, particolarmente drammatico in un’Italia che faceva i conti con la violenza degli estremismi armati di Destra e di Sinistra, erano infatti gli Anni di piombo, dove la cultura stentava a trovare una strada nuova, tra conservatorismo stantio e rivoluzione, i giovani accademici che seguivano don Giussani diedero vita ad un istituto di ricerca – ISTRA (Istituto di Studi per la Transizione) – dal 1971 al 1976, diretto da Angelo Scola. L’istituto includeva vari dipartimenti, a seconda della disciplina[225]. Il tentativo era quello di orientare le tesi di laurea e di ricerca, nella misura del possibile, verso un disegno ampio di indagine e studio dei problemi più gravi della società. Anche Corecco evidentemente venne coinvolto in un progetto, che, accanto a Communio, diveniva la seconda occasione privilegiata per collaborare con altri intellettuali del movimento.

1.3.  L’intervento nel «sociale»

1.3.1.  La Caritas e la Commissione diocesana delle opere sociali

La sua attenzione era però volta anche alla diocesi ticinese ed alle sue istituzioni. A suo giudizio l’esperienza di Comunione e Liberazione, portatrice di una originale concezione della carità[226], aveva molto da dire nel campo dell’assistenza in cui la Chiesa era presente in modo eminente, attraverso numerose congregazioni religiose dedite al servizio di anziani, malati e persone portatrici di handicap: di fatto in Ticino, fino agli anni ’60, ben pochi erano gli istituti statali di cura ed assistenza ed anche questi, spesso, si avvalevano di personale religioso[227]. Ma le congregazioni di vita attiva erano da tempo confrontate con il calo delle vocazioni e con una sempre più alta esigenza di preparazione professionale del personale curante, che non sempre sembravano in grado di assicurare. Già il Sinodo 72 aveva avuto tra i suoi temi «La Chiesa e le attività sociali» (COSPE 8) e si era occupato a più riprese di questo aspetto e del compito della Caritas diocesana, fondata nel 1942 da mons. Jelmini per far fronte alle impellenti difficoltà della guerra e dell’accoglienza dei rifugiati. Diretto dal 1949 da don Corrado Cortella[228], a distanza di 30 anni, l’ente non aveva del tutto abbandonato il suo primitivo stile di lavoro, volto a fornire un aiuto immediato alle richieste di chi bussava alla sua porta, sebbene, fin dal 1959, avesse iniziato ad assumere personale specializzato[229]. Si profilava anche l’esigenza di un coordinamento e nel 1958 Caritas patrocinava la nascita di una Federazione delle Opere sociali ed assistenziali (FTOSA)[230]. Nel frattempo si affacciavano nuovi bisogni dettati dal rapido cambiamento della società, basti pensare al forte afflusso di operai stranieri, che si trovavano spesso in difficoltà, oppure alla necessità di creare nuovi servizi, come quello per l’assistenza alle madri nubili[231]. Nel 1965 mons. Jelmini faceva della Caritas una fondazione ecclesiastica, riconosciuta quale persona giuridica dal diritto pubblico cantonale[232], e nel 1971 mons. Martinoli le riaffidava il compito, già della FTOSA, di fungere da organo di collegamento tra l’autorità diocesana e gli enti assistenziali di fondazione o carattere religioso, oppure che si avvalevano di personale religioso[233]. Ma quando l’assemblea sinodale lavorò su questo e su altri punti da sempre dolenti, quali quello del finanziamento, trovò che ben poco si era potuto realizzare, come constatava da membro della COSPE 8, una giovane assistente sociale che partecipava al movimento di Comunione e Liberazione, Mimi Lepori (1949-2016), allora impiegata nell’Ufficio cantonale delle opere sociali (1972-1973). Grazie al suo impegno professionale aveva avuto modo di prendere atto dell’ampiezza e del valore dell’opera delle congregazioni ed associazioni religiose, ma anche della mancanza di coordinamento, e persino di comunicazione, tra di loro, che pur condividevano origine e scopo. Lo faceva presente a mons. Martinoli in un succinto rapporto[234]. Dopo un secondo soggiorno a Friburgo per perfezionare gli studi, Mimi Lepori ritornava a Lugano nel 1976 per iniziare la collaborazione con la Caritas. Non si trattava solo di una sua scelta personale, ma di un più vasto progetto, frutto del confronto tra mons. Cortella e Corecco e pienamente accolto da mons. Martinoli. Coinvolgeva anche due altri giovani ciellini, Sandro Salvadè, psicologo, e Patrizia Solari, pedagoga, e prevedeva la creazione di una Commissione diocesana per le opere sociali. Purtroppo Sandro Salvadè periva in un incidente stradale nel dicembre di quello stesso anno e Patrizia Solari rinunciava all’incarico[235]. Mimi Lepori iniziava comunque a lavorare nella Caritas e, con l’appoggio di mons. Cortella, a darle un’organizzazione più efficiente, più progettuale e professionale ed in migliore collaborazione con gli enti statali, anche dal profilo dell’accesso ai sussidi[236]. Lo stesso anno, il 30 novembre 1976, mons. Martinoli costituiva la progettata Commissione diocesana per le attività sociali[237], la quale si dava una serie di ambiziosi obiettivi: esaminare la situazione sociale della diocesi, vagliare le possibili attività di animazione ecclesiale, sensibilizzare l’opinione pubblica ed in particolare i cattolici sui problemi sociali, promuovere nuove attività, coordinare gli interventi dei vari enti caritativi cattolici, creare gruppi di studio e di lavoro ed altro ancora. La Commissione radunava, sotto la presidenza del delegato del Consiglio Pastorale, che era don Bruno Zoppi, parroco di Melide, rappresentanti di istituzioni e associazioni attive nel campo assistenziale (Caritas, OCST, enti religiosi…) e si avvaleva, dal punto di vista organizzativo, del personale della Caritas[238]. In concreto una parte dell’attività lavorativa di Mimi Lepori era costituita dagli oneri di segreteria della Commissione, che intendeva accogliere le priorità già indicate dal Sinodo 72, a proposito delle nuove problematiche sociali e sulla necessità di professionalizzare il personale religioso dedito all’assistenza, evitando la perdita della sua specificità[239], nel momento in cui prendeva peso l’intervento dello stato nel sociale[240]. Soprattutto era il carattere peculiare della carità ad indurre la Lepori prima ed altri giovani di CL poi, sotto l’impulso di Corecco, a mettere le loro competenze al servizio delle strutture assistenziali religiose[241]. Essi stessi attingevano ad esperienze fiorite nel movimento, in particolare guardavano alla «Casa del Povero», un’ampia caritativa della comunità di Lecco, che faceva capo ad un gruppo di donne del movimento, che erano andate ad abitare nella zona degradata della città e vi svolgevano un’opera di aiuto ed assistenza in particolare alle famiglie ed ai minori. Presso di loro la Lepori trascorse un periodo di formazione[242]. Il Consiglio di Stato fu informato della costituzione della nuova Commissione ed aderì alla richiesta che questa fosse rappresentata nelle commissioni cantonali a carattere sociale[243]. Come risulta da un rapporto sugli inizi dell’attività[244], il mandato del nuovo organismo fu poco compreso per quanto riguardava la sua incidenza sull’attività assistenziale, persino dalla stessa Caritas; difficile risultò anche l’auspicato coinvolgimento più sistematico delle parrocchie nelle attività caritative[245]. In seguito, da questo punto di vista, faranno eccezione le attività legate all’impegno a favore della vita e all’accoglienza dei profughi.

Negli anni ’70 ed ’80 questi temi furono quasi costantemente in primo piano: il parlamento ed il popolo furono interpellati a più riprese a proposito di leggi sull’aborto volontario, reclamato a gran voce come un diritto, e sull’approvazione di leggi più restrittive a proposito dell’accoglienza dei rifugiati.

Nel 1977, aderendo alla sollecitazione dei vescovi svizzeri, la Commissione favoriva la collaborazione tra diverse realtà cattoliche per la creazione di consultori familiari, strutture di importanza fondamentale, dopo che una risicata maggioranza parlamentare e il voto popolare del 25 settembre 1977 avevano bloccato l’iniziativa per la «la soluzione dei termini»[246] e fatto spazio alle così dette «indicazioni sociali», che mettevano in primo piano il ruolo dei consultori, autorizzati ad approvare l’interruzione della gravidanza. La dilagante confusione circa questo diritto, la mancanza di chiarezza a proposito della portata della questione in gioco rendevano necessario non solo un intenso lavoro di informazione prima del voto, ma soprattutto un impegno educativo di più ampia portata, nel quale venne coinvolta la Pastorale familiare[247].

A proposito dell’accoglienza ai rifugiati, la Chiesa svizzera, e quindi la Caritas, sollecitò costantemente le autorità ad adottare larghe misure di accoglienza. Sull’accoglienza degli stranieri, ovvero sullo statuto dei lavoratori stranieri, il popolo venne ripetutamente chiamato al voto, e si resero necessarie campagne di sensibilizzazione per contrastare le proposte restrittive[248]. A partire dal 1979 la Caritas ebbe modo di prodigarsi concretamente nell’accoglienza di circa un centinaio di profughi vietnamiti, ospitati dapprima presso il Centro la Montarina (un ex albergo di Lugano) e poi distribuiti in numerosi comuni della regione, dove erano stati costituiti e formati dei gruppi di accoglienza. Circa 200 volontari furono coinvolti nelle lezioni intensive di italiano, nella ricerca ed arredamento di appartamenti, nella ricerca di lavoro e nell’inserimento dei bambini nei percorsi scolastici. Nel 1981 Caritas pubblicava un dizionario italiano-vietnamita che aveva buona diffusione anche in Italia. L’anno seguente l’impegno continuava con l’accoglienza di 16 profughi polacchi e di un altro gruppo di vietnamiti, aiutati questa volta dai loro compatrioti già residenti, che si misero a disposizione anche per esprimere la loro gratitudine. Si realizzava così uno dei principali auspici del Sinodo 72: che l’attività di Caritas coinvolgesse la popolazione in una esperienza di carità[249].

Il primo rapporto sull’attività della Commissione, redatto nel mese di marzo 1978[250], era indirizzato a mons. Martinoli, ma avrebbe interessato soprattutto mons. Ernesto Togni, consacrato vescovo di Lugano nel luglio di quello stesso anno[251], che, nel 1980, avrebbe proceduto al cambio della direzione di Caritas, accogliendo le dimissioni di don Cortella, oberato di lavoro perché era anche arciprete della Cattedrale[252], e nominando don Emilio Conrad (1929-2015)[253], di rientro da un periodo di servizio missionario in Colombia. Sotto la nuova conduzione della Caritas, la Commissione continuò la sua attività, affrontò emergenze come quella dell’aiuto ai terremotati dell’Italia meridionale[254] e si occupò, con sempre maggiore impegno, dei problemi legati alle droghe[255].

Malgrado l’evidente utilità del suo lavoro anche come punto di giudizio[256], malgrado la dimostrata capacità progettuale[257], la Commissione era attraversata da un disagio[258]. Nel mese di marzo 1983 don Zoppi inoltrava le sue dimissioni, motivandole soprattutto con difficoltà di rapporto con Caritas[259]. Nel corso dell’estate il Vescovo, in vista del rinnovo della Commissione, chiedeva ai membri un giudizio sul lavoro svolto[260]. Era l’occasione per don Zoppi di esplicitare ulteriormente il suo malessere, che toccava la Commissione e gli altri organismi diocesani, al punto che si era dimesso anche dal Consiglio del Clero e dal Consiglio pastorale. Senza mezzi termini, don Zoppi denunciava la mancanza di impegno da parte dei membri eletti in questi consigli e soprattutto una carente coscienza ecclesiale: gli organismi diocesani erano inutilmente complessi e dettati da un’eccessiva preoccupazione rappresentativa, dimentica del fatto che la Chiesa era una comunione e non una democrazia. Egli chiedeva la preparazione di un piano pastorale, ricorrendo all’aiuto di persone veramente preparate anche all’affronto di problemi istituzionali, e, a questo proposito, nominava esplicitamente Eugenio Corecco «uno dei più insigni studiosi di diritto canonico, di fama internazionale, consulente personale di Giovanni Paolo II, per la stesura definitiva del nuovo codice di diritto canonico […] e inoltre non puro giurista, ma è uno che vede prima la fede e poi il giuridismo, è uno che ritiene il sinodalismo alla luce della tradizione, che è competente nei problemi di collegialità che non investono solo i rapporti papa-vescovi, vescovi-preti, laici-preti»[261]. Difficoltà erano segnalate da tutti[262]. Tuttavia la Commissione avrebbe proseguito la sua attività, con nuovi membri[263].

Nella prima riunione, don Conrad addebitava le difficoltà di rapporto agli statuti di Caritas, che erano da tempo in via di revisione[264]. La Commissione continuava ad essere sollecitata in particolare sui due temi più importanti: il «diritto alla vita»[265], con la proposta di promuovere una politica improntata soprattutto sul sostegno delle famiglie, con mandato alla Caritas di sensibilizzare l’elettorato cattolico[266] e l’impegno della Chiesa a favore dei rifugiati o asilanti, verso i quali la politica federale si faceva sempre più restrittiva[267]. Mimi Lepori aveva consegnato anche il suo documentato rapporto sulle case anziani con una serie di proposte innovative, alle quali però non era chiaro a chi toccasse dar seguito[268].

1.3.2.  La colonia «integrata»

Nel quadro della crescita di una presenza cattolica in campo sociale ed anche della maggiore capacità di collaborazione con lo stato, si colloca la nascita e lo sviluppo della «colonia integrata», ovvero della vacanza estiva per ragazzi proposta anche a portatori di «handicap». Questa iniziativa, del tutto inedita in Ticino, fiorì dalle caritative dei giovani ciellini, che a Lugano si erano focalizzate sull’Istituto don Orione di Lopagno e sul doposcuola per i bambini della scuola elementare di Bioggio, che accoglieva anche ragazzi provenienti da famiglie disagiate. La parrocchia di Bioggio possedeva una casa di vacanza a Milez (GR) e questa fu la prima sede di una colonia che radunava per tre settimane 70 e più ragazzi, tra portatori di handicap e non, e monitori, anche loro spesso giovanissimi e mossi dall’incontro con il movimento di don Giussani. I costi erano elevati e la Lepori si mise alla ricerca di sussidi statali. Siccome non esisteva nessuna normativa in Ticino, fece ricorso ad una legge federale, che aiutava questo tipo di progetto attribuendo un piccolo stipendio ai monitori. Facendo leva sul valore della gratuità, Mimi Lepori invitava i ragazzi che potevano permetterselo a versare questa somma nella cassa comune, con cui si pagavano l’affitto ed altre spese, diminuendo in questo modo il carico finanziario delle famiglie. Dopo pochi anni la casa di Milez era già divenuta troppo piccola e veniva individuata una migliore sistemazione in un edificio, che precedentemente era stato un seminario, a Schleuis (GR). Corecco seguiva con estrema attenzione questo importante gesto, che coinvolgeva tanta parte anche dei giovani che si avvicinavano all’esperienza di Comunione e Liberazione in Ticino[269], e vi partecipava volentieri, compatibilmente con i suoi impegni scientifici ed accademici.

Altro segno dell’interesse di Corecco per la diocesi di Lugano, sebbene marcato questo dall’insuccesso, fu il tentativo di costituire una borsa di studio al fine di formare una persona, in grado di lavorare con i mezzi audio-visivi. La necessità di un tale professionista era emersa con evidenza in occasione del Sinodo[270].

1.4.  Il rapporto con la politica

Nella prima metà degli anni ’70 andava maturando all’interno del movimento di CL l’affronto del problema politico, che in Italia significava un serrato confronto con la Democrazia Cristiana. Tale era infatti la scelta partitica che la CEI (Conferenza episcopale italiana) raccomandava ai cattolici. Il movimento aveva raggiunto un ragguardevole peso numerico oltre che una notevole capacità di giudizio e di organizzazione, fatti che attiravano l’interesse dei politici più aperti ed intelligenti, ne fa stato l’attenta partecipazione di Aldo Moro al primo convegno degli universitari di CL al Palalido di Milano nel 1973 (Nell’università con un progetto). Nel 1975 da CL nasceva il MUP (Movimento di unità popolare, poi più semplicemente detto MP, Movimento Popolare), una formazione politica che si poneva all’interno della DC, ma con una certa autonomia. I candidati di MP fin dal loro presentarsi sulla scena politica ottennero un lusinghiero successo nelle elezioni amministrative in Lombardia, al pari delle liste cielline nelle elezioni universitarie e scolastiche. Questo riaccese l’interesse per il movimento anche in Ticino, dove ci si chiedeva se la scelta italiana avrebbe comportato l’opzione Partito Popolare Democratico (PPD). Enrico Morresi, membro storico di Dialoghi e giornalista del Corriere del Ticino, proprio allora apriva un’inchiesta sui movimenti giovanili, iniziando da CL. Sul numero del 24 ottobre 1975 del Corriere del Ticino, usciva una lunga intervista a tre responsabili ticinesi – don Ernesto William Volonté, Albino Zgraggen e Pepi Chiesi (1950-2017) – e la settimana seguente lo stesso quotidiano ospitava un articolo di Corecco (Un metodo di vita cristiana)[271], che faceva chiarezza sulla natura del movimento e sui suoi rapporti con la gerarchia cattolica ed il mondo politico, nella fattispecie la DC. «L’intervista ad alcuni membri di CL, pubblicata da questo quotidiano la settimana scorsa, riflette a livello ticinese l’interesse esploso in questi ultimi anni nella stampa e nella pubblicistica italiana per un movimento ecclesiale che – spazzando via l’annosa e spesso malevola accusa di educare i giovani delle famiglie “bene” alla recita dei salmi preservandoli maternamente dal compromettente impatto con la politica – ha sorpreso molti osservatori inserendosi quasi di prepotenza nel dibattito politico della penisola, prima con un deciso ma travagliato “no” al divorzio, poi con grossi risultati nelle elezioni universitarie e scolastiche, ma anche nell’interno delle liste della DC (come a Milano) nelle recenti elezioni amministrative, da ultimo, imponendosi in campo cattolico con una posizione culturalmente nuova sul problema dell’aborto[272]. L’accusa di consumismo religioso è stata sostituita con la denuncia […] di integrismo cattolico. Mentre i politici si sono immediatamente incuriositi sperando di trarne partito, parte dell’episcopato italiano […] ha dovuto accorgersi, non senza meravigliata soddisfazione, di averla [la compagine ciellina] spesso come unica compagna di viaggio nella campagna contro il divorzio e l’aborto, seduta nello scompartimento accanto, ma, secondo le circostanze, anche davanti o in fondo al treno […]». Si chiede Corecco: è forse il caso di riconoscere CL come un movimento di AC? Ma non è questo il punto, «perché CL non è un’associazione, né un istituto secolare e nemmeno un movimento laicale. È un movimento nel senso che mobilita le persone, per cui, chi le incontra, incontra una vita e non qualcosa da fare. […] C’è una sola possibilità di cogliere CL nella sua essenza: quella di capire che essa è prima di tutto un metodo di vita cristiana, cioè un metodo pastorale dal quale può nascere o rinascere qualsiasi realtà ecclesiale, dalla parrocchia al convento […]. Un metodo che coglie i due aspetti fondamentali della pastorale della Chiesa: la profezia e il perdono. […] Dall’esperienza di CL è nato un linguaggio, fenomeno che nella Chiesa non si verificava più da molto tempo. […] Questo fenomeno deriva dal fatto che queste categorie [comunione, sacramento, comunità, Chiesa, preghiera, verginità, povertà obbedienza, ecc.] sono ripronunciate e capite non solo nel loro significato morale, ma con tutta la loro valenza culturale. Infatti la fede, proprio perché offre un’alternativa globale di vita, non postula semplicemente una vita morale all’interno dei sistemi socio-politici creati dalle ideologie mondane (capitalismo, marxismo) ma ha in se stessa la propria dimensione politica, cioè la capacità – attraverso la mediazione dell’analisi – di creare rapporti nuovi che, nella misura in cui riescono ad investire tutti i settori della vita umana, diventano cultura. […] La necessaria scaltrezza teologica per sapere rispettare i limiti imprevalicabili nel porre il problema del rapporto tra ragione e fede, tra natura e sopra-natura, non è certo prerogativa dei cattolici del dissenso, o di altri (e tanto meno dei “cattolici per il socialismo”), che sventolano lo spauracchio dell’integrismo, spesso come paravento di una insanabile aridità ecclesiale, dimenticando oltretutto che, come ebbe a dire un noto teologo italiano, l’integrismo è la tipica “paura borghese”. […] All’interno di una profonda esperienza di unità ecclesiale CL sta riscoprendo la possibilità di una unità nuova anche tra fede e politica, che non spacchi più il cristiano in due soggetti diversi: quello ecclesiale e quello politico. Il presupposto è saper accettare che la fede diventi elemento costitutivo della propria identità di uomo-cristiano e non semplicemente dimensione surrettizia che, a rigore, non permette né di solidarizzare totalmente con la Chiesa casta meretrix né di assumere in una condivisione tutto l’uomo, che ha un bisogno profondo di sapere, ma soprattutto di credere».

Il tema dell’impegno politico si poneva evidentemente anche per i ciellini ticinesi in quegli anni impegnati nelle campagne contro l’aborto, al fianco di altre associazioni e gruppi, ed avevano avuto modo di incontrare e collaborare con alcuni uomini politici del PPD, segnatamente Camillo Jelmini (1925-1997)[273], consigliere nazionale (dal 1971) che sarebbe diventato presidente dell’OCST e consigliere agli Stati. Stimolati dall’esempio italiano, i giovani adulti ticinesi, nella primavera del 1975, si erano impegnati a preparare un’approfondita analisi della situazione del cantone, dal punto di vista dell’economia, della politica del territorio, sociale, sanitaria e scolastica, cercando di individuare quali erano le forze politiche e le linee di intervento che sarebbe stato opportuno sostenere[274]. Era ai loro occhi evidente che le tradizionali contrapposizioni, ereditate dall’Ottocento, tra partito liberale e partito cattolico non avevano più alcuna pregnanza, mentre nell’area della sinistra era emersa la novità di un nuovo partito (il Partito Socialista Autonomo, PSA), che si muoveva con la libertà di chi non deve fare i conti con i vincoli della corresponsabilità e delle alleanze che gravavano invece sui partiti al potere ed aveva buon gioco nel denunciare le politiche clientelari, soprattutto dei «partiti borghesi». La scelta di un partito da sostenere nell’ambito del movimento, oppure quella di lasciare totale libertà in questo campo, o ancora la decisione di costituire una formazione politica propria erano tutte ipotesi verificabili, delle quali era però difficile anche parlare, tanto per la diversità delle posizioni quanto per la passione, piuttosto viscerale, che il tema suscitava. Né allora né in seguito, si giunse mai ad una decisione vincolante, tanto che di fatto i membri del movimento che lo vollero si impegnarono nel partito che sentivano più favorevole, ma Corecco accusava il peso delle divergenze politiche, tanto più che personalmente si sentiva totalmente libero da preferenze, memore di quanto aveva fatto per svincolare da ogni cappello politico il frutto della predicazione di don Giussani e ben vedendo, in Italia, quali pesi ponesse sulle persone la necessità di sostenere il partito indicato dalla CEI[275].

1.5.  Vivere con gli studenti, la formazione dei seminaristi: la casa di Gambach

Sotto l’egida di mons. Martinoli, che protesse sempre con benevolenza le sue iniziative[276], Corecco decise di andare a vivere con gli studenti e di occuparsi della formazione dei giovani ciellini che si preparavano al sacerdozio.

Questa scelta, inusuale da parte di un professore alle prese con un’impegnativa carriera scientifica, nasceva da lontano e si precisava nella sempre più chiara consapevolezza dell’utilità della proposta di Comunione e Liberazione per tutta la Chiesa ed in particolare per la sua diocesi di Lugano. Il vescovo Martinoli concordava con lui, sebbene questo giudizio non fosse condiviso da tutto il clero[277]. Corecco sentiva anche l’esigenza di dare stabilità a Friburgo alla pastorale degli studenti ticinesi, e riteneva che a questo scopo occorresse una casa[278], luogo nel quale si potevano formare anche dei seminaristi. Da sempre Corecco era preoccupato per la scarsità e la fragilità delle vocazioni sacerdotali: ne fanno stato i suoi interventi degli anni ’60 come professore al seminario di Lugano. Da assistente di Lepontia aveva esposto con insistenza a mons. Jelmini la convinzione che le vocazioni al sacerdozio sarebbero fiorite, quando la fede avrebbe di nuovo interessato la vita dei giovani, cessando di essere ridotta a pratica cultuale, a comportamento morale o ad appartenenza formale. Il passare del tempo gliene dava conferma: le vocazioni nascevano soprattutto nei nuovi movimenti ecclesiali, che proponevano una viva esperienza di fede. A suo tempo aveva fortemente caldeggiato il trasferimento del Seminario maggiore a Friburgo, dove i chierici, frequentando la facoltà di teologia, avrebbero evitato quel rischio di ristrettezza d’ambiente, di cui lui stesso aveva molto sofferto. Ora però i limiti di questa soluzione erano manifesti. I chierici ticinesi trasferiti a Friburgo dal 1969 vivevano al Salesianum, sotto la direzione di don Sandro Vitalini, dove formavano una piccola comunità piuttosto isolata, che faticava ad integrarsi sia nell’ambiente universitario, sia con gli altri chierici. La lontananza dalla diocesi, oltre a rendere difficile al vescovo conoscere i suoi seminaristi e per questi acquisire una maggiore familiarità con lui, impediva che si dedicassero a quelle attività pastorali, ritenute utili per la verifica della loro vocazione. Non tutte le difficoltà erano frutto delle circostanze, l’impronta educativa faceva la sua parte. Don Vitalini era persuaso che, perché ci fosse unità tra i seminaristi, fosse necessario separarli dagli altri e coltivava una grossa diffidenza nei confronti dei movimenti, convinzioni queste che lo portavano a non favorire spontanei rapporti con gli studenti ticinesi dichiaratamente cattolici[279]. La piccolezza della comunità, la fragilità di alcuni membri, l’estrema ristrettezza dell’ambiente traspare dalle relazioni del responsabile e dalle lettere che i seminaristi scrivevano al vescovo, in ossequio alle disposizioni del loro superiore[280]. Ad Eugenio Corecco non sfuggivano le difficoltà di una situazione per la quale alcuni giovani, soprattutto quelli intellettualmente più esigenti, se ne andavano, prima o dopo l’ordinazione sacerdotale. Sono abbastanza lontani gli anni in cui, partendo per Monaco e dimettendosi dalla sua carica di assistente di Lepontia, aveva pensato che il prete responsabile della comunità dei seminaristi avrebbe potuto assumere anche il compito di assistente generale degli studenti, instaurando una proficua collaborazione. La proposta di don Giussani infatti non solo non era gradita a tutti, ma neppure apprezzata per i frutti che produceva, tanto in termini di vocazioni alla vita consacrata quanto in fatto di presenza con una chiara identità di fede nella scuola e nella società. Non era però questo un problema che si poneva solamente a Friburgo, al contrario era piuttosto diffuso, come la tendenza a preservare in tutti i modi le scarse vocazioni, anche quelle che apparivano meno promettenti. Corecco invece riteneva che in nessun caso i giovani dovessero essere esentati da un serio e libero lavoro di verifica. Nel frattempo tre studenti di CL, che si orientavano al sacerdozio, si erano riuniti nello stesso appartamento della comunità. Nel 1975 Corecco offriva questa convivenza anche a due giovani spagnoli, che verificavano la medesima vocazione[281], e, l’anno seguente, avendo deciso di andare a vivere con loro, prendeva in affitto un appartamento e le mansarde di una bella villa in stile liberty in rue de Gambach 19[282]. Lo stesso anno scriveva a mons. Martinoli chiedendo di formulare per iscritto l’approvazione, già espressa a voce, per questa iniziativa in modo da non compromettere o ritardare l’iter di preparazione all’ordinazione sacerdotale dei tre giovani ticinesi. Martinoli gli rispondeva a stretto giro di posta, confermando il suo personale consenso, ma avvertendo che in nessun modo egli si poteva impegnare per altri[283]. Egli appoggiò sempre l’iniziativa di Corecco, che giudicava utile a tutta la diocesi, sostenendo i suoi sforzi di trovare una sistemazione migliore[284] e «l’esperimento» continuò indisturbato, malgrado persistenti difficoltà di rapporto con la Comunità teologica del Salesianum e con il suo responsabile[285], fino alla fine dell’episcopato di mons. Martinoli (1978). Solo nel 1979, Corecco sarebbe stato chiamato a riferirne a chi si occupava della formazione dei seminaristi. Lasciare le comodità del Salesianum era stata per lui una decisione grave, perché comportava la rinuncia alla tranquillità e la compromissione del suo personale spazio lavorativo, ma gli stava a cuore il cammino dei giovani chiamati al sacerdozio e desiderava che anche la diocesi fosse pienamente partecipe di questa esperienza, e, nel caso si fosse rivelata meritevole, che la accogliesse come sua. Facendo in pratica richiesta di assumere la preparazione al sacerdozio di tre studenti, egli si giocava il credito che anni di studio e di costante disponibilità ai bisogni della Chiesa luganese e svizzera gli avevano permesso di acquisire[286]. La convinzione che questa modalità di educazione potesse essere proposta a chiunque traspare da come vennero accolti i due giovani spagnoli. Corecco aveva intensi contatti scientifici con la Spagna ed una solidissima amicizia lo legava a mons. Rouco Varela, che gli aveva espresso, in un incontro a Salamanca, la sua preoccupazione per lo stato del seminario e per un suo nipote, che l’avrebbe frequentato perché intendeva farsi prete. «Mandalo da me», gli disse Corecco. Alfonso Carrasco Rouco, oggi vescovo di Lugo, accompagnato da un compagno giunse infatti a Zurigo e Corecco li andò a ricevere di persona. I due non sapevano nulla di Comunione e Liberazione e non furono di certo costretti a prendervi parte, ma la calda accoglienza, l’impegno serio nella comprensione delle cose ed il clima di libertà che si respirava nell’appartamento prima e nella casa di Gambach poi, li provocarono profondamente, suscitando domande che furono l’inizio di un autentico lavoro di verifica della vocazione. Alfonso Carrasco Rouco racconta che era convinto di non voler restare; incontrerà invece un’esperienza affascinante per cui rimarrà a Friburgo per tutta la durata degli studi, fino alla conclusione del dottorato, svolto sotto la direzione di Eugenio Corecco[287]. Dopo di lui altri giovani sarebbero venuti dalla Spagna per formarsi in questa compagnia. Nella «casa di Gambach», che divenne il modello degli appartamenti della comunità ciellina sparsi nella città nonché il punto di riferimento per le prime giovani famiglie del movimento che si erano stabilite a Friburgo, si seguiva una regola semplice ed essenziale, imperniata sulla recita delle Ore (Lodi e Vesperi), sulla S. Messa quotidiana (presto celebrata nella cappella dell’università, in quegli anni praticamente abbandonata) e sul silenzio. I lavori domestici, inclusa la cucina, erano svolti a turno e funzionava una cassa comune. Molto importante era il momento del pasto comunitario, durante il quale vigeva la regola dell’ascolto reciproco. Alla grande tavola di Gambach, posto un argomento, si parlava di quello e tutti ascoltavano o partecipavano alla discussione generale, senza disperdere l’attenzione in dialoghi con il proprio vicino. Il pranzo diventava allora un momento di grande educazione ed un luogo di ospitalità. Ognuno poteva invitare chiunque, nel rispetto minimale di un ordine. Gli ospiti erano numerosi; si trattava di studenti, di amici, ma anche di colleghi di Corecco, professori dell’università, teologi e canonisti con cui era in rapporto. Per tutti era l’occasione di condividere un momento di questa vita caratterizzata soprattutto dalla libertà e dalla letizia[288].

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[144] Per un saggio sul Sinodo 72 nella diocesi di Lugano, che mette in particolare rilievo la difficoltà incontrata proprio nel coinvolgimento del laicato, cfr. L. Brunoni, Il Sinodo 72 nella diocesi di Lugano , lavoro di licenza presentato all’Università di Friburgo, ottobre 2001 (d’ora in poi: Brunoni, Il Sinodo 72 ); e Id., SINODO 72: la Diocesi si interroga , in Risveglio numero speciale (settembre 2002) 9-30 (d’ora in poi Brunoni, SINODO 72 ); in particolare per le finalità, cfr. Brunoni, SINODO 72 , 11s.

[145] Per le diverse attese ed i timori nell’ambiente della Chiesa ticinese, cfr. Brunoni,

[146] Sinodo 72, 3640.146 Brunoni, SINODO 72, 10: per le procedure previste.

[147] Brunoni, Il Sinodo 72, 40s.

[148] Il ruolo di queste persone nella redazione dei documenti fu talvolta notevole, cfr. Brunoni, Il Sinodo 72 , 42, n. 130: a don Willy Volonté si deve la stesura definitiva del doc. 8, Alberto Lepori scrisse il doc. 9 e don Oliviero Bernasconi il doc. 11, mentre padre Callisto Caldelari ebbe un peso notevole nella redazione del doc. 6; nessuno di loro era membro del sinodo.

[149] Per le modalità di elezione a livello svizzero e ticinese e per la procedura, cfr. Brunoni, Il Sinodo 72 , 40s.

[150] Per questa consultazione messa in atto dai vescovi tramite una lettera inviata ad ogni sacerdote, una pubblica esortazione a tutti i fedeli e per finire una lettera personale inviata ad ogni persona o famiglia e per le valutazioni sull’efficacia della mobilitazione, cfr. Brunoni, SINODO 72 , 13s.

[151] COSPE 1: La fede ed il suo annuncio nel mondo di oggi; COSPE 2: La pre ghiera, la Messa i sacramenti nella vita della comunità; COSPE 3: L’organizzazione della pastorale in Svizzera; COSPE 4: Significato della Chiesa per l’uomo di oggi; COSPE 5: Realizzazioni concrete della nostra vocazione ecumenica; COSPE 6: Matrimonio e famiglia nella nostra evoluzione sociale attuale; COSPE 7: Responsabilità del cristiano nel mondo del lavoro e dell’economia; COSPE 8: I compiti sociali della Chiesa in Sviz zera ; COSPE 9: La Chiesa e le comunità temporali; COSPE 10: La corresponsabilità dei

[152] nei confronti delle missioni, del terzo mondo e della pace; COSPE 11: Cultura e tempo libero; COSPE 12: Informazione e formazione dell’opinione pubblica nella Chiesa e nella società.152 Per i membri del Sinodo, la composizione e le denominazioni di queste commissioni, cfr. Diocesi di Lugano, Sinodo 72 , Massagno 1976, 339-349.

[153] Cfr. Brunoni, SINODO 72 , 19: il documento presinodale della COSPE 6 fu pubblicato sul Monitore ecclesiastico (1971) 544ss.; la polemica divenne pubblica con uno scritto di Romano Amerio sul Giornale del Popolo del 19 gennaio 1972, 3, dal titolo Uno strano documento presinodale . Prese avvio una petizione per invitare il vescovo a dichiarare nullo il documento in questione, che fu sottoscritta da 52 preti e 52 laici.

[154] HS VI/1, 269s.: Giuseppe Martinoli (1903-1994): consacrato vescovo nel 1968, primo vescovo titolare di Lugano dal 1971, in carica fino al 1978.

[155] Così Brunoni, Il Sinodo 72 , 45-47: con riferimento anche al decreto del 31 gennaio 1973, con il quale scioglieva il Consiglio Pastorale diocesano ed il Consiglio del Clero, apparentemente per far confluire tutte le forze nel Sinodo, chiamato a sostituire questi due organismi per tutta la sua durata; ibid. , 32: Brunoni ricorda che il Consiglio Pastorale costituito l’8 marzo 1969, contava 48 membri, di cui 28 erano laici; di questi 22 erano stati designati dal vescovo, 12 erano stati nominati da varie commissioni, 4 erano membri di diritto e solo 10 erano stati eletti; ibid. , 39s.: riferisce le caustiche osservazioni di Dialoghi su questo modo di procedere.

[156] Brunoni, SINODO 72 , 19.

[157] Brunoni, Il Sinodo 72, 42; ibid. , n. 133: anche la rivista Dialoghi, pur criticando la mancanza di democraticità, rilevava il grande passo avanti rispetto al modo con cui era stato nominato a suo tempo il Consiglio Pastorale.

[158] Cfr. Diocesi di Lugano, Sinodo 72 , 342.

[159] AVescLugano , Fondo Sinodo 72, Scat. 3: lettera di Martinoli a Corecco del 4 settembre 1969, con la quale lo informa del progetto di un Sinodo a livello di Chiesa svizzera, indetto per il 1972, e lo invita a prestare la sua opera; Diocesi di Lugano, Sinodo 72 , 342: Eugenio Corecco è uno dei 20 delegati ticinesi al sinodo svizzero.

[160] Diocesi di Lugano, Sinodo 72 , 348: partecipa alla CPI insieme a Pio Caroni e a don Pio Jörg; ibid. : alla commissione degli statuti con don Giuseppe Bonanomi; AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 1: 10 settembre 1970: Corecco espone le sue rifles sioni sul compito della COSTA; ibid. : 17 gennaio 1971: la COSTA ha portato a termine il suo compito; Brunoni, Il Sinodo ’72 , 29: precisa che Corecco partecipò al CPI, alla com missione degli statuti ed alla commissione su «Significato della Chiesa per l’uomo d’oggi», mentre mons. Bonanomi partecipò alla commissione finanziaria.

[161] Diocesi di Lugano, Sinodo 72, 350: 23 settembre 1972, seduta costitutiva a Luga -

[162] I sessione: dal 23 al 26 novembre 1972; II sessione: dal 31 maggio al 3 giugno 1973; III sessione: dal 15 al 18 novembre 1973; I sessione straordinaria: dal 26 al 27 gennaio 1974; II sessione straordinaria: 20 aprile 1974; IV sessione: dal 23 al 26 maggio 1974; V sessione: dal 14 al 17 novembre 1974; III sessione straordinaria: dal 25 al 26 gennaio 1975; VI ses sione: dall’8 all’11 maggio 1975; IV sessione straordinaria: dall’11 al 12 ottobre 1975; VII e ultima sessione: dal 27 al 30 novembre 1975; per i temi trattati nelle sessioni, cfr. Brunoni, Il Sinodo 72 , 48-50.162 Ibid. , 40.

[163] Significativi in questo senso alcuni accenni in un articolo del 1969: E. Corecco , Note sulla Chiesa particolare e sulla struttura della diocesi di Lugano , in Civitas 8-9/10/XXIV (1969) 616-635, e 730-743 .

[164] AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 1: 31 ottobre 1971, sottolinea la necessità di informare senza spegnere l’interesse, torna sulla necessità di animare la base e suggerisce di coinvolgere i laici che già seguono dei corsi, costituendo dei gruppi di studio che lavorino secondo il metodo del seminario, perché è necessario formare delle persone in grado di dirigere gli incontri nelle varie regioni e vicariati; 1° aprile 1971, Corecco constata che la preparazione del Sinodo non interessa; 13 giugno 1971, denuncia l’apatia soprattutto del clero ed invita a fare una pubblica dichiarazione con sollecitazione a collaborare. La proposta è però giudicata prematura; 21 giugno 1971, di nuovo Corecco esprime la sua preoccupazione per la mancanza di animatori.

[165] AVescLugano , Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco : 3 maggio 1971, lettera a mons. Martinoli, nella quale Corecco esprime la sua pressante preoccupazione per i gravi ritardi nella preparazione del Sinodo nella diocesi di Lugano, il diffuso disinteresse e le dimissioni di don Oliviero. Ricorda che già a gennaio don Oliviero aveva comunicato alla commissione preparatoria, da lui presieduta, preoccupazioni di salute per l’eccessivo carico di lavoro e l’intenzione di dimissionare da tutti gli impegni extra-parrocchiali ad eccezione del Sinodo. Ora invece ha dimissionato anche da questo compito. Corecco invita il vescovo a fare autorevoli pressioni perché le dimissioni vengano ritirate, in caso contrario sollecita la rapida nomina di un successore e suggerisce dei nomi; cfr. anche AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc.1: 6 novembre 1971, don Oliviero Bernasconi ha dimissionato, sarà sostituito da don Pio Jörg.; ibid. : 28 gennaio 1971, mons. Martinoli rende pubbliche le ragioni delle dimissioni di don Oliviero Bernasconi.

[166] AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 1: 28 gennaio 1971, si mette a verbale che don Bernasconi si è dimesso perché non condivide il modo con cui è diretta la diocesi ed emergono polemiche tra Enrico Morresi, redattore del Corriere del Ticino e membro del gruppo Dialoghi, e mons. Alfredo Leber, direttore del Giornale del Popolo, che è accusato di essere ostile al Sinodo.

[167] E. Corecco , Parlamento ecclesiale o diaconia sinodale? , in Communio 1/I (1972) 3244; in questi anni Corecco tornerà più volte sul tema, cfr. E. Corecco , Struttura sinodale o democratica della Chiesa particolare? , in Miscelánea en honor de Juan Becerril y Antón Miralles II , dir. H. Santiago Otero, Madrid 1974, 269-299; Id., Church parliament or service , in Theolo gy Digest 22 (1974) 136-142; Id., Partecipazione e democrazia nella Chiesa , in Servizio Migranti 14 (1978) 57-67, e in Orientamenti pastorali 26 (1978) 15-26; mons. Scola ricorda che questo saggio fu anche frutto delle appassionate discussioni durante alcuni giorni di ritiro che lui stesso trascorse con Corecco sul lago di Costanza, così nell’intervista a Natha lie Frieden (Milano, febbraio 2015).

[168] Corecco , Parlamento ecclesiale o diaconia sinodale? , 32s.

[169] Ibid.

[170] Brunoni, Il Sinodo 72 , 44; cfr. anche alcuni interventi sul quotidiano della curia che attestano un’attenzione costante: l’articolato contributo sul Giornale del Popolo, 26 maggio 1973, 13s.: redattori: Maurizio Balestra, Claudio Mésoniat , Pietro Ortelli, Flavio Schira , Albino Zgraggen ; E. Corecco , La dinamica del segno ; C. Mésoniat , Il complesso della democrazia ; P. Ortelli, I laici al Sinodo ; e Giornale del Popolo, 28 giugno 1973, 13s.: gli stessi con la precisazione: redattori di «Comunione e Liberazione»; C. Mésoniat , Note sui lavori della II sessione ; M. Balestra, Missione: metodo di incontro con la realtà ; P. Ortelli, Un’esperienza di missionarietà (anche in Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 6).

[171] Brunoni, Il Sinodo 72 , 95.

[172] Synode 72, SAKO: Die Kirche im Verständnis des Menschen von heute , Esquisse pour un document sur l’ Eglise , in AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 66: il doc. era stato presentato il 15 gennaio 1971, in francese.

[173] Diocesi di Lugano, Sinodo 72 , 346; AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 149:

[174] 9, Verbali: costituita il 16 febbraio 1973, si riunì 7 volte.174 AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 66: 23 novembre 1972, I sessione a Bellinzona, COSPE 1. FEDE: I suggerimenti di Corecco furono in parte accolti nel documento finale, cfr. Diocesi di Lugano, Sinodo 1972 , 31-40: Credere oggi; per altre osservazioni sulla genesi e sul dibattito a proposito di questo documento, cfr. Brunoni, Il Sinodo 72 , 53s. Per l’intervento integrale, cfr. Appendice 1.

[175] Ibid ., 56.

[176] Cfr. sopra, n. 172.

[177] Brunoni, Il Sinodo 72 , 96s.

[178] AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 149, Verbali COSPE 9: seduta del 16 otto-

[179] 1974.179 Ibid. : soprattutto gli interventi di mons. Luigi Del-Pietro, cfr. seduta del 12 maggio 1974; per l’autonomia del Ticino, cfr. anche la seduta del 6 ottobre 1974.

[180] AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 131: Documentazione per la COSPE 9: i verbali della discussione in seno al Consiglio del Clero del 21 ottobre 1970: Corecco era presente in qualità di esperto. La votazione si tenne nel 1975 e la revisione fu approvata.

[181] AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 149: Verbali COSPE 9: seduta del 12 mag gio 1974 e seduta del 22 settembre 1974; Corecco tornerà anche più tardi su questo tema, cfr. E. Corecco , Dimettersi dalla Chiesa per ragioni fiscali , in Apollinaris 55/LIII (1982) 461-502.

[182] AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 16: Verbali e documentazione della II ses sione, Bellinzona 31 maggio-3 giugno 1973.

[183] Ibid. , fasc. 34, Verbali e documentazione della IV sessione, Bellinzona 23-26 mag gio 1974.

[184] Cfr. l’intervento di Corecco , equilibrato, con una forte sensibilità pacifista e soprat tutto fondato sul magistero di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II, in AVescLuga no, Fondo Sinodo 72, fasc. 34, Verbali e documenti della IV sessione, 23-26 maggio 1974; per questo dibattito, assai sentito, cfr. anche Popolo e Libertà 92, 22 aprile 1974, 1 e 8: Davanti al Sinodo i tormentati interrogativi della difesa armata , di R. Petraglio ; e in Giornale del Popolo, 22 aprile 1974, 19: la cronaca di R. Locatelli sulle divergenti posizioni dei cattolici ed il deplorevole assenteismo che ha impedito di votare sul documento.

[185] AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 31: cfr. a questo proposito anche l’inter vento di suor Dolores Bozzetti alla Sessione straordinaria del Sinodo del 20 aprile 1974, in difesa dell’opera svolta dalle mille e più suore in missione nei paesi del Terzo Mondo, mentre il documento del Sinodo sembra tener conto solo dei lati negativi dell’azione dei missionari.

[186] Cfr. Dialoghi 32/VII (giugno 1974) 1-3: Dopo i referendum .

[187] AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 31.

[188] Comunità familiare è un’associazione senza scopo di lucro, apartitica, apolitica e aconfessionale operativa dal 1971 nel territorio della Svizzera italiana, soprattutto nel cam po dell’aiuto ai minori.

[189] Enrico Silvio Adolfo Caldelari (1934-2014), cappuccino, prende il nome di Callisto, con cui è conosciuto in tutto il Ticino, nel 1958 quando viene ordinato prete. Tre anni dopo, nel ’61, pubblica il suo primo lavoro di storiografia, cominciando a collaborare con la rivista Archivio storico ticinese. Dal 1964 al 1970 è superiore provinciale dei frati Cappuccini ticinesi. L’anno dopo fonda l’associazione «Comunità familiare». Sempre negli anni ’70 padre Callisto s’impegna nella creazione della Biblioteca Salita dei Frati a Lugano. Nel 1983 diventa parroco della Comunità Sacro Cuore di Bellinzona; nel ’91, sempre nella città turrita, fonda il Centro Spazio Aperto. Nel 2005, fonda l’Istituto Bibliografico ticinese. Tra le sue innumerevoli attività, da notare pure il ruolo come consigliere d’amministrazione e consigliere spirituale, rivestito nell’AC di Bellinzona.

[190] Firmata, oltre che da lui, da Fiorenzo De Taddeo, Edgardo Petrini, Giorgio Zappa, Giuseppe Rossetti, D. Giovanni Maria Colombo, Fernando Lepori, Mario Colombo e Piergiorgio Mordasini .

[191] AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 31: Sessione straordinaria del 20 aprile 1974; il malcontento a proposito del Giornale del Popolo covava da tempo, cfr. ibid. , fasc. 72, Verbale della V sessione, 14-17 novembre 1974, 46-59: l’acceso dibattito in cui si ricorda anche la presa di posizione contro la linea del giornale di 64 preti del 17 maggio 1971; e fasc. 73: la dichiarazione del corpo redazionale dopo le accuse.

[192] ACorecco Lugano, Scat. 10 Affari del clero: lettera del 15 maggio 1974.

[193] Dialoghi 32/V (giugno 1974) 3-5: Echi dalla sessione sinodale del 23-26 maggio,

[194] del Popolo e pluralismo».194 AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 72: 16 novembre 1974, 78s.: «Io voglio mandare da questa sede a nome mio personale, senza coinvolgere altri e quindi senza domandare il pensiero di nessuno, un saluto agli abbonati al giornale, al corpo redazionale e specialmente al Direttore, con il ringraziamento sincero per tutto quanto ha fatto dal primo numero del giornale fino ad oggi. Signori, non si cancella in dieci minuti di fredda arringa e di rigida censura una vita donata alla chiesa ticinese, al bene della comunità ecclesiale nostra, come poche».

[195] Ibid. ; Dialoghi 34/VII (dicembre 1974) 10-15: in Il dibattito sull’informazione al Sinodo pubblicava, dopo un’ampia riflessione di Enrico Morresi, gli interventi al Sinodo di Fernando Lepori e di Giorgio Zappa, che erano stati all’origine della accorata reazione del vescovo.

[196] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: 18 luglio 1979, Corecco , don Libero Gerosa, don Gianni Danzi, don Ernesto William Volonté, Claudio Mésoniat , Flavio Schira ed Albino Zgraggen indirizzano al vescovo Ernesto Togni il loro parere sul giornale e sul suo direttore, che a loro giudizio sembrava comportarsi come un proprietario.

[197] AVescLugano , Fondo Sinodo 72, fasc. 120, 40s.: 12 ottobre 1975, in sede di discus sione del documento «La Chiesa svizzera e le comunicazioni sociali», Corecco interviene perché, a proposito del Giornale del Popolo, al vescovo venga riconosciuto un ruolo ben superiore a quello di semplice membro del Consiglio di Fondazione: «io personalmente mi sottometto solo alla decisione del vescovo, non a quella di una commissione».

[198] AVescLugano , Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco : 13 maggio 1975.

[199] Monitore ecclesiastico (1994) 721-724, 722: omelia di S. E. mons. Eugenio Corec co per la S. Messa di esequie.

[200] AVescLugano , Fondo Vescovi, Martinoli, Scat. 4, Diario 1973-1979: 24 gennaio 1976, Martinoli annota che Corecco parlerà sulle relazioni tra Chiesa e Stato in Svizzera lunedì 13 marzo, dopo Luigi Prosdocimi il cui intervento è programmato per il lunedì precedente.

[201] Ibid. : 21 dicembre 1976: celebra la S. Messa per i giovani di CL, amministrando la cresima ad una ragazza (Monica Umiker ); 25 marzo 1978: amministra il battesimo a Francesco Mésoniat (sic!) in realtà Tanzi.

[202] Di particolare importanza una riflessione di don Danzi sulla necessità di cambiare lo stile dell’ora di religione, sempre meno frequentata, cfr. Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore 3: 11 giugno 1971, copia per conoscenza a Corecco della relazione al vescovo Martinoli dopo il primo anno di insegnamento a tempo pieno: in sintesi, don Gianni rileva che la lezione non può essere dedicata ad insegnare i contenuti di una fede

[203] non c’è più, ma bisogna ripartire dalle domande sul senso della vita che i giovani hanno sempre – il senso religioso –, ritiene vano il tentativo di proporre solo un lavoro intellet tuale , mentre è fecondo il metodo di far nascere una comunità; da ultimo tutto questo non significa che nell’ora di religione si parla di qualunque cosa vogliano gli studenti, perché si tratta di un percorso preciso e guidato.203 Si vedano a questo proposito sia l’atteggiamento costantemente critico della rivista Dialoghi sia l’indirizzo assunto dal Messaggero serafico, periodico dei Cappuccini, che divenne quasi un organo del dissenso, cfr. AVescLugano , Fondo Vescovi, Martinoli Scat. 4, Diario 1973-1979: la prima annotazione che registra la difficoltà con i Cappuccini responsabili del periodico è dell’11 marzo 1975; la questione torna di nuovo in una nota del 16 maggio 1975, mentre il 22 settembre 1975 registra che alcuni giovani marxisti hanno occupato la chiesa dell’Immacolata per protestare contro la pena di morte in Spagna; l’occupazione , guidata da padre Callisto Caldelari , terminava il giorno seguente alle ore 16.

[204] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 6: un bilancio dell’ espe rienza di questa comunità dopo una vacanza a St. Moritz, estate 1974.

[205] AVescLugano , SC 162: Gianni Danzi (1940-2007), prete nel 1966, dopo un anno come vicario di Stabio (1967) dove inizia a diffondere il movimento di don Giussani, viene inviato a Leontica. Nel 1970 Martinoli lo nomina catechista nelle scuole medie superiori di Bellinzona e nel 1973 diventa parroco di Daro. Lascia la diocesi nel 1982 per diventare responsabile della segreteria internazionale di Comunione e Liberazione a Roma; assume in seguito alte cariche amministrative nella Città del Vaticano; vescovo nel 1996, nel 2005 è nominato arcivescovo di Loreto; cfr. anche https://it. wikipedia.org/ wichi /Gianni Danzi (consultato 10 settembre 2018).

[207] , SC 167: Ernesto William Volonté (  1944), prete nel 1973, inizia già da diacono ad insegnare al Collegio Papio di Ascona; nel 1973 diventa catechista al Liceo di Lugano e nel 1977 direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, appena costituito; giudice del tribunale nel 1986, nel 1991 è confermato membro dell’ufficio per l’insegnamento religioso nelle scuole superiori e nel 1992 è nominato direttore della Casa dello studente, appena costituita. Collabora strettamente con mons. Corecco alla fondazione ed ai primi anni dell’Istituto Accademico poi Facoltà di Teologia. Insegna anche all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, dal 2004 al 2015 sarà rettore del seminario S. Carlo, in seguito rettore del Collegio Pio XII.207 Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 6: bozza degli statuti del Centro culturale.

[208] Sulla sua vita (1930-1991), cfr. M. Ferrini (a cura di), Don Francesco Ricci. Fino agli estremi confini della terra , Castel Bolognese 2011.

[209] Cfr. la documentazione dell’attività di alcune «scuole estive» nella prima metà degli anni ’70, in Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 3.

[210] Così secondo Flavio Schira , Bellinzona, che ha conservato le copie della pubblicazione (colloquio del 14 marzo 2017).

[211] Per questa importante iniziativa che divenne un appuntamento fisso, cfr. Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 3: padre Barthélémy partecipa alla Scuola estiva al San Bernardino dal 2 al 10 settembre 1973; in precedenza un seminario biblico era stato tenuto anche a Cardada (testimonianza di Maurizio Balestra, 10 maggio 2019); e cfr. anche sotto, n. 276: la richiesta di sussidi per questa iniziativa del 1972; Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 7: Seminario Biblico a Pellio d’Intelvi 2-10 ottobre 1975 (anche ibid. , Scat. 3). Ben presto il seminario biblico divenne un’attività regolare anche durante l’anno. Ogni quindici giorni piccoli gruppi di studenti di vari atenei si incontravano, con la guida di un responsabile che frequentava un corso quindicinale con padre Barthélemy a Friburgo. A sua volta il padre visitava a turno i vari gruppi, rinsaldando i legami di amicizia (testimonianza di Rita Monotti , Massagno 28 gennaio 2017. La dottoressa Monotti era allora responsabile di un gruppo all’università di Losanna, dove studiava medicina).

[212] AVescLugano , Fondo Vescovi, Martinoli, Scat. 4: Diario 1973-1979: 1° febbraio 1974, i Gesuiti lasceranno la Casa dello Studente a fine anno scolastico.

[213] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 12: un intervento alla Scuola di Comunità di Milano del 16 marzo 1975 narra l’origine e la natura di questa convivenza, che coinvolge una ventina di persone tra studenti, insegnanti e giovani lavoratori; Corecco ebbe una parte nella conclusione della vendita dello stabile dei Gesuiti ed ottenne che parte del capitale realizzato fosse destinato all’erigenda Fondazione Casa dello Studente (testimonianza di Albino Zgraggen , 9 febbraio 2019).

[214] Per questo lascito cfr. R. Amerio, Generazioni luganesi in un luogo vivente , Lugano 1985, 9, cit. in A. Abaecherli , Attività caritative cattoliche in Ticino nei primi cinquant’anni di vita della diocesi , in AA.VV., Diocesi di Lugano e carità: dalla storia uno sguardo al futuro , Lugano 1993, 59-129, 62 (d’ora in poi: Diocesi di Lugano e carità ); per la partecipazione alle attività a favore della gioventù, v. anche la collaborazione con ASPAC (Associazione sale parroc chiali cinematografiche), in Archivio di CL Lugano, Fondo Albino Zgraggen , Raccoglito re nr. 1; Cartella Cineforum ASPAC (documentazione dal 1976 al 1981).

[215] Si veda l’ampia documentazione della presenza e delle lotte nella scuola in questi anni, sia in Italia che in Ticino, in Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco : per qualche esempio: Classatore nr. 6; anno 1970, un volantino d’invito al ritiro predicato da don Giussani a Claro di un gruppo di studenti della Magistrale di Lugano, che inizia con una citazione di Fidel Castro; Classatore nr. 4: per la presenza al Liceo di Lugano un ampio documento databile al 1973, che presenta l’esperienza di CL ed il suo rapporto con il mo vimento studentesco (anche in Classatore nr. 5); e la documentazione relativa alle proteste del 1974, quando gli studenti ottennero l’abolizione del registro delle assenze; e ancora in Archivio di CL Lugano, Fondo Albino Zgraggen , Raccoglitore nr. 1, cartella Contestazioni studentesche: la rassegna stampa relativa ai vari momenti di contestazione studentesca del 1968, 1971, 1972 e 1974.

[216] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 4 e nr. 5: documento delle due scuole superiori di Bellinzona del novembre 1973 con invito al ritiro a Claro per l’8-9 dicembre 1973.

[217] Archivio CL Lugano, Fondo Corecco , e Fondo Albino Zgraggen , Raccoglitore nr. 1: Cartella nr. 6: relazioni su alcune esperienze di colonia e vacanze dell’estate 1975: campeggio All’Acqua (famiglie e bambini), campo di lavoro della comunità di Ponto Valentino; colonia di Beatrice Tozzi e Mauro Fiscalini , maestri elementari, con loro allievi ed altri bambini.

[218] Cfr. a questo proposito un articolo a firma TPE su Il Dovere del 9 febbraio 1972, che accusava Gaunia di essere in combutta con gli studenti che si rifacevano al movimento studentesco di Mario Capanna; più tardi si sarebbero aggiunte altre e più gravi accuse, cfr.

[219] Grandini su Gazzetta Ticinese, 5 marzo 1974, Gaunia bifronte , che accusa la Gaunia non solo di collaborare alla rivoluzione marxista, almeno apparentemente per non perdere consensi, ma soprattutto di essere e comportarsi come una setta che tende ad assorbire tutto il tempo e l’interesse di giovani ginnasiali, per impedire loro di prendere coscienza della realtà. Questo sarebbe lo scopo dell’intensa attività caritativa (in sé lodevole, ma avente funzione di accreditare tutte le attività del gruppo), della preghiera comunitaria quotidiana, dello studio in comune, dei numerosi ritiri e vacanze; cfr. Archivio di CL Lugano, Fondo Zgraggen , Raccoglitore nr. 2: ritagli di giornale.219 Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 1: il 18 febbraio 1972 a Lugano ed il 5 maggio a Taverne.

[220] Ibid. , Classatore nr. 2: gli appunti di sua mano di innumerevoli incontri, assemblee e raggi nella prima metà degli anni ’70.

[221] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 11: La comunità cristiana come soggetto educativo, Lugano 19 marzo 1975, con interventi di don William Volonté (introduzione), Daniela Noris (famiglia), Laura Mésoniat (Magistrale di Lugano), Maria Grazia Robiolo (l’esperienza della Scuola estiva e dello studio in comune), Flavio Schira (la funzione dell’educatore), Beatrice Tozzi (per la scuola elementare), Silvana Conti Rossini (per la scuola dell’infanzia), Raimonda Lobina (sulla scelta universitaria), Angelo Potenza (sull’esperienza dei giovani lavoratori), di nuovo don Volonté per la sintesi e Jürg Frieden (studente all’università di Friburgo); per le riflessioni nel periodo precedente, cfr. ibid. nr. 3: le sintesi degli incontri del 1972 (16 dicembre) e 1973 (7 febbraio).

[222] Cfr. sopra § 3.2.

[223] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco e Fondo Albino Zgraggen , Raccoglitore nr. 1, Cartella nr. 6: documentazione sul «Canto perseguitato», spettacolo di canti dell’America Latina.

[224] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco : volantino di invito, s. a.

[225] Per l’attività di questo istituto si vedano le pubblicazioni, che spaziavano dalla teologia, alla filosofia, al diritto, all’economia e alla politica; ed i congressi e colloqui internazionali: Quale 1984? La crisi del capitalismo (1975), su Karol Wojtyła (1983); Adrienne von Speyr (1985); John Henry Newman (1991).

[226] Cfr. L. Giussani, Il senso della caritativa , Milano 1961.

[227] Si veda a questo proposito Abaecherli , Attività caritative cattoliche in Ticino nei primi cinquant’anni di vita della diocesi , 59-129: l’opera delle congregazioni religiose maschili e femminili ( ibid. , 76-80); opere e case a favore degli anziani ( ibid. , 83-95); istituti assistenziali per la gioventù ( ibid. , 95-98); ospedali, pensionati istituti speciali ( ibid. , 98-101); laboratori professionali ( ibid ., 101s.); istituzioni laiche con personale religioso ( ibid. , 102-110); cfr. anche i dati riferiti nello Studio per le case anziani 1983-1984 ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[228] A. Gandolla , 50 anni di storia della Caritas Ticino (1942-1992) , in Diocesi di Lugano e carità , 151-192, 165: succeduto a Francesco Masina, primo direttore dal 1942; cfr. anche

[229] Maag, Un libro tutto bianco , in Giornale del Popolo, 21 e 22 novembre 1992, 16: l’in tervista a mons. Corrado Cortella in occasione dei 50 anni della Caritas.229 A. Gandolla , I primi passi durante la guerra per soccorrere i rifugiati ebrei , in Giornale del Popolo, 21 e 22 novembre 1992, 16; e Id., 50 anni di storia della Caritas Ticino , 151-192, 170s.: nel 1959 con l’assunzione di Giovanna Tognola , diplomata alla Scuola Sociale di Lucerna, e poi di altre due dipendenti.

[230] Gandolla , 50 anni di storia della Caritas Ticino , 172.

[231] Ibid ., 171.

[232] Gandolla , I primi passi durante la guerra per soccorrere i rifugiati ebrei , 16: nel 1965, cfr. anche AVescLugano , Fondo Opere caritative, Caritas, vol. 10: Assetto giuridico della Caritas, s. a., ma con a tergo annotazioni manoscritte di mons. E. Corecco .

[233] Verbali della Commissione diocesana per le attività sociali, lettera del 15 ottobre 1971 ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[234] Così Mimi Bonetti Lepori nell’intervista con Antonietta Moretti (Lugano, 15 settembre 2015).

[235] Mimi Lepori aveva da sempre desiderato lavorare nell’ambito delle istituzioni ec clesiastiche ed in questa scelta era confortata dal giudizio di Corecco , a cui era profondamente legata. Corecco aveva seguito con attenzione le trattative con Cortella, che conosceva e stimava profondamente, per l’ingresso nella Caritas di lei giovane assistente sociale e di un altro ciellino, Sandro Salvadè (intervista del 15 settembre 2015); cfr. anche: Chiarimenti contrattuali, datato da Friburgo il 4 dicembre 1975, che menziona oltre alla Lepori e Sandro Salvadè anche Patrizia Solari. I tre si impegnano a mettere le loro competenze a servizio della commissione; Lepori e Salvadè accettano di essere assunti a metà tempo da Caritas, che si assume gli oneri di segreteria della futura commissione (in ACorecco Luga no, Cartella Mimi Bonetti Lepori; cfr. anche doc. del 15 maggio 1976).

[236] Per una rapida sintesi dello sviluppo e dell’evoluzione di Caritas, cfr. Gandolla , 50 anni di storia della Caritas Ticino , 178-180: «Alla ricerca di una nuova identità».

[237] Scopo e funzione della Commissione [diocesana per le attività sociali], doc. datato Friborgo , 4 dicembre 1975 e firmato da Mimi Lepori e Sandro Salvadè (in ACorecco Lugano , Cartella Mimi Bonetti Lepori); e la precisazione del 15 maggio 1976 ( ibid. ).

[238] Così l’ iter di questa iniziativa nella lettera di dimissioni dal Consiglio del Clero, dal Consiglio Pastorale e dalla Commissione del 2 marzo 1983 (in ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[239] Così in Scopo e funzione della Commissione [diocesana per le attività sociali], doc. datato Friborgo , 4 dicembre 1975 e firmato da Mimi Lepori e Sandro Salvadè e precisato in un altro scritto del 15 maggio 1976 (in ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[240] Cfr. Gandolla , 50 anni di storia della Caritas Ticino , 173-175: rileva le preoccu pazioni già avanzate in un rapporto anonimo, datato 14 maggio 1963, sulla «tendenza materialista» e l’assoluta mancanza di principi religiosi nelle direttive impartite dal servizio sociale statale.

[241] Preoccupazione menzionata in Chiarimenti contrattuali, del 4 dicembre 1975 (in ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[242] Testimonianza di Anna Maria Oltolini Astorri, assistente sociale, che all’epoca partecipò in prima persona a quest’opera (Lugano, 17 marzo 2017); significativa la similitudine con cui si svilupperà la caritativa nella Basseville di Friburgo.

[243] Rapporto della Commissione diocesana per le attività sociali, marzo 1978, 2 (in ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[244] Ibid .

[245] Ibid. ; e verbale del 25 settembre 1980.

[246] La cosiddetta iniziativa «dei termini» proponeva di liberalizzare completamente l’aborto entro 12 settimane dall’ultimo ciclo mestruale.

[247] Nel 1977 usciva, sotto la forma di «Quaderni di Comunione e Liberazione», Un’umanità da ricomporre. Note sull’aborto , un opuscolo voluto per chiarire gli aspetti giuridici e morali in gioco nella votazione e la posizione della Chiesa e nel 1981 un altro quaderno, Famiglia e maternità nella società svizzera ; l’impegno rimase costante ed avrebbe coinvolto il Centro pastorale diocesano per la preparazione delle coppie al matrimonio (v. la relazio ne di Simone Banchini del Centro pastorale diocesano che illustra il lavoro svolto nelle parrocchie e l’incidenza nella preparazione delle giovani coppie al matrimonio, allegata al verbale della riunione del 25 settembre 1980: don Bruno Zoppi viene incaricato di rappresentare la commissione nel gruppo responsabile per l’attuazione dei centri di consul tazione , in ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori); esponenti del movimento si impegneranno pubblicamente a favore della vita, stringendo significativi rapporti con

[248] politiche, in particolare del partito popolare democratico che si appellava alla sua matrice culturale cristiana.248 Cfr. verbale delle riunioni del 9 dicembre 1980 e del 2 gennaio 1981: l’incarico dato al signor Robbiani di presentare un testo al Consiglio pastorale sulla situazione legi slativa degli stranieri e sull’iniziativa «Essere solidali» ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori); cfr. anche il quartino Sosteniamo “Essere solidali” , del marzo 1981, a cura di Comunione e Liberazione (in ACorecco Lugano, Scat. CL Anni ’70 e 80).

[249] Gandolla , 50 anni di storia della Caritas Ticino , 182: sottolinea la riuscita collaborazione con le parrocchie; e Verbale della riunione del 25.9.1980: la relazione di Simone Banchini ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[250] ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori, Rapporto della Commissione diocesana per le attività sociali, marzo 1978, 3: la sottolineatura circa l’importanza delle

[251] sociali».251 Per questo vescovo, cfr. HS I/6, 271; nel mese di novembre però l’incontro non era forse ancora avvenuto, cfr. lettera invito di Mimi Lepori a mons. Togni, 28 novembre 1978 ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[252] Maag, Un libro tutto bianco , 16: intervista a mons. Cortella.

[253] Per don Emilio Conrad, cfr. AVescLugano , SC, 150: prete nel 1958, missionario diocesano a Policarpa in Colombia dal 1972, diresse Caritas del 1980 al 1987. Fino al 2002 fu di nuovo in missione in Colombia, a Barranquilla.

[254] Verbale della riunione del 9 dicembre 1980 ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[255] Su esplicita domanda di mons. Togni, cfr. verbale della riunione del 28 maggio 1980 ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[256] Si vedano le osservazioni su di un tema d’attualità come la parità tra uomo e donna, su cui la Commissione lavorò per mandato dei Vescovi, ma soprattutto, dopo i tagli dei sussidi per il settore sociale operati dal governo cantonale, il testo redatto da Caritas e pubblicato nel 1982 Chiesa ticinese e politica sociale, che invitava le autorità politiche a concepire la politica sociale in funzione del bisogno della persona, richiamando tutti ad una maggiore solidarietà; cfr. anche Gandolla , 50 anni di storia della Caritas Ticino , 180.

[257] Emersa a proposito di una nuova destinazione dell’istituto S. Maria di Pollegio , che fu occasione per un interessante studio volto a promuovere lo sviluppo delle valli superiori , e a proposito dell’accurata indagine sulle case anziani. Di S. Maria di Pollegio , ex istituto per i minori tenuto dai Guanelliani, si iniziava a parlare nell’autunno del 1982 con un rapporto di don Bruno Zoppi al Consiglio del Clero, si proseguì con l’esame di diverse ipotesi da parte della Commissione (riunione del 27 maggio 1982). In ottobre, a nome della Commissione, Mimi Lepori presentava un approfondito rapporto sui bisogni sociali delle Trevalli, sullo stato dell’edificio, sulle prospettive suggerite dallo stato della proprietà, facendo l’ipotesi che vi si potesse creare una scuola agricola; la trattanda era ancora all’ordine del giorno della riunione del 7 dicembre 1982, cfr. ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori. La Commissione affrontava la situazione delle case per anziani gestite da religiosi l’anno seguente, nel 1983. Per l’ampio lavoro di indagine necessario, don Bruno Zoppi chiedeva a don Emilio Conrad di permettere alla Lepori di dedicarsi a questo lavoro nella misura del 50% (lettera di don Zoppi a don Conrad del 15 dicembre 1982, in ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori); un accurato progetto di lavoro era allestito nel gennaio seguente e lo studio, che sarebbe stato portato a termine entro il 1984, presentò un preciso quadro delle case appartenenti a congregazioni religiose e del personale religioso a servizio degli anziani sul territorio della diocesi; indicava il numero, la formazione e l’età delle religiose attive in queste opere, e formulava alcune indicazioni, a partire dalle prevedibili prospettive future, cfr. ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori: Presentazione del progetto, 18 gennaio 1983 e Studio per le case anziani 1983-1984.

[258] ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori, rapporto del 28 maggio 1982 sull’attività del 1981: la Commissione aveva lavorato sugli aiuti ai terremotati del Sud Italia su mandato della Caritas Svizzera, aveva fornito al Consiglio Pastorale un documento sull’iniziativa «Essere solidali», incontrato il Gruppo Abele sulla problematica della droga, proseguito il lavoro con la Pastorale familiare per la creazione di centri di accoglienza, ela -

[259] un documento sulla parità tra uomo e donna, di nuovo per il Consiglio Pastorale, ed esaminata la situazione dopo i tagli dei sussidi per il settore sociale, e tuttavia si rilevava appunto la difficoltà di collaborazione con altri organismi e con Caritas.259 Lettera del 2 marzo 1983 ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[260] Lettera del 20 giugno 1983; cfr. anche 21 giugno 1983, la stessa richiesta rilanciata dalla Lepori che si incarica di raccogliere le risposte ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[261] Le ragioni delle dimissioni dal CC e dal CP (ai membri del CP), s. a.; ulteriori addebiti alla posizione del clero ed alla conduzione della diocesi erano espressi nell’Appendice alle ragioni di dimissione dal CC e dal CP (Zoppi B.), s. a., in ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori; da notare che una situazione di generale disagio emerge anche dalle considerazioni scaturite dal convegno «Vangelo e Società», voluto da mons. Ernesto Togni nel maggio 1983.

[262] Cfr. le risposte di suor Alda Biaggi dell’Istituto S. Angelo di Loverciano (27 giugno 1983); di Mainrado Robbiani dell’OCST (24 giugno 1983); di Giuseppe Pescia (24 luglio 1983), che invocava un più chiaro mandato, maggiore disponibilità e maggiore compe tenza da parte dei membri, mentre suor Celsa Fattorini (Locarno, 27 giugno 1983) sottolineava soprattutto la necessità di un maggior spirito di servizio e di una maggiore carità in particolare nel valutare l’attività dei religiosi; i risultati dell’indagine furono riassunti dalla Lepori in una lettera al cancelliere vescovile mons. Giuseppe Bonanomi datata 6 settembre 1983, cfr. ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori.

[263] Nomina della Commissione diocesana per le attività sociali, 7 novembre 1983: Biaggi suor Alda, Bonetti Lepori Mimi, Conrad don Emilio, Ferrando don Dino, Giovan-

[264] mons. Arnoldo, Maranesi Olga, Oleggini Matteo, Pescia Giuseppe, Pravettoni don Giancarlo ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).264 Verbale della riunione del 17 novembre 1983 ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[265] Cfr. lettere del 30 maggio e del 6 giugno 1984, rispettivamente di Mimi Bonetti Lepori e di Giuseppe Pescia ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[266] Cfr. verbali dell’11 settembre 1984 e del 30 ottobre 1984 ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[267] Cfr. lettera di Alberto Lepori del 26 giugno 1984 ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori); e cfr. anche Gandolla , 50 anni di storia della Caritas Ticino , 180-183.

[268] Cfr. ordini del giorno e verbali delle riunioni dell’11 settembre 1984 ed ancora del 7 febbraio 1985 ( ACorecco Lugano, Cartella Mimi Bonetti Lepori).

[269] Archivio di CL Lugano, Fondo Albino Zgraggen , Raccoglitore nr. 2, Cartella nr. 7: le riflessioni sulle colonie di Schleuis 1974 e 1975.

[270] AVescLugano , Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco : lettera del 24 aprile 1975. Corecco propone Pietro Ortelli; AVescLugano , Fondo Sinodo, fasc. 120; seduta del 12 ottobre 1975: si ribadisce la necessità di formare uno specialista per la comunicazione.

[271] Cfr. anche Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 6: Corriere del Ticino, 24 ottobre 1975, 33 e 35; e 31 ottobre 1975, 33 e 35; cfr. anche Archivio di CL Lugano, Fondo Albino Zgraggen , Raccoglitore nr. 2, Cartella nr. 5: per la corrispondenza intercorsa con Morresi in preparazione del servizio.

[272] Si trattava infatti di difendere il valore della vita, tanto della madre come del figlio. A questo tema il movimento si era dedicato con grande impegno, formando persone in grado di prendere parte al pubblico dibattito, cfr. l’ampia documentazione in Archivio di CL Lugano, Fondo Albino Zgraggen , Raccoglitore nr. 1: il momento di studio con interventi di Roberto Formigoni (politico), Angelo Scola (teologo), Costantino Mangioni della Clinica Mangiagalli (ginecologo), Emilio Bonicelli (scrittore) e Giuseppe Zola (giurista/ politico) del 19 aprile 1975, poi raccolti in un corposo fascicolo, stampato il 31 agosto 1975; e la serie di lezioni tenute nella parrocchia di Daro tra il 30 giugno ed il 9 luglio 1975, quando Eugenio Corecco interviene con una lezione intitolata La vita cristiana di fronte all’aborto .

[273] In https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/006779/2007-02-07/ (F. Panzera) (consultato il 30.8.2019).

[274] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco , Classatore nr. 6: Documento politico (ad uso interno), aprile 1975.

[275] Cfr. ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984, 22 feb braio 1979, lettera a F. S.; in seguito, da vescovo sarà ripetutamente interpellato, sulla linea politica del Giornale del Popolo (cfr. ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1985-1990, lettera di G. S. del 17 aprile 1989 e risposta del 28 aprile 1989), sul fatto che la tipografia La Buona Stampa stampava anche il periodico della Lega dei Ticinesi, Il Mattino della Domenica (v. ibid. , 1900-1993: lettera di P. F. del 29 marzo 1993 e risposta del 10 aprile 1993) e sulla scelta di Giorgio Salvadè , noto appartenente al movimento di CL, eletto municipale di Lugano per la Lega dei Ticinesi.

[276] «Per parte mia […] devo rilevare la validità del lavoro che egli compie per la gio ventù studentesca, che si prepara all’Università o già la frequenta. In questa diocesi, dal 1969, per cause diverse e gravi, non è più stato possibile organizzare ufficialmente l’assi stenza religiosa alla gioventù maschile. Per cui considero come provvidenziale ed assolutamente necessaria l’opera che, in pieno accordo con il vescovo, il prof. Corecco ha intrapre so con largo successo, proprio a favore della gioventù studentesca. Io spero che il Sinodo 72 si occuperà anche di questo grave problema e studierà i mezzi per risolverlo: però, fino a quel momento, non si può contare se non sull’iniziativa e l’opera coraggiosa del prof. Corecco », così scriveva mons. Martinoli il 19 agosto 1972, in risposta ad una lettera di Corecco del 14 agosto 1972, che gli chiedeva una raccomandazione per ottenere dal Sacrificio Quaresimale un sostegno finanziario al seminario biblico. Tale raccomandazione gli era già stata negata dal sacerdote incaricato di esaminare le richieste, con il motivo che Corecco si occupava di studenti a titolo personale e senza mandato ufficiale; lettere in AVescLugano , Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco .

[277] Cfr. ad esempio ACorecco Lugano, Scat. 10, nr. 9: 3 giugno 1974, lettera di Corecco a Martinoli con la quale si dimette dalla Commissione per il Seminario estivo di Prato Leventina, nella quale era stato nominato dal vescovo con un atto del 16 gennaio 1974. Corecco aveva da subito recepito che la sua presenza non era gradita, altri fatti sgra devoli ed il sentore che ci fossero degli abusi a livello finanziario di cui non voleva portare responsabilità, lo inducevano ora a dimettersi (anche in AVescLugano , Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco ).

[278] AVescLugano , Fondo Seminario S. Carlo, Scat. 1, fasc. 2: 16 gennaio 1974, lettera a mons. Martinoli, con la quale sollecita l’appoggio per la creazione di una Fondazione

[279] la denominazione per es. Vincenzo Molo» e con l’aiuto della Fondazione Win terhalter , allo scopo di acquistare o costruire una casa per gli studenti.279 Fanno stato di questi problemi le difficoltà sorte intorno all’ iter di preparazione all’ordinazione di Libero Gerosa, quando questi decise di trascorrere l’anno di pratica pa storale nella parrocchia di Daro sotto la direzione di don Gianni Danzi, scelta con la quale don Vitalini non concordava, cfr. ACorecco Lugano, Scat. 10, nr. 10: 23 settembre 1974, lettera di don Gianni Danzi a don Vitalini, nella quale protesta per le perplessità espresse in uno scritto a Gerosa e non manca di esternare le sue critiche all’impostazione del seminario, e 10b: 3 ottobre 1974, mons. Martinoli, avendo ricevuto copia della corrispondenza, richiama a maggior carità don Danzi, confessa che, circa la destinazione pastorale di don Gerosa, gli è stata piuttosto forzata la mano ed esprime apprezzamento per l’opera educativa di don Vitalini presso la comunità teologica di Friburgo.

[280] AVescLugano , Fondo Seminario: la corrispondenza da Friburgo che rivela una cer ta artificiosità della situazione.

[281] Cfr. l’intervista rilasciata a Nathalie Frieden , nel febbraio del 2015, da Alfonso Carrasco Rouco , vescovo di Lugo (Spagna).

[282] Fino al 1981, quando la villa verrà messa in vendita e Corecco proporrà alla diocesi di comperare quegli spazi, vista la disponibilità del probabile acquirente a vendere, cfr. ACorecco Lugano, Corrispondenza, 9 ottobre 1981: lettera a mons. Togni, a seguito di un colloquio con il cancelliere mons. Giuseppe Bonanomi. Non sarà questa però la solu zione adottata e neppure andrà a buon fine il tentativo del 1977 con l’istituto Theodosia (v. sotto, n. 284).

[283] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: lettera a Martinoli del 12 dicembre 1976 e risposta del 14 dicembre 1976; qualche mese prima egli aveva ricevuto in udienza i due studenti più determinati nella loro scelta, cfr. AVescLugano , Fondo Vescovi, Martinoli, Scat. 4: Diario 1973-1979: annotazioni del 18 e 19 aprile 1976.

[284] Si veda l’appoggio dato nel 1977 al tentativo di prendere in affitto una casa in rue de Gambach 23, cioè l’istituto Theodosia delle Barmherzigen Schwestern , cfr. AVesc Lugano, Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco : 2 marzo 1977, lettera di Martinoli alla rev.da Madre generale, con la quale raccomanda di accogliere la richiesta di affitto di Corecco , la cui opera egli considera di interesse per tutta la diocesi; e 4 marzo 1977, la risposta negativa, perché l’Ordine ha deciso di continuare a gestire questo studentato femminile.

[285] Si vedano le discussioni intorno alla proposta, fatta da un seminarista della Comu nità teologica, di celebrare una volta alla settimana la messa con CL, in AVescLugano , Fondo Seminario, Scat. Comunità teologica di Friburgo, fasc. 1: la presa di posizione del seminarista C. M., del 2 febbraio 1977, e quella di Vitalini del 3 febbraio 1977; cfr. anche ibid. , Scat. 1: il carteggio che intercorre tra il giugno 1975 e il mese di marzo 1976 tra don Vitalini e mons. Martinoli.

[286] Si veda a mo’ di esempio la pronta disponibilità con cui accetta di farsi carico di alcune piazze d’armi nella Svizzera romanda, cfr. ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: la lettera di don Pierino Tognetti del 16 giugno 1976 e la risposta di Corecco del 21 giugno 1976.

[287] Cfr. l’intervista rilasciata a Nathalie Frieden , nel febbraio del 2015: «quando sono arrivato in Svizzera, senza nessun progetto concreto ma solo come alla ricerca, mi ricordo di avere incontrato una persona […] sorprendente, nel senso che era un uomo cordiale, normale, accogliente […]. Questo è raro in generale e lo è molto più ancora in un caso come questo. Ma il mio arrivo è stato così. È venuto a prenderci all’aeroporto di Zurigo, con la sua solita BMW 500. A Friburgo a cena ho incontrato la comunità degli studenti, che non conoscevo, ma ci hanno accolto calorosamente. Corecco e tutti davano per conosciute oppure per evidenti le ragioni della nostra presenza, cosa che – almeno per me – non era affatto evidente. Eravamo piuttosto spaesati, perché c’era attorno a loro una grande comunità nella quale noi eravamo accolti calorosamente, […] ho incontrato una persona che era al centro di una grande rete di rapporti, molto cordiale e che era professore all’ univer sità . Riflettendo su questo, più tardi, ho pensato due cose. Ero venuto senza intenzione di restare, ma due ragioni mi hanno convinto a rimanere. La prima è che incontravo persone con la pretesa di poter capire il senso delle cose, la vita, capire i problemi, conoscere la verità , per me era nuovo. […] D’altra parte, insieme ad un’accoglienza molto vera, tanto che a poco a poco mi sentivo come a casa, l’amicizia era reale ed anche l’unità, non sapevo come, ma era reale, dunque questa somma di fatti – l’accoglienza, l’unità reale ed il desiderio di capire – ecco tutto questo mi ha convinto che sarebbe stato meglio rimanere. Sono rimasto per tutti gli studi. Ho fatto tutto il corso della teologia, poi un anno a Monaco quindi la tesi di dottorato con Eugenio» (trascrizione e traduzione dal francese dell’A.).

[288] Cfr. l’intervista di Nathalie Frieden a mons. Angelo Scola (febbraio 2015). L’attuale cardinale ed arcivescovo emerito di Milano partecipò a due riprese alla vita comunitaria degli studenti di Friburgo, dal 1969 al 1972, negli appartamenti, e dal 1978 al 1982, appunto nella casa di Gambach .

1.1.  La novità di un pontificato

Negli anni Settanta la considerazione dell’episcopato italiano e di papa Paolo VI verso l’esperienza di Comunione e Liberazione era andata evolvendo in positivo, frutto della lealtà del movimento di don Giussani verso le richieste di impegno politico della CEI in occasione delle votazioni sul divorzio e sull’aborto. Nel 1973 la Rivista del Clero Italiano[289] pubblicava un’ampia intervista a don Giussani, che aveva così l’occasione di chiarire la natura del movimento, i suoi rapporti con la gerarchia, le parrocchie e l’Azione Cattolica. Si trattava anche di confutare l’accusa di integrismo che continuava a gravare sul movimento. Un sorprendente riconoscimento avvenne nell’anno giubilare 1975, quando CL aderì cordialmente all’invito del Papa, indirizzato ai giovani, di pellegrinare a Roma in occasione della Domenica delle Palme. Nessun altro movimento o associazione aveva preso sul serio l’invito e Paolo VI volle immediatamente esprimere personalmente la sua gratitudine a don Giussani, offrendogli il conforto della sua approvazione, ed onorarlo, mettendo a sua disposizione l’aula Nervi perché potesse incontrare e parlare ai suoi giovani[290]. Papa Montini si sarebbe spento nell’agosto 1978 e, dopo il brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I, veniva eletto al soglio pontificio Karol Wojtyła, polacco, primo papa non italiano da cinque secoli. Proveniva da una nazione oltre la «cortina di ferro» e cattolica, di un cattolicesimo popolare, in cui la tradizione era vissuta senza complessi di inferiorità e la Chiesa era percepita come spazio di libertà per tutti[291]. Soprattutto, egli era un pastore completamente radicato nella teologia del Concilio Vaticano II, al quale aveva attivamente partecipato e nella cui realizzazione vedeva il compito della Chiesa, chiamata a rispondere al bisogno del mondo facendo riudire l’annuncio di Cristo, redentore dell’uomo, non come un astruso concetto, ma come realtà incontrabile. Senza Cristo l’uomo rimane un enigma ai suoi stessi occhi, come dimostrava la tragica eterogenesi dei fini (Augusto del Noce) ben manifesta nelle vicende del XX secolo, in cui le grandi costruzioni ideologiche, che avrebbero dovuto realizzare una società giusta e libera (marxismo) e far trionfare i migliori (nazismo e fascismo), avevano portato e portavano ad esiti esattamente opposti, per di più con un dispiegamento imponente di violenza e barbarie. Gli accenti del nuovo papa, che stimava i movimenti e già da vescovo si era prodigato per la loro diffusione nella Polonia comunista, erano estremamente familiari a don Giussani, che impegnò tutta CL nello studio della sua prima enciclica, adottata come testo della Scuola di Comunità dell’anno 1979[292]. Egli visse con sconfinata gratitudine l’amichevole familiarità con cui il papa polacco accoglieva lui ed i suoi giovani. Wojtyła aveva già incontrato il fondatore ed i ragazzi di CL da arcivescovo di Cracovia, grazie a don Francesco Ricci, che visitava sovente la Polonia, e diffondeva, tramite la rivista CSEO, la omonima casa editrice e la Jaca Book, gli scritti dei teologi e dei filosofi polacchi, per lo più legati alla rivista Znak di Cracovia. Don Ricci e don Giussani avevano reso popolare nel movimento il pellegrinaggio annuale a piedi al santuario mariano di Cze¸stochowa (dalla Svizzera la partecipazione iniziava nel 1976). Ogni anno diverse centinaia di giovani affrontavano il percorso partendo da Cracovia, in segno di ringraziamento per l’ottenimento della maturità o della laurea e chiedendo la protezione della Vergine per la nuova tappa di cammino che si apriva davanti a loro. I giovani di CL avevano incontrato anche i coetanei polacchi del movimento «Luce-Vita» di padre Blachnicki e partecipavano, in piccoli gruppi, alle vacanze clandestine che questo movimento organizzava in Polonia.

1.2.   Il convegno sui movimenti (1981) ed il problema della loro collocazione giuridica nella Chiesa

Proprio da questa sintonia, sorse il desiderio di valorizzare la disponibilità del pontefice verso i movimenti, favorendo l’incontro tra diverse esperienze ed avviando una riflessione sul loro posto e compito nella Chiesa. Dopo un primo incontro nel 1980 a Rocca di Papa, organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici, e questa volta per iniziativa di padre Blachnicki e di don Giussani, nel settembre del 1981 si teneva a Roma il primo convegno internazionale[293], che radunava rappresentanti di 22 movimenti ed era introdotto dal saluto di Giovanni Paolo II, il quale non solo offriva piena ospitalità nella Chiesa a queste esperienze, ma addirittura coniava la celebre espressione: «la Chiesa stessa è un movimento»[294]; di seguito mons. Paul Josef Cordes, vice-presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, facendo riferimento ad un colloquio «di carattere piuttosto privato» con il pontefice, esprimeva il suo apprezzamento per l’opera dei movimenti, capaci di portare l’annuncio vivo e convincente della fede in ambiti lontani dalla Chiesa. Egli sconfessava quindi esplicitamente i sospetti di chiusura e di autoreferenzialità ed indicava come prioritario l’impegno nella Chiesa locale e nelle sue strutture istituzionali, ovvero nelle diocesi e nelle parrocchie[295]. Il convegno si apriva con una serie di brevi interventi di presentazione della storia, del carisma e della diffusione di ogni realtà. Particolarmente significativa era la presenza di esperienze provenienti dall’Europa dell’Est: il movimento polacco «Luce-Vita»[296] di padre Franciszek Blachnicki, germinato dal solco del movimento internazionale delle Oasi, Ziva Cerkev-Chiesa viva[297], nato dal lavoro pastorale di alcuni preti, suore e laici nelle tre diocesi della Slovenia alla fine della II guerra mondiale, il saluto di Josef Sverina (1913-1990), grande teologo moravo, che, dopo il lager nazista, aveva conosciuto il carcere ed i campi di lavoro della Cecoslovacchia comunista per 14 anni[298]. Insieme alle esperienze diffuse nell’America Latina e presenti in Africa[299], queste realtà documentavano la capacità della fede di superare le barriere politiche, culturali ed economiche. Nella seconda parte del convegno, una serie di corposi interventi radicavano i movimenti nella teologia e nella pastorale del Concilio Vaticano II. Dopo Georges Chantraine (1932-2010), «Carismi e movimenti nella Chiesa», e mons. Lucas Moreira Neves (1925-2002)[300], «I movimenti nella

http://it.gariwo.net/giusti/bio-

http://www.santiebeati.it/dettaglio/88201:

Chiesa oggi», padre Blachnicki (1921-1987)[301] indicava i movimenti come una forma di autorealizzazione della Chiesa, a condizione che perseguissero l’educazione dei loro membri tramite una catechesi continua e la vita comunitaria che permette di fare esperienza di quanto imparato[302]. Prendeva poi la parola Corecco con un’ampia relazione dal titolo Profili istituzionali dei Movimenti nella Chiesa[303]. Rifacendosi a sua volta alla prospettiva ecclesiologica della Lumen Gentium, Corecco sottolineava il valore prioritario della partecipazione di tutti i fedeli al sacerdozio comune ed il carattere di servizio del sacerdozio ministeriale: «Conferendo la propria autorità alla Chiesa, Cristo dà ai fedeli la possibilità di vivere compiutamente, nell’obbedienza oggettiva, la dimensione formale soggettiva dell’amore. La totalità della donazione soggettiva del cristiano a Cristo nell’amore è garantita, nella sua autenticità, dall’oggettività dell’obbedienza all’autorità del sacerdozio ministeriale che nella Chiesa svolge una funzione di servizio: quella di rappresentare Cristo come Capo, in funzione dell’unità della Chiesa»[304]. Parte dell’intervento era dedicato ad una approfondita lettura della recente Nota pastorale della CEI sui criteri di ecclesialità dei gruppi, movimenti ed associazioni. Era l’occasione per sottolineare con soddisfazione che la realtà dei movimenti era ormai comunemente riconosciuta «senza dover mutilare eventualmente la loro identità strutturale»[305], sebbene essa, dal punto di vista giuridico, non avesse una adeguata collocazione nella Chiesa e neppure sembrava potesse trovarla nel nuovo CIC in preparazione. Nemmeno il riconoscimento della Fraternità di Comunione e Liberazione, avvenuto l’11 febbraio 1982[306], avrebbe risolto questo problema, ma al contrario l’avrebbe posto. La preoccupazione di Corecco non era meramente accademica, ma profondamente ecclesiale ed anche piuttosto personale, a causa della difficile accettazione che il movimento incontrava anche in Ticino, in particolare dopo le dimissioni di mons. Martinoli.

La mancata attenzione per la collocazione giuridica dei movimenti era solo uno dei limiti del nuovo codice, a proposito del quale egli nutriva gravi apprensioni, soprattutto per le possibili conseguenze negative sulla lettura di tutto il magistero di Giovanni Paolo II. L’esordio informale del pontificato di papa Wojtyła aveva forse suscitato in certi ambienti speranze di grandi cambiamenti a livello morale e forse anche dottrinale. Ben presto invece il suo magistero, che si mostrava chiaro, determinato e privo di ambiguità nell’illuminare la via della Chiesa, iniziò ad essere criticato e si cominciò a parlare di involuzione del pontificato e tradimento del Concilio Vaticano II[307]. Nel mirino erano soprattutto i giudizi negativi sulla teologia della liberazione[308], cosa che non avrebbe dovuto sorprendere nessuno visto che il papa proveniva da un paese sottoposto alla dittatura comunista, e la teologia del corpo, a partire dalla quale il pontefice aveva rinnovato la condanna dell’aborto, delle pratiche anti-concezionali ed anche dell’eutanasia[309]. Proprio nella chiarezza del magistero invece trovavano conforto don Giussani ed il suo movimento. Teologi ed intellettuali di CL vennero chiamati a lavorare insieme ai collaboratori polacchi del papa in tutti gli ambiti[310].

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[289] «Comunione e liberazione». Intervista a don Giussani , in Rivista del Clero Italiano 6/ LIV (giugno 1973) 3-12.

[290] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco, Classatore nr. 4: lettera di don Giussani sul significato del gesto romano, 1975; per lo stesso periodo cfr. anche ibid. : la lettera del Consiglio nazionale di CL del 1° marzo 1975 e l’intervento di padre Piero Gheddo, che risponde alle critiche di padre Turoldo nei confronti di CL, 1° aprile 1975; per i passi precedenti , cfr. «Comunione e liberazione». Intervista a don Giussani , 3-12 ed anche Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco, Classatore nr. 4, «Risposta alle richieste della commissione per l’apostolato dei laici della CEI», s. a.

[291] Sul ruolo della Chiesa e del cattolicesimo nella storia della Polonia, cfr. J. Woz´niakowski, I cristiani nella cultura polacca , in AA.VV., Autobiografia del cattolicesimo polacco , Bologna 1979 (CSEO Biblioteca 10).

[292] L’attenzione al magistero di Wojtyła rimase costante, tanto che la EDIT (Editore de Il Sabato) decise di raccogliere tutti i discorsi del papa in una pubblicazione periodica: La traccia.

[293] M. Camisasca – M. Vitali (a cura di), I movimenti nella Chiesa negli anni ’80. Atti del I convegno internazionale, Roma 23-27 settembre 1981 , Milano 1982 (d’ora in poi I movimenti nella Chiesa negli anni ’80 ).

[294] Ibid. , 14s.

[295] Ibid. , 1620.

[296] Ibid. , 6976.

[297] Ibid. , 126129.

[298] Ibid. , 132-137; per alcune note biografiche, cfr. grafie-dei-giusti/figure-esemplari/figure-dissidenti-est-europeo/josef-zverina-1337.html (consultato 5 settembre 2018).

[299] Presente con CCL (Christ Communion-Liberation), nato negli anni ’70 da alcune famiglie varesine appartenenti a Comunione e Liberazione, partite in missione nel nord Uganda, cfr. I movimenti nella Chiesa negli anni ’80 , 119-123.

[300] In per un profilo biografico (consultato 5 settembre 2018).

[301] In per qualche nota biografica (consultato 5 settembre 2018).

[302] F. Blachnicki, Aspetti caratterizzanti un movimento ecclesiale , in I movimenti nella Chiesa negli anni ’80 , 175-202.

[303] E. Corecco, Profili istituzionali di Movimenti nella Chiesa , in I movimenti nella Chiesa negli anni ’80 , 203-234; relazione pubblicata anche in francese, cfr. E. Corecco, Les mouvements dans l’Eglise , Namur 1983, 181-208.

[304] E. Corecco, Profili istituzionali di Movimenti nella Chiesa negli anni ’80 , 207.

[305] Ibid. , 224; a proposito di questa difficoltà, cfr. anche J. Bagnoud, Charismes et Mouvements selon Mgr. Eugenio Corecco , Milano 2020, 31, che (con riferimento a E. Corecco, Pour un statut juridique des mouvements , in AA.VV., Les mouvements dans l’Église , Paris 1984,

[306] sottolinea come la CEI ancora prenda a modello dell’associazione ecclesiale l’AC, come «collaborazione all’apostolato gerarchico», con il rischio di un dualismo elitista tra l’apostolato che la gerarchia riconosce come suo e altre forme «d’apostolato di seconda classe».306 L’abate di Montecassino, mons. Martino Matronola, aveva accettato di essere patrocinatore della richiesta, sostenuta dal parere favorevole di diversi vescovi. Corecco di persona aveva sollecitato lettere di raccomandazione da mons. Pierre Mamie, vescovo di Friburgo, Losanna e Ginevra (v. ACorecco Lugano, Corrispondenza: 8 aprile 1981, lettera

[307] di mons. Pierre Mamie) e da mons. Ernesto Togni, vescovo di Lugano (AVescLugano, Fondo Vescovi, Mr. Corecco: 23 marzo 1982, lettera di Corecco a mons. Togni nella quale gli comunica l’avvenuto riconoscimento, ricordando il suo contributo).307 Per questa tenace accusa, che negava il radicamento nel Concilio Vaticano II di papa Wojtyła, valga per tutti l’articolo di G. Alberigo, Jean Paul II. Dix ans de pontificat , in Etudes (mai 1988) 669-681.

[308] Cfr., a questo proposito, E. Guerriero, Servitore di Dio e dell’umanità. La biografia di Benedetto XVI , Milano 2016, 227-233: per la genesi dell’istruzione Libertatis Nuntius del 1984, preceduta dalla visita di Giovanni Paolo II alla Conferenza dei Vescovi latino americani a Puebla in Messico (1979) e dal successivo viaggio in Costarica, Nicaragua, Panama, El Salvador, Guatemala, Honduras, Belize, Haiti (1983); per l’importanza di Puebla nel passaggio dalla «teologia della liberazione» alla «teologia del popolo» della Chiesa dell’America Latina e gli influssi dell’esperienza di Solidarnos´c´ sull’affronto delle problematiche economiche e sindacali, cfr. A. Methol Ferré – A. Metalli, Il papa ed il filosofo , Siena 2014.

[309] Questa vasta catechesi si è sviluppata in sei cicli di lezioni ed un’udienza generale in occasione di ogni ciclo, tra il 1979 ed il 1984.

[310] Cfr. ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: lettera a mons. Martino Somalo del 14 marzo 1982, con la quale Corecco fornisce le più ampie garanzie per Angelo Scola, che è stato proposto per un insegnamento presso l’Università del Laterano.

1.1.  L’“esperimento di Gambach”

Nel 1978, a Martinoli dimissionario per raggiunti limiti di età[311] era succeduto don Ernesto Togni[312]. Il nuovo vescovo voleva rendersi conto della situazione, e già nella primavera del 1979 il segretario del Consiglio del Clero invitava Corecco ad una seduta che avrebbe trattato del problema dei seminari. Oltre a Corecco, invitato come responsabile del gruppo di seminaristi di «Comunione e Liberazione», erano convocati don Sandro Vitalini, rettore dalla Comunità Teologica di Friburgo, don Oliviero Bernasconi, professore all’università di Friburgo, don Franco Riva rettore del Collegio Papio di Ascona, i professori-sacerdoti del Collegio Pio XII di Lucino, don Ettore Bassani, relatore per la comunità liceale dei seminaristi del Papio, e don Sandro Bonetti, relatore per la comunità di Lucino. In occasione di questo incontro Corecco preparava una lunga relazione, nella quale raccontava origine e carattere della sua convivenza con un gruppo di studenti, tra cui alcuni che si preparavano al sacerdozio. La sua iniziativa era in preciso riferimento all’esperienza di CL, nella cui comunità e secondo il cui metodo educativo questa esperienza particolare si poneva: «come la convivenza in appartamenti non è scelta con criteri economici, anche l’eventuale “regola” dell’appartamento (silenzio, ecc.) non è praticata in funzione, né di un maggiore impegno nello studio, né di un buon ordine esterno, ma come desiderio di stabilire un richiamo educativo costante al valore immanente della vita in comune, scelta come possibilità di realizzare un’esperienza di comunione concreta, spesso molto stringente»[313]. Alla base del metodo educativo stava la convinzione che la vocazione dovesse essere verificata e maturata nelle condizioni il più possibile vicine a quelle reali della vita del prete: «in questo contesto la formazione al sacerdozio non è vista in funzione di un ideale che si realizzerà nel futuro, ma come impegno comunitario e perciò pastorale da vivere nel presente. Ne consegue che l’ascesi, indispensabile per maturare nella vocazione non è orientata in modo diverso da quella che il prete dovrà praticare per tutta la vita. È concepita non tanto come parentesi speciale di gusto più o meno monacale, ma come necessità di assumere progressivamente, ma da subito e in modo che investa tutta la persona, un impegno pastorale globale. Il giudizio finale sull’autenticità di una vocazione alla vita apostolica e alla verginità deve risultare dalla constatazione che una persona vive già di fatto come dimensione normale della propria vita, sia la verginità, sia una vocazione apostolica all’interno della comunità, ambito concreto in cui esprime e in cui sono sollecitati già nel presente tutti suoi interessi più profondi, umani, affettivi, culturali, politici ed ecclesiali. […] una persona diventa matura per l’ordinazione quando dentro la comunità in cui vive ha già di fatto acquisito una funzione autorevole […]». Sull’unità del clero, che sarebbe risultata compromessa dall’esistenza di più seminari, non poteva se non insistere sulla coscienza della comunione e sulla centralità del vescovo, concetti a proposito dei quali era intervenuto più volte nelle sue pubblicazioni scientifiche, affidando all’onestà personale dei suoi interlocutori la constatazione «che il seminario unico mai ha potuto garantire l’unità del clero ed è stato talvolta all’origine di divisioni»[314]. Tuttavia, nella sua sessione del 28 maggio 1979, il Consiglio del Clero avrebbe deliberato che i seminaristi si formassero in un’unica comunità teologica diocesana, «nella quale confluiscano, ad arricchirne la vitalità spirituale e pastorale, le varie esperienze ecclesiali, contro l’altra possibilità di ammettere una pluralità di comunità teologiche diocesane». Si decideva anche che i seminaristi, al termine degli studi teologici, facessero un anno di pastorale. Almeno questo fu quanto si pubblicò sul Monitore Ecclesiastico, insieme ad alcune parti del regolamento del seminario[315]. Questo non pose fine all’esperimento di Corecco, né tanto meno alla sua convinzione che quanto andava facendo fosse utile alla diocesi. Nel mese di luglio, sollecitando un’udienza, egli manifestava al vescovo la sua meraviglia per aver reso pubblico il regolamento del seminario e quel verbale della seduta del Consiglio del Clero, che oltretutto a suo giudizio forniva una relazione piuttosto riduttiva della discussione, gli chiedeva l’opportunità di sentire il suo giudizio sull’esperienza di Gambach, sulla gestione del seminario, in atto ormai da 20 anni, un’indicazione sul significato per la diocesi dell’ipotesi che si continuasse su due binari, la definizione delle condizioni e delle possibilità di collaborazione con don Vitalini ed infine i criteri di una decisione[316]. Tutto questo venne discusso il 20 agosto[317]. In definitiva ai seminaristi di CL fu chiesto di trasferirsi presso la Comunità teologica solo nell’ultimo anno della loro formazione[318]. Non solo: nell’ottobre 1979, Corecco scriveva di nuovo a mons. Togni per coinvolgerlo in un progetto, di cui aveva già informato mons. Giuseppe Bonanomi, cancelliere vescovile. La casa di Gambach 19, dove abitavano, era in vendita; si apriva la prospettiva di uno sfratto oppure la possibilità di comperarne una parte a titolo di condomino. Corecco chiedeva alla diocesi un prestito agevolato a basso interesse per poter procedere all’acquisto; egli intendeva rimborsare a poco a poco il prestito, evitando di aumentare l’affitto ad un livello inaccessibile agli studenti[319]. L’acquisto non andò in porto ed il nuovo proprietario pregava Corecco di ridurre il numero degli studenti, che erano 8. A questo punto, siccome anche la casa accanto, ovvero il nr. 21, era disponibile, Corecco la prese in affitto: sarebbe stata completamente a sua disposizione con la possibilità di abitarci in 14 o 15. Nel novembre del 1984 la proprietaria lasciava intendere di essere disposta a vendere, ed anche a prezzo di favore perché apprezzava lo scopo per il quale era utilizzata la casa. Si trattava di un vero affare e, con l’approvazione del Vescovo rappresentato dal canonico don Arnoldo Giovannini, Corecco costituiva l’Associazione Casa dello Studente Ticinese, che acquistava l’immobile all’85% del suo valore reale. Inclusi i necessari lavori di ristrutturazione, erano stati spesi 1.250.000 FRS, coperti con 500.000 FRS di ipoteca, 500.000 FRS di prestito agevolato dalla Curia e 250.000 in conto corrente. Il prestito della Curia era «ricompensato» dalla clausola statutaria che vincolava la vendita della casa al consenso del Vescovo e che prevedeva il passaggio del patrimonio alla diocesi in caso di scioglimento dell’associazione. Con gli affitti si coprivano gli interessi passivi dell’ipoteca e del prestito della Curia, l’urgenza era quella di ammortizzare il debito con la banca. Purtroppo un’azione fatta presso una decina di banche, i cui direttori erano cattolici, aveva dato pochissimo esito, anche la generosità dei privati aveva potuto essere di poco aiuto, mentre i «Medici Cattolici»[320] erano disposti ad un sostegno più consistente, tramite un prestito senza interesse. Alla ricerca di finanziatori, Corecco si aspettava da un certo prevosto, che amministrava un fondo di 400.000 FRS destinato al sostegno dei seminaristi, una donazione di almeno 50.000 FRS. Stante che il capitale non sarebbe stato dirottato ad altro scopo: «in effetti in questi 9 anni di convivenza è passata una lista molto lunga di studenti che sono diventati preti […]. In casa abitano attualmente 3 studenti ticinesi che si faranno con ogni probabilità ordinare, un paio d’altri verranno l’anno prossimo in casa, anche se sono già a Friburgo e frequentano altre Facoltà. Sai che il Vescovo ha messo come unica condizione che i seminaristi che crescono qui devono fare un anno nel Seminario diocesano, condizione sempre onorata. […] Lo scopo di sostenere le vocazioni non vuol dire solo che ogni seminarista deve ricevere una certa somma, ma anche che abbiamo il luogo per potersi formare, tanto più che oggi possono ottenere borse di studio anche dallo Stato»[321].

1.2.  Le Sycomore

Grazie all’afflusso di studenti che avevano incontrato il movimento nelle scuole medie superiori, in diverse università si erano formate comunità, che diedero vita ad una vivace presenza, fatta di partecipazione alla vita universitaria, proposte di studio in comune ed attività culturali, talvolta legate a temi fondamentali, come quello del diritto alla vita, tema reso di nuovo di scottante attualità nel 1985 da un’iniziativa parlamentare, bocciata in votazione popolare. D’altra parte tutto il magistero di Giovanni Paolo II, soggetto a costanti attacchi, offriva innumerevoli spunti di approfondimento culturale; alcune iniziative vennero proposte con particolare entusiasmo in occasione della preparazione della sua visita nella Confederazione Elvetica del 1984[322]. Negli anni ’80 la casa di Gambach divenne di fatto il punto di unità, e talvolta la fucina, delle iniziative del CLU svizzero, sempre più attento non solo agli studenti francofoni ma anche a quelli germanofoni. Nella stessa università di Friburgo gli inviti iniziarono ad essere formulati in ambedue le lingue, come le comunicazioni dell’università e degli organismi studenteschi ufficiali. Malgrado il crescendo dei suoi impegni internazionali, Corecco continuò a seguire di persona il cammino di non pochi studenti ed anche quello di qualche comunità universitaria, segnatamente quella di Losanna alla quale si era particolarmente affezionato, ma non poteva arrivare dappertutto e fin dal 1978 aveva affidato la responsabilità del CLU a don Libero Gerosa, che visitava regolarmente gli studenti di Berna, Zurigo, Ginevra ed anche Basilea, dove avevano mandato in missione una coppia di studenti. La prossimità con don Libero, che abitava nella casa di Gambach, permetteva a Corecco di essere informato su quanto avveniva ed assicurava un punto autorevole di unità. Come da sempre era sua abitudine, Corecco favoriva l’incontro degli studenti con i suoi colleghi di teologia. Su suo invito la comunità di Losanna, che contava parecchi studenti di medicina, lavorò con grande profitto con il prof. Georges Cottier, in occasione dell’organizzazione di un congresso a sostegno della vita, collaborando senza perdere la propria identità con altre esperienze cattoliche (1985)[323]. Oltre a padre Barthélémy, per il seminario biblico, e padre Bedouelle, professore di storia della Chiesa e critico cinematografico, coinvolto nelle rassegne cinematografiche[324], anche padre Pinto de Oliveira era stato interpellato per un corso[325], per non dire degli amici, come padre Christoph von Schoenborn op, che trovarono una seconda casa in Gambach ed un’amicizia che li confortava e sosteneva nel lavoro accademico reso arduo dalle posizioni ostili al magistero papale largamente diffuse soprattutto tra i professori della facoltà di teologia di lingua tedesca[326]; più tardi si aggiunse al numero degli amici anche Patrick de Laubier[327]. La cifra ricercata in ogni iniziativa restava quella della comunione. Negli anni ’80, il CLU di Friburgo diede vita ad un periodico, Le Sycomore (che ebbe rapidamente una edizione tedesca, diffusa a Zurigo, Berna e Basilea, con il titolo di Parsifal), i cui redattori ad un anno dall’uscita del primo numero descrivevano il loro lavoro esattamente nei termini in cui Angelo Scola aveva descritto l’esperienza della redazione di Communio ai suoi inizi[328]. I ciellini partecipavano alle battaglie della vita universitaria, si candidavano per farsi eleggere nei consigli studenteschi[329], ma proponevano anche momenti di convivialità, dapprima con una paninoteca aperta nei locali della Missione Cattolica Italiana[330] e poi con Lo Spaghetto, quando, una volta alla settimana, la casa di Gambach si trasformava in ristorante, che serviva agli studenti un piatto di pasta[331]. Nacque anche una Sycomore band, piano, chitarra, flauto, tromba e voci, scaturita per divertimento dalla passione per la musica di alcuni e assai apprezzata per le sue fantasiose performances. Nella convivenza di Gambach fioriva soprattutto la possibilità di maturare nella serietà e nella letizia. I giovani, come era naturale, scoprivano la loro personale vocazione al matrimonio oppure alla vita consacrata. Corecco seguiva con particolare attenzione il manifestarsi della vocazione, ne fanno stato le lunghe omelie preparate in occasione dei matrimoni, che raccomandava fossero il più possibile comunitari, non solo per evitare che le persone della «comunità» fossero sottoposte quasi a un tour de force festaiolo, ma proprio per sottolineare il dono e la responsabilità ecclesiale di ogni strada vocazionale e contenere l’importanza degli aspetti esteriori, con un caldo invito alla povertà[332]. Una coppia di giovani sposi si era preparata per la missione in America Latina, mentre altri erano invitati a trasformare in occasione missionaria un’opportunità lavorativa all’estero[333]. Per quello che riguarda le vocazioni alla vita consacrata nella verginità, le sue preferenze si indirizzavano verso le forme più tradizionali, il sacerdozio e i monasteri, ma su tutto campeggiava l’attenzione alla libertà dell’altro[334]. Egli seppe sempre aprirsi a conoscere ed apprezzare quelle realtà che i suoi giovani incontravano. Nacque infatti dalla vocazione di una ragazza zurighese il suo incontro e la sua amicizia con le Clarisse e, allo stesso modo, quello con soeur Marie (Dupont Caillard, 1922-1999), la fondatrice delle Soeurs de Bethléem, de l’Assomption et de Saint Bruno, che aveva adattato per le monache la regola dei Certosini. Da ultimo non si può dimenticare la cordiale accettazione della vocazione monastica del seminarista ticinese Mauro Lepori, quando il giovane gli comunicò la decisione di entrare nel monastero cistercense di Hauterive.

1.3.  La Basseville: la pastorale dei migranti (19711985)Come detto, fin dal 1971 due studentesse e due studenti – di cui uno di origine calabrese, incontrato nel corso di un campo di lavoro estivo nel suo comune, che aveva deciso di aderire all’esperienza del movimento e proseguire gli studi a Friburgo – erano andati ad abitare nella Bassevil le impegnandosi soprattutto nella compagnia alle persone ed alle famiglie di immigrati. L’appartamento maschile, grazie alla presenza dello studente calabrese, sarebbe diventato luogo di ospitalità per altri giovani lavoratori suoi conterranei e, in caso di emergenza, anche per famiglie[335]. Ben presto gli appartamenti divennero tre: uno in Rue de la Neuveville, l’altro in Place Petit St Jean ed il terzo in Chemin Jost[336]. Si intensificarono i contatti con la Missione Cattolica Italiana, i Preti Operai di Jacques Loew, la JOC ed anche i Petits Frères di Charles de Foucauld[337]. Dal 1972 al 1979, gli studenti di CL attivarono una scuola serale, nell’ambito delle «150 ore», i corsi istituiti dal ministero degli Affari Esteri per il ricupero del diploma di scuola media, in collaborazione con le Missioni cattoliche in Svizzera, con l’ECAP (un ente della CGIL per la formazione dei migranti), le Colonie libere italiane ed altri studenti ticinesi che aderivano a movimenti politici di sinistra[338]. L’esperienza della caritativa in Basseville, sempre strettamente legata ai campi estivi soprattutto in Calabria, era significativa in particolare per gli studenti di economia, che la coglievano come occasione per porsi in modo critico di fronte alle nozioni teoriche della loro materia, così marcata dalle ideologie. Nel semestre estivo 1974[339], due di loro, Fausto

Leidi e Roberto Poretti, coglievano l’occasione del seminario di sociologia per approfondire lo studio della condizione dei migranti dal punto di vista economico e da quello umano e culturale. Termini come «sradicamento» e «depauperamento culturale», moneta corrente nei saggi prevalentemente di matrice marxista sulla condizione dei migranti, grazie alla conoscenza diretta della società e della cultura dei paesi di origine acquisita nei campi estivi, prendevano un nuovo spessore, ma soprattutto, là dove gli studiosi indicavano, in assenza dell’auspicata rivoluzione marxista, due soli esiti possibili, per altro ugualmente violenti, vale a dire l’emarginazione o l’assimilazione, essi vedevano una terza possibilità, quella dell’incontro, che svelava il pieno valore culturale dei legami di amicizia che si andavano tessendo. Anche a proposito della scuola serale, gli studenti non volevano che si limitasse ad essere un’opera assistenziale, ma desideravano che essa permettesse ai suoi fruitori di farsi un giudizio anche sulle cause storiche della povertà di quel Meridione da cui erano stati costretti ad emigrare[340] ed essa fu di fatto un luogo di scambio ed amicizia[341]. Corecco stesso, che seguiva con estrema attenzione questa esperienza di incontro e di coinvolgimento personale, ne fece la base della sua riflessione sulla Chiesa ed i migranti, quando nel 1976 venne chiamato ad intervenire, in qualità di teologo pastoralista, al convegno nazionale dell’UCEI (Ufficio centrale dell’emigrazione italiana). Gli organizzatori si erano dapprima indirizzati a Joseph Ratzinger, allora professore a Regensburg, e poi a Karl Lehmann a Münster, ambedue impediti da precedenti impegni, poi qualcuno aveva indicato un giovane professore, un certo Eugenio Corecco, che accettò malgrado la ristrettezza dei tempi. Questo primo intervento (Chiesa locale e partecipazione nelle migrazioni) inaugurò una lunga collaborazione. Corecco fu presente al convegno del 1978 (Partecipazione e democrazia nella Chiesa particolare) e nel 1983 offriva ai Consigli di Delegazione delle Missioni Cattoliche Italiane in Europa la riflessione su Il ruolo del Presbiterio nella Chiesa particolare; anche nel 1981, sebbene impedito a presenziare di persona per ragioni di salute, aveva inviato le sue riflessioni sul tema Emigrazione è cultura; da ultimo, nel 1985 tenne una delle relazioni introduttive – Le migrazioni nell’orizzonte del Regno – al Simposio Pastorale etnica: motivazioni biblico-teologiche[342]. Tutte occasioni queste che egli colse per sviluppare la sua ecclesiologia della communio, indicando sempre la vera evangelizzazione e la conversione a Cristo come chiave di volta dell’unità e della costruzione di una società equa ed accogliente, capace di vivere la diversità come una ricchezza e non come un problema.

Con il crescere della presenza dei Ciellini a Friburgo anche l’impegno nella «Basseville» prese una forma più strutturata. Dal 1979 al 1985 fu attivo il Centre de contact Suisses-Immigrés, presso la Missione Cattolica Italiana di Friburgo, che offriva consulenze giuridiche e sociali, corsi di lingua francese per gli adulti e, direttamente in collaborazione con la Missione, un asilo per i bambini figli di migranti[343]. Dal 1979 e fino al 1983, gli studenti organizzarono anche una cooperativa alimentare volta a procurare e a smerciare beni di prima necessità a prezzo accessibile, con sede presso il convento delle Orsoline. La cooperativa era inoltre luogo di aggregazione ed organizzava anche momenti di svago e condivisione per le famiglie[344]. Da qui scaturì l’intenso impegno, al fianco dei vescovi svizzeri, a favore dell’iniziativa «Essere solidali» del 1981, che si proponeva di abolire lo statuto di stagionale, con iniziative in università e manifestazioni pubbliche soprattutto nel canton Friburgo[345].

1.4.  Le difficoltà in diocesi

In occasione dell’udienza con mons. Togni del 20 agosto 1979, Corecco aveva affrontato anche il tema del Giornale del Popolo, a proposito del quale si era fatto latore di un giudizio formulato insieme ad alcuni responsabili a nome del movimento di Comunione e Liberazione[346]. Del rinnovamento del quotidiano del vescovo, diretto ancora come fin dalla sua fondazione da mons. Alfredo Leber che aveva ormai raggiunto i 77 anni d’età, si parlava da tempo ed era urgente. Gli scriventi osservavano che, dopo aver svolto per decenni un lodevole servizio, il giornale non aveva ormai più nessuna linea redazionale ed i giornalisti, scelti con criteri oscuri, sembravano incaricati di riempire le pagine lasciate libere dalla pubblicità. Non mancavano però i suggerimenti in positivo, a testimonianza del desiderio che questo prezioso strumento tornasse ad essere utile alla Chiesa ticinese.

Quello del giornale diocesano non era l’unico problema aperto in questi anni che, anche per la Chiesa ticinese, erano difficili e mettevano a dura prova il vescovo. Ne fa stato una lettera di Corecco del 1982. Quell’anno, mentre si manifestavano i primi disturbi di salute, Togni aveva deciso di emulare mons. Jelmini e di andare a visitare i discendenti degli emigrati ticinesi in America. Anche Corecco era negli Stati Uniti, a Berkeley, per un periodo sabbatico che faceva seguito ai due anni in cui era stato decano alla Facoltà di teologia di Friburgo. Egli scriveva dunque al vescovo347 per offrirgli i suoi servizi, e, sperando in un incontro, gli anticipava alcune questioni problematiche. In primis la situazione di Caritas, dove, anche a suo avviso, la collaborazione dei laici – nel caso concreto di Mimi Lepori – con don Emilio Conrad era difficile. Di seguito, Corecco informava il vescovo dell’avvenuto riconoscimento della fraternità di Comunione e Liberazione da parte del Consilium pro Laicis, chiarendo eventuali confusioni tra il movimento tout court ed i vergini (Memores Domini). Lo ringraziava per esser stato tra i presuli che avevano raccomandato il riconoscimento, ma faceva notare che in diocesi l’ostilità verso CL era sempre assai viva e diffusa; tanto che don Willy Volonté come don Gianni Danzi sembravano determinati a lasciare il Ticino. Il primo desiderava andare a Roma, il secondo dedicarsi a tempo pieno ai suoi impegni internazionali. Dei due solo Danzi darà seguito a questo progetto, trasferendosi a Roma come responsabile della segreteria internazionale di CL nel 1982348.

1.5.  Il convegno «Vangelo e società»

Il vescovo Togni era cosciente del malessere diffuso nella sua diocesi: nel 1983, mentre si preparava la visita del papa nella Confederazione Elvetica ed il momento era delicato perché il dibattito sul nuovo Codice di diritto canonico animava le pubblicazioni scientifiche ed offriva ulteriori spunti per critiche negative a Giovanni Paolo II[349], favoriva la realizzazione di un convegno di studio, dal titolo Vangelo e Società, il cui obiettivo dichiarato era valutare l’attuazione del Concilio ed avviare una riflessione sul magistero del papa polacco. Il convegno si tenne a Lugano dal 13 al 15 maggio. La relazione iniziale, dopo il saluto del vescovo, era stata affidata a mons. Antonio Riboldi, vescovo di Acerra (Chiesa locale nella realtà di oggi: una testimonianza), cui fecero seguito le relazioni di mons. Enrico Chiavacci, docente di teologia morale a Firenze (Vangelo e società nella teologia contemporanea), di padre Mauro Laconi op, noto biblista legato al Sermig di Torino (La dimensione sociale e politica alla luce del messaggio biblico), di mons. Franco Biffi, dell’Università del Laterano (L’insegnamento sociale dal Concilio Vaticano II a Giovanni Paolo II), e di padre Alois Odermatt, direttore dell’Istituto di teologia pastorale dei Vescovi svizzeri (Il Sinodo 72 ed i problemi sociali). Chiudeva il convegno l’intervento del vicario generale, mons. Azzolino Chiappini, dopo la presentazione e la discussione delle conclusioni, che erano state affidate ad Alberto Bondolfi. Come riferiva la pagina del Giornale del Popolo[350], durante i lavori si era preso atto di molte occasioni mancate: «Il Concilio, i testi del Magistero, gli inviti pastorali, il Sinodo: una serie di proposte cadute nel vuoto nell’impatto con la realtà. Un’esperienza amara che diviene comando esplicito a recuperare “il cammino della Chiesa”, riscoprendo la realtà e il valore della nostra dimensione ecclesiale». Il testo finale di Alberto Bondolfi, «che non voleva essere una conclusione», ma piuttosto una ripresa dei contenuti delle due giornate, intendeva offrire le prime indicazioni prospettiche di lavoro e di impegno. Pubblicato dalla rivista Dialoghi[351], sotto il titolo Rapporto alla Chiesa ticinese, metteva in risalto soprattutto la «rilevanza sociale» della Chiesa, intesa come presa di coscienza dell’esistenza di assetti sociali produttori di ingiustizia, i quali non dovevano essere considerati problemi esterni alla vita delle comunità cristiane. Per questa ragione ognuno era invitato ad interrogarsi sui propri rapporti con il potere economico, a sentirsi responsabile per il disordine economico internazionale e a riflettere sul rapporto uomo-natura.

La partecipazione da parte del pubblico aveva deluso attese forse troppo ottimistiche, malgrado il valore e la notorietà dei relatori invitati, e contribuì al giudizio piuttosto negativo sullo stato della Chiesa in Ticino.

Fornì anche l’occasione per puntare il dito contro alcune realtà, in primis Comunione e Liberazione, accusate di aver boicottato l’iniziativa e di essere quindi causa del suo relativo fallimento. I responsabili del movimento invece avevano seguito con attenzione le giornate di studio e nel mese di giugno Corecco faceva pervenire a Togni un articolato giudizio sull’iniziativa e soprattutto sul Rapporto[352]. Di questo gli scriventi, che si firmavano come Diaconia di CL, denunciavano l’impostazione sterilmente moralista, che scaturiva da un’etica volontarista. «L’etica deve scaturire dall’esperienza di appartenenza alla Chiesa, ricostruire un’etica (anche politico-sociale) non è far appelli morali, ma ricreare prima di tutto le condizioni di questa appartenenza alla Chiesa». Con molta chiarezza venivano indicate le riduzioni che tanto l’intervento di mons. Riboldi come i testi di Giovanni Paolo II (soprattutto la Dives in misericordia) avevano subito nel pensiero dell’autore del Rapporto, così come l’arbitrarietà con cui i campi d’intervento della Chiesa erano stati ristretti ai temi del Terzo Mondo, della natura e della pace, dimenticando ambiti come quello del lavoro, della famiglia e della cultura. All’inizio di luglio[353],Togni scriveva a Corecco per sollecitare la sua disponibilità ad entrare in una commissione teologico-pastorale, che avrebbe dovuto assisterlo nella preparazione di un programma pastorale (e dava seguito in questo modo alla sollecitazione di don Bruno Zoppi). Il vescovo sperava di poter incontrare Corecco a breve per parlarne, nel frattempo accusava ricevuta del documento della Diaconia di CL, ma preferiva non entrare nel merito, ribadendo soltanto che il Rapporto non voleva rappresentare il programma della Chiesa luganese. Corecco gli poteva rispondere solo in agosto[354]. La lettera era giunta dopo la sua partenza per il Camerun, dove aveva tenuto delle lezioni, ed in seguito aveva fatto le vacanze, tornando a Friburgo solo alla metà di agosto. La richiesta si scontrava con i crescenti impegni accademici (oltre che a Friburgo e a Milano avrebbe iniziato ad insegnare anche a Perugia) e gli appariva poco chiaro quale sarebbe stato il rapporto di questa commissione con il vescovo: «per me sarebbe imprescindibile che tu assumessi personalmente la responsabilità diretta della conduzione dei lavori della stessa. Se invece dovesse lavorare regolarmente da sola preferirei rinunciare, non avendo nessuna voglia di imbrigliarmi in discussioni che finirebbero per essere risolte con il principio formale della maggioranza, invece che a partire dai contenuti». Ma era disposto a parlarne di persona. Nel frattempo, gli premeva chiarire che, se in diocesi qualcuno era convinto che si dovesse maggiormente far ricorso a lui, questo non era un suo problema. Circa il documento sul convegno, invitava a non accusare CL: se i responsabili del movimento chiedevano di non fare del rapporto la linea programmatica della diocesi, i loro timori non erano ingiustificati, perché, sebbene il vescovo negasse che tale fosse la sua intenzione, altri che invece sembravano intenderla proprio così non erano stati smentiti; nessuno poi si era preoccupato di correggere quanti avevano addebitato ogni disfunzione del convegno alla «sorda resistenza (boicottaggio) di CL, che avrebbe il monopolio della Caritas, della pastorale studentesca e dell’Ufficio catechistico». Corecco ammetteva francamente che nessuno nell’ambiente ciellino ne era stato entusiasta, ma gli sembrava tuttavia troppo facile risolvere i problemi accusando. In quello stesso anno, nel mese di novembre, si spegneva mons. Alfredo Leber. Il vescovo Togni affidava il Giornale del Popolo alla direzione di Silvano Toppi, salutato con entusiasmo da una buona parte dell’opinione pubblica, cattolica e non, che si aspettava da lui una conduzione più professionale e più aperta.

1.6.  La preparazione del viaggio di Giovanni Paolo II in Svizzera

I contenuti attribuiti al convegno Vangelo e Società rischiavano anche di essere intesi come espressione delle «aspirazioni» che la Chiesa svizzera intendeva sottoporre all’attenzione di Giovanni Paolo II in procinto di visitare la Confederazione, per il fatto che erano i temi cari a coloro che avevano il compito di parlare in suo nome, per lo più personalità notoriamente critiche nei confronti del magistero papale. Responsabili dell’organizzazione materiale della visita, queste persone avevano modo di far spazio soprattutto alle loro istanze. Preoccupazione principale di Corecco era che il Papa potesse invece incontrare la gente, soprattutto il popolo dei credenti[355]. Questo significava non soltanto pensare le tappe del viaggio in modo da favorire la partecipazione, ma anche far conoscere più direttamente la personalità ed il pensiero del Papa. Per questa ragione, caldeggiò l’organizzazione di un convegno sull’opera poetica di Wojtyła all’università di Friburgo[356], affiancando l’impegno del Sycomore. In Ticino le comunità di CL facevano altrettanto promuovendo una serie di conferenze, sotto il titolo di Scuola di Cristianesimo, con autorevoli esponenti della cultura cristiana[357]. Il clima generale rimaneva piuttosto freddo: alla vigilia del viaggio papale, alcuni giovani adulti (giornalisti professionisti e non) chiesero ed ottennero che il settimanale ciellino Il Sabato stampasse un inserto speciale in cui davano voce a personalità delle tre regioni linguistiche che davvero attendevano la visita del Papa, con la conseguenza di far rimarcare la reticenza di tanta parte dell’ufficialità della Chiesa svizzera[358]. Corecco, che ben vedeva quanto fosse vero questo giudizio, temeva che il movimento potesse essere accusato di strumentalizzare la visita come un ulteriore fattore di divisione all’interno della Chiesa, confederata e ticinese, e tentò invano di fermare una iniziativa, per la quale i redattori avevano ottenuto il consenso di don Giussani[359].

L’episodio acuì un disagio nel rapporto tra i due, già sorto forse per le divergenze relative al tema della collocazione giuridica nella Chiesa dei movimenti in generale e di Comunione e Liberazione in particolare. Per Corecco, che vedeva il problema da canonista, questa circostanza, nel contesto della revisione del Codice, avrebbe potuto essere colta come opportunità offerta ai movimenti per definirsi, dal punto di vista istituzionale, con maggiore precisione; ma in Giussani prevaleva il timore che si finisse per imbrigliare il carisma. Proprio nel 1984, scrivendo al papa a Codi ce ormai varato[360], Corecco esternava la sua preoccupazione: egli passava in rassegna varie soluzioni possibili. Lo lasciava perplesso la possibilità di fare di CL una prelatura personale, come l’Opus Dei[361], soluzione questa che «permetterebbe di delimitare ma anche di limitare il campo della loro[dei movimenti] presenza e di influenza nella Chiesa particolare»[362]; secondo un’altra soluzione però «dovrebbero inserirsi nella pastorale diocesana, sempre più frequentemente prospettata con intendimenti centralizzanti e monistici»[363]. Egli suggeriva dunque discretamente al papa di pensare a una Carta o legge speciale: «la carta con la quale il Consilium pro laicis ha dato un quadro dottrinale ed istituzionale più omogeneo e più articolato alla famiglia di quanto non abbia fatto il Codice stesso, potrebbe essere presa come modello per i Movimenti»[364].

Amareggiato ulteriormente anche dall’episodio de Il Sabato, Corecco finì per scrivere a don Giussani per significargli le sue dimissioni da ogni responsabilità nel movimento in Svizzera. Giussani gli rispondeva, scusandosi per la preoccupazione che gli dava, ma invitandolo sostanzialmente a continuare con pazienza il dialogo ed il confronto, cercando di seguire il movimento «nell’essenza della sua intuizione e nei suoi approfondimenti» e non vedeva ragioni perché rinunciasse alla sua responsabilità[365].

Ma Corecco vedeva anche altri impegni profilarsi all’orizzonte: la salute di mons. Togni stava declinando già da quando si preparava la visita di Giovanni Paolo II (1984), l’ipotesi che desse le dimissioni si faceva concreta e si cominciava a pensare al futuro. Che Corecco fosse tra i possibili successori era voce comune. Ne fa stato anche un’amichevole missiva da Roma di mons. Gilberto Agustoni, Prelato uditore della Sacra Romana Rota[366]. Agustoni era stato sollecitato dallo stesso Corecco proprio a proposito di una sua eventuale nomina a vescovo di Lugano e, con molta franchezza, gli rispondeva: «Con l’amicizia che mi lega a te da tanti anni […] ti dirò che io non ti ho “segnalato” al Nunzio proprio perché mi è sembrato che non avrei reso un buon servizio né a te, né alla tua causa. Nel nostro piccolo ambiente tu sei uomo di parte che ti renderebbe estremamente difficile il ministero pastorale, anche se possiedi tutti i numeri. Perciò neppure mi auguro che la tua candidatura passi. Questo non toglie che se diventi vescovo di Lugano egoisticamente ne godrei moltissimo. […] Per te esiste il grande pericolo di essere scelto ad personam dall’Altissimo: il che sarebbe ancora una complicazione per l’intendimento della nostra gente». Con questa ultima osservazione mons. Agustoni alludeva all’amicizia personale che ormai univa Corecco a Giovanni Paolo II.

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[311] Per la prevedibile successione di Martinoli; cfr. anche in ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: 7 marzo 1978: la lettera che accompagna i pareri sollecitati dal Nunzio su possibili candidati all’episcopato, nella quale Corecco invita ad una più ampia consultazione del clero ed ad una maggiore trasparenza.

[312] HS I/6, 271: vescovo dal 1978 al 1985, quando si dimette per motivi di salute.

[313] Rapporto al Consiglio del Clero sugli studenti di teologia appartenenti al movimento ecclesiale “Comunione e Liberazione”, 4 febbraio 1979, in ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984; anche in AVescLugano, Fondo Consiglio del Clero.

[314] Ibid.

[315] Monitore ecclesiastico (1979) 257.

[316] AVescLugano, Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco: 18 luglio 1979, lettera a mons. Togni.

[317] Ibid. : copia della lettera del 18 luglio 1979 con l’annotazione di Togni: discusso insieme con don Corecco il 5 agosto 1979.

[318] Così ricorda don Patrizio Foletti, diretto interessato della questione, essendo allora seminarista.

[319] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: così l’origine della vicenda in una lettera al vescovo del 9 ottobre 1981.

[320] «Medici Cattolici» è il nome di un’associazione di medici, che si andava proprio allora costituendo, cfr. ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1985-1990: lettera del 31 settembre 1985 di Elisabetta Meier, medico, che sottoponeva gli statuti della nascente associazione a Corecco; ibid. : lettera del 4 ottobre 1985, la risposta di Corecco con le sue osservazioni.

[321] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1985-1990: lettera del 1° ottobre 1985; si tratta probabilmente di don Egidio Madaschi, prevosto di Bedigliora, che gestiva la Fondazione Silvio Cattaneo, fondata nel 1953 per aiutare i giovani del Malcantone in campo educativo (cortese comunicazione di Davide Adamoli, collaboratore scientifico dell’Archivio vescovile di Lugano).

[322] Si veda solo la cordiale adesione al Pellegrinaggio europeo della pace del 1983, che fece un’importante tappa ad Einsiedeln.

[323] Testimonianza della dott.sa Consuelo Morresi-Guffi, Breganzona, allora studentessa di medicina a Losanna (Breganzona, ottobre 2018).

[324] Memorabili le retrospettive dedicate a Besson e a Tarkovski, cfr. Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco, Classatore nr. 11.

[325] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco, Classatore nr. 11: 1-2.5.1976, Sexualité, amour et vocation chrétienne. Alla lezione fece seguito un’assemblea.

[326] Cfr. le sue considerazioni in Savorana, Vita di don Giussani , 1049; e anche l’intervista a Nathalie Frieden, febbraio 2015.

[327] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco, Scat. nr. 1: presentazione del suo libro

[328] sociales: essai sur l’origine des courants sociaux contemporains , Fribourg 1982.328 La redazione del Sycomore non faceva capo a Corecco, ma a don Bruno Ognibeni, prete milanese che completava a Friburgo gli studi di esegesi in vista della carriera accademica.

[329] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco: Classatore nr. 10: la lista dei candidati di CL alle elezioni universitarie per l’anno accademico 1986/87; ma cfr. anche ibid. , Scat. 1: il volantino Pour une vie universitarie plus vraie et plus créative , gennaio-febbraio 1979, il volantino del 21.05.1980, critico sui bisogni degli studenti e sulla giornata di riflessione che l’università ha dedicato a questo tema; e anche la lettera di invito ad una maggiore presenza in università del 23 giugno 1981.

[330] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco, Scat. Sycomore 2: inizia nel 1988.

[331] Ibid. , Scat. Sycomore 1: «Lo Spaghetto» inizia nel 1991.

[332] Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco, Classatore nr. 6: lettera del 7 agosto 1975. L’invito venne raccolto ed in seguito diverse coppie si sposarono nel corso di una stessa cerimonia.

[333] È il caso di Carlo ed Alessandra Foletti, che nel 1979 erano in Ecuador, e di Jürg e Nathalie Frieden in Messico nel 1983, cfr. Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco, Scat. 2.

[334] Si veda in particolare la testimonianza di padre Mauro Lepori (Rimini, 20 agosto 2012); cfr. M. G. Lepori, Pastore dal cuore integro , in Bollettino Amici 10/XVIII (dicembre 2014) 73-85.

[335] Così Fausto Leidi (Lugano, classe 1951), studente di economia a Friburgo dal 1971, che abitò appunto con lo studente calabrese (intervista con Antonietta Moretti, 14 febbraio 2017).

[336] Così Moreno Bernasconi, giornalista allora studente di lettere (intervista raccolta da Alberto Gandolla, Lugano, 20 aprile 2017).

[337] Ibid.

[338] Ibid.

[339] Cfr. F. Leidi – R. Poretti, L’emigrato uno sradicato sociale , Seminario di sociologia presentato al prof. R. Lucchini, Friborgo, 1.6.1974 (ms presso Fausto Leidi, Lugano).

[340] Cfr. «Bozza per una valutazione della scuola serale per emigrati 75/76» (ms presso Fausto Leidi, Lugano): i riferimenti a testi controcorrente circa il Risorgimento italiano, come N. Zitara, Unità d’Italia, nascita di una colonia , Milano 1971, edito da Jaca Book.

[341] Cfr. oltre alla «Bozza per una valutazione della scuola serale per emigrati 75/76», anche «Valutazione critica dei corsi serali di scuola media 75/76 e qualche spunto per l’anno venturo» (ms presso Fausto Leidi, Lugano).

[342] Fondazione Migrantes, La Chiesa di fronte al problema delle migrazioni. In memoriam di S. E. Mons. Eugenio Corecco , pubblicazione omaggio in occasione del Congresso internazionale in memoria di S. E. mons. Eugenio Corecco Per una convivenza tra i popoli, Migrazioni e Multiculturalità , Lugano 28 febbraio-2 marzo 2002.

[343] Cfr. la presentazione delle attività in «Un centre suisses-immigrés à Fribourg», s.

[344] ma databile al 1978 o 1979 (ms presso Fausto Leidi, Lugano). Il centro era affidato a Moreno Bernasconi.344 Così nell’intervista di Fausto Leidi (Lugano, 15 febbraio 2017), che ricorda in particolare il concerto de Il canto perseguitato.

[345] Cfr. anche il volantino distribuito in università Nous proposons à tous les groupes …, s.

[346] ma riferito all’iniziativa del 1981 (ms presso Fausto Leidi, Lugano).346 ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1979; cfr. anche Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco: copia della lettera accompagnatoria di Corecco annotata di pugno dal vescovo Togni: discusso insieme con don Corecco il 5 agosto 1979.

[347] AVescLugano, Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco: 23 marzo 1982.

[348] In https://it.wikipedia.org/wichi/Gianni Danzi (consultato 8 settembre 2018).

[349] Cfr. a.l. (a cura di), Giudizi critici sul nuovo Codice canonico , in Dialoghi 76/XVI (aprile 1983) 13s.: in particolare il giudizio di Giancarlo Zizola, che paragona il magistero di Paolo VI, saldamente monarchico ma aperto al mondo, a quello di Giovanni Paolo II, che considera il mondo esclusivamente come un campo di missione.

[350] Giornale del Popolo, 16 maggio 1983, 6: servizio di Gianni Ballabio.

[351] Dialoghi 77/XVI (giugno 1983) 3s.

[352] ACorecco Lugano, Corrispondenza: 16 giugno 1983.

[353] Ibid. : 8 luglio 1983; cfr. anche AVescLugano, Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco.

[354] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: 29 agosto 1983; cfr. anche AVescLugano, Fondo Vescovi, Scat. Mr. Corecco.

[355] Queste le considerazioni di Corecco in una lettera a mons. Stanisław Dziwisz del 16 febbraio 1984, dove critica ad esempio il fatto che la visita sia mantenuta entro il perimetro dei cantoni cattolici, mentre la maggior parte dei credenti, costituita da operai immigrati, vive altrove, in ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984.

[356] Ibid. ; e Archivio di CL Lugano, Fondo Corecco, Classatore nr. 11: copertina di un nr. del Sycomore, dedicato a Giovanni Paolo II.

[357] Vennero ad esempio a Lugano André Frossard, mons. Joseph Römer, vescovo ausiliario di Brasilia, Jerôme Lejeune, il card. Paulo Evaristo Arns.

[358] Cfr. sotto, cap. IV, n. 419: la lettera dei Vescovi svizzeri, preoccupati per il clima polemico dei giorni che precedevano la visita.

[359] Cfr. Il Sabato, inserto speciale nel numero dell’8 giugno 1984.

[360] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984, lettera a mons. Dziwisz del 16 febbraio 1984, che accompagna una lettera personale a Giovanni Paolo II, con la stessa data.

[361] Istituita con la Costituzione apostolica Ut sit del 28 novembre 1982, unica nel suo genere nel campo del diritto canonico. Tale passo aveva suscitato una certa polemica, alla quale aveva contribuito con un articolo anche Winfried Aymans, Die ganze Welt als Diözese für das Opus Dei? , in Frankfurter Allgemeine 20, 13 dicembre 1979. Corecco sconfessava però gli argomenti di Aymans; cfr. I movimenti nella Chiesa negli anni ’80 , 233s., n. 43.

[362] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984, lettera a mons. Dziwisz del 16 febbraio 1984.

[363] Ibid.

[364] Ibid.

[365] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1985-1990: lettera da Stresa, 6 settembre 1985.

[366] Ibid. : lettera del 24 settembre 1985.

Il prete che, negli anni Ottanta, prendeva parte in modo così appassionato alle vicende delle comunità del movimento in Svizzera ed ai problemi della piccola diocesi ticinese, che collaborava generosamente all’apertura della riflessione teologica sulla natura e sul ruolo dei movimenti nella Chiesa, non era più solo un giovane canonista della Scuola di Monaco, bensì un professore dal profilo scientifico in rapida crescita.

1.1.  Il convegno di Pamplona

Nel 1976 la Consociatio organizzava a Pamplona il suo primo convegno, su La norma nel Diritto canonico[367]. A Corecco, ora professore ordinario all’università di Friburgo, venne affidata una relazione su L’atto «contra legem». Era l’occasione per esplicitare le difficoltà suscitate da questo tema, che, per il canonista svizzero, rivelavano la necessità di approfondire un fondamento metodologico del diritto canonico, che non relegasse la teologia al ruolo di «recinto», entro il quale il diritto si muoveva in modo autonomo[368]. Corecco criticò apertamente la scuola italiana per errori che conseguivano al fatto di «trattare l’ordinamento canonico alla stregua di quelle realtà giuridiche […] che nella scienza moderna passano sotto la denominazione di ordinamenti giuridici primari» e «trovano il loro momento genetico nella filosofia moderna la quale […] ha progressivamente escluso ogni possibilità di ricorso ad una istanza trascendente»[369]. A partire dalla sua convinzione sui suoi fondamenti teologici, sosteneva che l’ordinamento giuridico ecclesiastico si riferiva strettamente alla missione della Chiesa e poteva quindi assolvere un compito limitato. Non doveva, né poteva, regolare completamente tutte le relazioni sociali degli uomini o dei fedeli (e collaborare così alla realizzazione dei loro diritti). Ne conseguiva che il sistema giuridico della Chiesa avrebbe dovuto essere «concepito esclusivamente come ordinamento ecclesiale cioè come diritto interno della Chiesa cattolica, abbandonando una funzione di supplenza del diritto statuale, che gli era stata attribuita largamente soprattutto nel sistema giudiziario medievale»[370]. Grande valore avevano ai suoi occhi le caratteristiche di flessibilità della concezione giuridica delle Decretali[371], che si focalizzavano nel principio dell’epikeia (ovvero quello dell’equità, che limita l’applicazione della norma), che a suo giudizio rivestiva un ruolo centrale e non solo relativo alle eccezioni[372]. «La differenza con gli ordinamenti statali non potrebbe essere più radicale. Ciò fa capire che una riflessione sulla natura teologica del Diritto canonico non può essere derivata dal diritto secolare, ma deve rimanere metodologicamente autonoma. Il diritto secolare resta solo un punto di riferimento analogico a posteriori. Se queste affermazioni relativizzano il principio della certezza del diritto [del giudicato, in questo contesto], non relativizzano affatto quello della normatività del Diritto canonico, al quale per altro il concetto stesso di “diritto” non è applicabile univocamente. Il Diritto canonico deriva la sua pretesa di essere vincolante, in ordine al destino dell’uomo, dall’autorità della Parola e del Sacramento che, garantite nella loro oggettività dalla Successione Apostolica, costituiscono la realtà inter-soggettiva della comunione nella quale e attraverso la quale si realizza la salvezza storico-ecclesiale ed escatologica del cristiano. È una giuridicità che più di ogni altra ha forza vincolante perché profondamente radicata nella normatività stessa del cosiddetto diritto divino»[373]. L’uditorio reagì a questa impostazione con grande sorpresa e, da parte di alcuni, con «una quasi risentita contestazione»[374]: lo si accusò di indebolire la presenza della Chiesa nella società e di rendere soggettiva l’osservanza delle sue norme. Corecco avrebbe dovuto ribadire a più riprese che il diverso fondamento che egli poneva era quanto mai solido: «non esiste infatti realtà più fortemente vincolante e imperativa del fatto che Dio si manifesti agli uomini attraverso la concretezza storica della Chiesa (…) Il Diritto canonico ha una forza vincolante tanto più grande rispetto al Diritto secolare quanto più è profondamente radicato nella normatività del ius divinum non primariamente naturale, ma positivo, cioè della Rivelazione»[375]. Egli aveva colto la possibile consonanza tra i principi della scuola di Monaco e l’ecclesiologia conciliare, espressa ad esempio nel decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius, ed egli riassunse la novità da lui proposta con la formula piuttosto provocatoria della ordinatio fidei, chiamata a sostituire la precedente ordinatio rationis[376], quale fondamento del diritto canonico. Non si trattava evidentemente di sconfessare la razionalità umana, ma di riconoscere che la ordinatio rationis formulata da Tommaso d’Aquino era nata in una società cristiana, che concepiva la ragione in un solo modo, cioè illuminata dalla fede[377], mentre la società del XX secolo non era più cristiana e la ragione era ora concepita illuministicamente svincolata dalla fede, la quale ora non era più una luce, ma piuttosto un oscuramento della luce razionale[378]. Liberato a sua volta dalla dipendenza dai fondamenti del diritto civile e statuale, il diritto canonico poteva così non solo applicarsi al dinamismo proprio di quella particolare società umana e divina che è la Chiesa, ma anche porre al centro l’antropologia cristiana ed il concetto di salvezza, che non è solo escatologico ma anche pienamente calato nel presente sociale e civile. In realtà all’esplorazione del diritto canonico si dischiudeva un campo immenso ed affascinante, quello aperto dalla Redenzione di Cristo, quello di una vita umana redenta e salvata nelle sue più profonde aspirazioni. Basti pensare alla communio, che è il concetto centrale della vita della Chiesa, in cui interesse dell’individuo ed interesse della comunità non solo non si contrappongono, ma addirittura si integrano. Focalizzando il compito del diritto canonico, ad esempio, nel definire e garantire le condizioni della validità dei sacramenti (cioè della presenza sacramentale ed efficace del Signore), Corecco lasciava alla libertà ed alla responsabilità del credente il compito di plasmare la realtà secondo la luce di questa salvezza presente. Al di là delle ingenue interpretazioni, che tanta popolarità ebbero anche presso i giovani cattolici ticinesi in cerca di autenticità degli anni ’60/’70, il concetto di Chiesa povera si approfondiva qui nell’affermare il saldo fondamento dell’essenziale e nell’umile ascolto delle conseguenze pratiche di questo fondamento. Era attorno a questa esperienza di umanità redenta che gli studiosi di diverse scuole potevano collaborare ed era questa esperienza di umanità redenta che poteva entrare in vero dialogo non tanto con le risposte quanto piuttosto con le domande, a cui le ideologie avevano preteso di rispondere, coprendo con la violenza il proprio fallimento.

1.2.  Il convegno di Friburgo

Dopo l’intervento a Pamplona, iniziò tra le cosiddette scuole di diritto canonico un più profondo dialogo, in cui emergevano non tanto e non solo le qualità intellettuali di Corecco, ma soprattutto la sua passione per la libera ricerca della verità ed il desiderio di servire la Chiesa[379]. Il prestigio della sua figura accademica era in ascesa, anche all’interno della Consociatio, tanto che gli venne affidato il compito di organizzare il convegno successivo a quello di Pamplona. A Friburgo, nel 1980, si parlò dei Diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società. Di nuovo emerse l’originalità del suo pensiero e soprattutto la libertà, che il radicamento nella fede gli permetteva di avere, di fronte al pensiero dominante. Nell’ampia relazione conclusiva di questo importante convegno, raccogliendo l’insegnamento dei numerosi contributi ed affrontando come sempre il tema del fondamento e del metodo, Corecco si chiedeva: «Chi è allora il canonista? Il canonista si contrappone al giurista perché è teologo, in quanto opera in forza della fides qua e della fides quae creditur. Si distingue dal teologo sistematico poiché il suo oggetto materiale di conoscenza non è il mistero cristiano nella sua globalità, bensì le implicazioni istituzionali dello stesso, vale a dire il ius divinum positivum da cui deriva il ius humanum canonicum. Il canonista si occupa della realtà che nella cultura umana universale ha preso il nome di diritto (invece che di etica o arte), ma che all’interno del mistero della salvezza ha assunto una natura diversa rispetto al diritto secolare e allo stesso ius divinum naturale della tradizione filosofica cristiana che, giova ricordarlo come ha fatto Pedro Lombardía[380], non è il diritto naturale dello stato di giustizia originale, ma quello dello stato di natura dopo il peccato. Infatti, il diritto canonico non si occupa della giustizia degli uomini, ma della giustizia di Dio, della giustizia rivelata che si manifesta, come ha mostrato Jean Beyer[381], nella Communio cum Deo et hominibus[382]. In quale rapporto sta la giustizia umana con quella rivelata? Come derivare un’applicazione pratica coerente dai presupposti gnoseologici condivisi da tutti? Al pari di altri teologi che, nei loro campi, possono cedere ai presupposti culturali del loro tempo, anche il canonista può lasciarsi determinare, magari inconsapevolmente, dai princìpi ultimi della giustizia umana più che da quelli della giustizia di Dio. […] Esistono oggi diversi accenti nel modo di coltivare la scienza del diritto canonico. Di ciò dobbiamo tenere conto, ma dobbiamo anche riconoscere che esistono punti fermi qualificanti. La svolta in atto oggi nella scienza canonistica domanda di saper usare un’applicazione più coerente del metodo teologico, senza il falso timore di svuotare la norma canonica della sua forza giuridica vincolante, o ancora peggio, della sua natura. Nulla è più vincolante della giustizia di Dio. La funzione delle diverse scuole non è quella di opporsi aprioristicamente, ma di essere complementari»[383]. E ancora: «In merito alla giustizia di Dio, Soban´ski[384] ha dato un notevole contributo attirando l’attenzione sul fatto che i suoi contenuti non sono quelli della giustizia naturale, ma quelli delle tre virtù: fede, speranza, carità […]. Se il canonista dovesse rinunciare a priori al compito di cogliere la dimensione giuridica dei valori fondamentali, fede speranza e carità, dai quali derivano tutti gli altri, saremmo costretti ad inchinarci davanti a Sohm che ha teorizzato l’impossibilità di sradicare dall’esperienza cristiana […] l’antinomia tra diritto e carità, che impedisce al christifidelis contemporaneo di vivere un’esperienza di unità della sua persona nella Chiesa»[385]. Dopo aver approfondito le difficoltà che lo stesso termine di «fondamentalità» pone nell’ordinamento canonico[386], Corecco passa a parlare della communio, concetto divenuto tra i più fluidi ed ambigui: «nella concezione del Vaticano II essa nasce dal fatto che la Chiesa esiste concretamente solo nella misura in cui si realizza nelle Chiese particolari e dal fatto che essa, in quanto realtà concreta – non solo ideale o astratta – è costituita a sua volta dalle Chiese particolari. […] la formula in quibus et ex quibus della LG 23,1 coglie il mistero della Chiesa nella sua essenza istituzionale»[387]. La dinamica strutturale della communio permane anche quando si passa all’antropologia teologica: «la personalità del cristiano, in quanto uomo nuovo […] è determinata dalla comunione. La sua identità metafisica e giuridica è data dal fatto che in forza del battesimo l’uomo è stato radicato strutturalmente, e non solo dal profilo etico, nel Cristo. Il cristiano rappresenta il Cristo perché in lui è presente tutto il Cristo con il suo Corpo Mistico. Il cristiano non può perciò essere concepito come entità individuale contrapposta a quella collettiva, ma come soggetto al quale tutta la comunità dei cristiani è misteriosamente, ma realmente, immanente»[388]. E lo stesso cambiamento di significato vale anche per il rapporto con l’Autorità: «non esiste più come rapporto di polarità concorrenziale»[389]. Venendo ai diritti, Corecco si chiede se non convenga capovolgere il problema, ribaltando il rapporto tradizionale tra «diritto-dovere» in «dovere-diritto», tanto più che anche i cataloghi progettati per il nuovo codice (la Lex fundamentalis) alternano i due valori[390]. A suo avviso, nella Chiesa gli obblighi precedono i diritti, infatti il fedele diventa tale grazie al battesimo e si assume l’obbligo di vivere la comunione, che è la base su cui, nella Chiesa, si fonda anche il diritto; solo nella società, dove il diritto è basato sulla giustizia, la persona gode di diritti fondamentali[391]. Deve però essere chiaro che la negazione della fondamentalità dei diritti non significa negazione dei diritti. Egli annota però che lo sforzo della LEF di cogliere la specificità dei diritti del cristiano rispetto ai diritti naturali ha prodotto delle clausole volte più che altro a salvaguardare la posizione della gerarchia[392], inoltre «il modello della LEF coglie il mistero della Chiesa a livello di elementi ecclesiologici non primari, ma derivati»[393]. Altrettanto poteva dire della sempre presente «preoccupazione per i poveri»[394]. Ma quale rapporto esiste dunque tra i diritti naturali ed i diritti del cristiano nella Chiesa? Lo stesso rapporto che c’è tra natura e soprannatura e, ben sapendo che questa è la crux theologorum[395], ricorda che gratia perficit, non destruit naturam[396]. «La natura non produce la grazia, la grazia presuppone l’esistenza di una natura, quella dello status peccati originalis, sufficientemente sana per essere capace di offrire il supporto necessario affinché la grazia non diventi una sovrastruttura alla storia ma la possa penetrare trasformandola […]. Il paradigma del rapporto tra diritti naturali e diritti del cristiano nella Chiesa appare del resto in modo evidente nel diritto alla libertà di coscienza. Esso non è applicabile come diritto fondamentale del cristiano nella Chiesa, tuttavia costituisce il presupposto naturale senza del quale neppure la Chiesa potrebbe costituirsi»[397]. Dunque alla domanda se i diritti naturali siano validi anche per il cristiano nella Chiesa, Corecco risponde ad un tempo sì e no. Un sì perché i diritti naturali sono un limite ed una condizione previa perché la communio possa realizzarsi, un no perché in quanto espressione di valori non soprannaturali non sono di per sé capaci di generare la communio ecclesiae et ecclesiarum in quanto tale. Un sì perché la Chiesa […] «potrebbe ritenere necessario ricorrere ad essi per provocare una riflessione più profonda sulla natura dei diritti del cristiano; un no perché la loro funzione può essere considerata solo come provvisoria e interlocutoria, più che sussidiaria, in attesa che i cristiani recuperino totalmente nella fede, nella speranza e nella carità i valori ed i criteri che dovrebbero determinare la specificità della loro esperienza ecclesiale»[398]. Al termine del convegno Eugenio Corecco fu eletto vice-presidente della stessa Consociatio.

1.3.  Decano a Friburgo: tra la teologia della liberazione e la revisione del CIC

Quello stesso anno, Corecco era anche decano della Facoltà di teologia. Per l’ambiente accademico erano momenti turbolenti. L’insegnamento era chiamato senz’altro ad un cambiamento, i cui termini erano però assai confusi. In parte la Facoltà di teologia condivideva i problemi generati ovunque dall’onda lunga delle contestazioni sessantottine e, particolarmente per la teologia, si trattava di continuare ad affrontare la lunga sfida dei nuovi metodi di ricerca. Dopo il confronto con il Modernismo all’inizio XX, che l’autorità ecclesiastica aveva cercato di arginare soprattutto con divieti, si era posto quello con il metodo storico-critico. Applicato talvolta senza la necessaria competenza, questo metodo aveva finito per separare la fede dalla ragione e rinchiudere l’una e l’altra in ambiti incomunicabili tra loro, con conseguenze deleterie per coloro che si accostavano alla teologia perché chiamati alla vocazione sacerdotale; questi giovani, seminaristi e sacerdoti, non potendo più trovare nello studio alimento per la loro vita e vocazione, erano condannati ad un dualismo logorante[399]. Altra conseguenza dell’indiscriminata applicazione di questo metodo era di fatto lo sradicamento di ogni significato dell’obbedienza all’autorità ecclesiastica e l’inclinazione ad adottare principi di analisi provenienti da una visione del mondo e dell’uomo che non avevano nulla da spartire con il Cristianesimo. Erano nate così alcune ideologie, di cui la più diffusa era la teologia della liberazione[400]. Tra i «dissidenti» svettava la figura di Hans Küng , che influenzava largamente l’ambiente teologico svizzero, soprattutto quello di lingua tedesca, inclusa la sezione germanofona della Facoltà teologica di Friburgo la quale, a 15 anni di distanza, ancora risentiva degli effetti del «caso Pfürtner»[401].

Dal profilo istituzionale, nel corso delle agitazioni del ’68, gli studenti dell’ateneo friburgense avevano ottenuto di poter esercitare un certo ruolo nella nomina dei professori. Di questa facoltà approfittavano ora soprattutto alcuni cattedratici e quadri intermedi, che manovravano gli umori studenteschi per favorire i propri candidati o impedire la conferma di colleghi poco graditi. Fatto questo assai rilevante perché la Facoltà aveva proceduto a numerose nomine: il numero del personale docente e dei quadri intermedi era triplicato, passando da 16-20 unità a 60. La presenza dei Domenicani, a cui erano state affidate le Facoltà di teologia e di filosofia e che, fino al 1978, avevano coperto la maggior parte delle cattedre, si era indebolita ed i Padri Predicatori costituivano solo un terzo del personale docente. In questo stato di cose, anche l’incidenza reale del Gran Cancelliere, che per obbligo statutario era il Generale del loro Ordine, era diminuita[402].

Nel corso del suo biennio di decanato, Corecco avrebbe anche dovuto, assecondando la richiesta della Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica, provvedere alla riforma degli statuti, più volte ritoccati a vantaggio degli studenti, forse con poco ordine e lungimiranza. Dato il clima teso e confuso, egli aveva preferito chiedere una proroga, rinviando l’importante riforma a tempi migliori[403]. Mentre concludeva il suo mandato, per la Facoltà di teologia si profilava un ennesimo incidente, legato al conferimento nel 1981 di un dottorato honoris causa al prof. Enrique Dussel, che quell’anno aveva tenuto dei corsi, come professore invitato. La decisione era stata presa trascurando l’obbligo di consultare la Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica e senza considerare che il Dussel rivestiva un ruolo importante nella filosofia ed anche nella teologia della liberazione. Da Roma si sollecitava quindi la Facoltà a revocare la sua decisione. Corecco ne scriveva a mons. Francesco Marchisano, Sottosegretario di detta Congregazione, nel tentativo – riuscito – di evitare decisioni che avrebbero aggravato il clima di dissenso ed offerto il fianco ad ulteriori accuse di violazione della libertà nell’insegnamento[404]. Le stesse considerazioni, in tono più formale, le faceva pervenire al Nunzio in Svizzera mons. Ambrogio Marchioni[405]. Soprattutto a Marchisano, Corecco spiegava chiaramente che la Facoltà di Friburgo altro non era se non lo specchio dei problemi e delle confusioni che dominavano la Chiesa in Svizzera e che qualunque intervento meramente disciplinare altro non avrebbe fatto se non aumentare distanze ed incomprensioni, già emerse in occasione della preparazione del viaggio che, nel giugno del 1981, Giovanni Paolo II avrebbe dovuto fare nella Confederazione, viaggio che fu poi rinviato di tre anni a seguito dell’attentato del 13 maggio. In effetti, si riuscì a contenere lo scandalo: la Congregazione si accontentò di chiedere che il dottorato honoris causa di Dussel non venisse iscritto nell’apposito registro e che la Facoltà rinunciasse per due anni a conferire tale onorificenza[406]. La preoccupazione di Corecco per la formazione teologica dei seminaristi era però profonda e condivisa, al punto che nel 1983, insieme a Christoph von Schoenborn op e ad altri, mise a punto un progetto di Seminario europeo, da offrire a quei vescovi che erano insoddisfatti dell’offerta delle Facoltà teologiche[407]. Il progetto aveva il sostegno delle autorità romane, ma era forse troppo avveniristico e non si realizzò, proprio per la mancanza di consenso da parte dei vescovi. Ma non è difficile intravedervi l’anticipo di quello che sarà l’Istituto teologico, poi Facoltà di teologia, di Lugano[408]. Sia il periodo della preparazione del congresso di Friburgo sia il periodo che ne seguì videro anche l’incremento degli impegni di Corecco, soprattutto della collaborazione con l’Università Cattolica di Milano, particolarmente sollecitata alla riflessione sul diritto canonico dalla revisione concordataria del 1984, di cui molto si discuteva in Italia[409], e dove sarebbe stato chiamato a sostituire Ombretta Fumagalli Carulli, ordinaria di Diritto canonico, nel biennio 1985-1986. Nel 1983 Corecco aveva iniziato un insegnamento anche a Perugia[410].

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[367] Pamplona, 10-15 ottobre 1976.

[368] E. Corecco , Valore dell’atto “contra legem ” , in G. Borgonovo – A. Cattaneo (a cura di), Ius et Communio , vol. I, Lugano-Casale Monferrato 1997 (d’ora in poi Ius et Communio ), 226.

[369] Corecco , Valore dell’atto “contra legem ” , cit. in Feliciani, Esperienze canonistiche , 14

[370] Così in L. Gerosa – L. Müller (hg.), Ordinatio fidei . Schriften zum kanonischen Recht , Paderborn 1994, 54, dove si cita Corecco , Valore dell’atto “contra legem ” , 231.

[371] Corecco , Valore dell’atto “contra legem ” , 231.

[372] Ibid. , 235s.: significato dell’elasticità del Diritto canonico.

[373] Ibid. , 233s.

[374] Così Feliciani, Esperienze canonistiche , 14, che riferisce un commento dello stesso Corecco , pronunciato una ventina d’anni dopo.

[375] E. Corecco , Il problema dell’unità del diritto nel pensiero filosofico antico e cristiano , in

[376] Fumagalli Carulli, Società civile e società religiosa di fronte al Concilio , Milano 1980, 53s., cit. in Ius et Communio , vol. I, 39.376 Cfr. su questo E. Corecco , “ Ordinatio Rationis ” o “ Ordinatio Fidei ”? Appunti sulla definizione della legge canonica , in Communio 36 (1977) 48-69; la centralità riassuntiva di questo concetto emerge almeno dalla raccolta di scritti corecchiani Ordinatio fidei . Schriften zum kanonischen Recht ; e cfr. anche R. Astorri, Ordinatio rationis e ordinatio fidei . La ricerca di un nuovo approccio al concetto di legge , in Il Diritto Ecclesiastico 3-4/CXVII (luglio-dicembre 2016) 293-306.

[377] Così in Ordinatio fidei . Schriften zum kanonischen Recht ; e cfr. anche E. Corecco , Considerazioni sul problema dei diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società , in I diritti fondamentali del cristiano , 1207-1234, 1214s.

[378] Sul dramma della separazione (fino alla contrapposizione) tra fede e ragione, interverrà Giovanni Paolo II con l’enciclica Fides et ratio (1998), nr. 45 e 46; e cfr. ancora le considerazioni di Astorri, Ordinatio rationis e ordinatio fidei . La ricerca di un nuovo approccio al concetto di legge.

[379] Così nel ricordo di Illanes , Maestro di scienza e di vita cristiana: l’esempio di un vero pastore , 69-375.

[380] Cfr. P. Lombardía , Los derechos fundamentales del cristiano en la Iglesia y en la sociedad , in I diritti fondamentali del cristiano , 15-31.

[381] J. Beyer, La communio comme critère des droits fondamentaux , in I diritti fondamentali del cristiano , 79-94.

[382] E. Corecco , Considerazioni sul problema dei diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società , in I diritti fondamentali del cristiano , 1207-1234, 1215s.

[383] Ibid. , 1216.

[384] Ibid. : cit. da R. Soban´ski , Die methodologische Lage des katholischen Kirchenreschts , in Archiv für katholisches Kirchenrecht 147 (1978), spec. 360-376.

[385] Corecco , Considerazioni sul problema dei diritti fondamentali del cristiano , 1217.

[386] Ibid. , 1219: «Il concetto di fondamentalità è correlativo alla funzione che i diritti dell’uomo acquistano all’interno del sistema costituzionale dello Stato moderno. In campo ecclesiale potrebbe essere più corretto perciò non definire i diritti del cristiano come diritti fondamentali, ma eventualmente come diritti primari o semplicemente come diritti».

[387] Ibid. , 1223s.: il rinvio alla felice immagine balthasariana de «il tutto nel frammento».

[388] Ibid. , 1224.

[389] Ibid.

[390] Ibid. , 1225.

[391] Per una recente sintesi su questo che è uno degli aspetti più caratteristici dell’in segnamento corecchiano , cfr. A. Kaptijn , Il nome di Corecco è sempre attuale , in Bollettino Amici 11/XX (settembre 2016) 86-89.

[392] Corecco , Considerazioni sul problema dei diritti fondamentali del cristiano , 1227.

[393] Ibid. , 1227s., con il riferimento a E. Corecco , Prospettive per la Lex Ecclesiae Funda mentalis e la revisione del Diritto Canonico nel Documento di Puebla , in Il Diritto Ecclesiastico 1 (1980) 3-23, in cui coglie il fatto che questo documento ha saputo affrontare il problema ecclesiologico ad un livello più fondamentale.

[394] Al centro dell’intervento di Boff: cfr. L. Boff, Los derechos fundamentales del hombre en la prospectiva latinoamericana , in I diritti fondamentali del cristiano , 835-842; in proposito Corecco osserva che «il diritto del povero nella Chiesa dovrebbe essere quello di poter

[395] pienamente alla comunione dei beni. Criterio che dovrebbe essere considerato come l’unico, autenticamente cristiano, di possesso patrimoniale», cfr. E. Corecco , Consi derazioni sul problema dei diritti fondamentali del cristiano , 1233.395 E. Corecco , Considerazioni sul problema dei diritti fondamentali del cristiano , 1228.

[396] Ibid. , 1231.

[397] Ibid. , 1231s.

[398] Ibid. , 1233s.

[399] R. Roux, Eugenio Corecco e i 25 anni della FTL , in Bollettino Amici 12/XXII (settembre 2018) 29-40.

[400] Ibid.

[401] Domenicano, professore di teologia morale dal 1966 al 1974, nel 1972 aveva preso le distanze dall’enciclica Humanae Vitae di papa Paolo VI ed aveva ricevuto un ammonimento da Roma. Sospeso dall’insegnamento nel 1974, lasciava l’università ed anche l’ ordi ne per sposarsi con la dottoressa Irmgard Bloos .

[402] Sono considerazioni che Eugenio Corecco scrive a mons. Francesco Marchisano , Sottosegretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, in una lettera del 15 marzo 1982, in ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984.

[403] Ibid.

[404] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: lettera del 15 marzo 1982.

[405] Ibid. : 13 marzo 1982.

[406] Ibid. : risposta di mons. Francesco Marchisano , 24 luglio 1982

[407] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 19731984.

[408] Cfr. Roux, Eugenio Corecco e i 25 anni della FTL , 2940.

[409] Il nuovo concordato sarà sottoscritto nel 1985, per le discussioni, anche polemiche, intorno a questa lunga revisione e per il contributo di Corecco ; cfr. O. Fumagalli Carulli, La ricerca canonistica di Eugenio Corecco . Bilancio e prospettive a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II , in Bollettino Amici 10/XVIII (dicembre 2014) 59-66.

[410] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: 29 agosto 1983, lettera a mons. Ernesto Togni, vescovo di Lugano.

Frattanto erano in dirittura d’arrivo i lavori per la revisione del Codice. L’impresa mostrava aspetti fortemente deludenti, sui quali Corecco non si stancava di tornare, fosse anche soltanto per il fatto che nessun passo era stato fatto per attribuire una collocazione giuridica ai movimenti nella Chiesa. La sua preoccupazione costante però, come già nel 1981 e come di nuovo sarebbe emerso in occasione della preparazione della visita di Giovanni Paolo II in Svizzera nel 1984, era quella delle ombre che le carenze del Codice avrebbero potuto gettare sul magistero del Papa, da tempo sottoposto a virulente critiche. Era stata senz’altro questa la ragione per cui, fin dalla Pasqua del 1981, insieme a Giuseppe Alberigo, cui si deve l’iniziativa, e con Jean-Marie Tillard, aveva indirizzato al papa una lettera aperta, poi sottoscritta da un certo numero di teologi e canonisti, in cui si esplicitavano le critiche al nuovo Codice, ovvero l’accentuazione della concezione gerarchica e clericale della Chiesa, la limitata attenzione riservata ai diritti e doveri dei fedeli, la mancanza di unità della sistematica e la scarsa integrazione dell’elemento giuridico con l’elemento teologico nell’ultimo «schema» del 1980[411]. È probabile che queste osservazioni abbiano attirato l’attenzione di Giovanni Paolo II, che l’avrebbe poi chiamato a far parte della commissione ristretta per l’ultima revisione. All’oscuro di questa intenzione, nel mese di aprile del 1982 da Berkeley in California[412], all’inizio del semestre sabbatico di cui godeva dopo i due anni di decanato e che intendeva dedicare allo studio del nuovo CIC, Corecco scriveva al segretario personale di Sua Santità Giovanni Paolo II, mons. Stanisław Dziwisz, per sollecitare l’invio di una copia di tale testo e, se possibile, le osservazioni fatte dai cardinali nel corso della sessione del mese di ottobre. Corecco non taceva l’auspicio che il Papa soprassedesse alla promulgazione del codice, tanto più che gli risultava che nessuna delle osservazioni più importanti fatte dai cardinali fosse stata recepita. Dopo pochi giorni, Dziwisz gli rispondeva annunciandogli che il Santo Padre intendeva procedere personalmente all’esame del testo «per verificarne la piena rispondenza alle attese di tutta la Chiesa» ed una copia della bozza era già stata inviata al suo indirizzo di Friburgo, da dove – si augurava – l’avrebbero rapidamente inoltrata, e soprattutto gli annunciava che il Santo Padre l’aveva incluso nella Pontificia Commissione per la Revisione del CIC[413]. Il 17 maggio Corecco rispondeva a Casaroli ed a Dziwisz esprimendo la sua riconoscenza per la fiducia che il Papa gli accordava e l’intenzione di dare il meglio di sé[414]. Iniziarono per lui alcuni mesi di intensissimo lavoro, con frequenti riunioni alla presenza del Papa ed accanite discussioni con i colleghi, con i quali si sarebbe trovato spesso in contrasto[415]. Nel mese di ottobre, anche in una lettera a mons. Joseph Ratzinger[416], Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che aveva partecipato alle sedute di lavoro, Corecco esprimeva alcune considerazioni piuttosto dolorose. Si rammaricava per aver talvolta assunto un atteggiamento «troppo determinato» nelle discussioni: «Le confesso anche che ho fatto molta fatica all’interno della commissione speciale, cui ho partecipato, se si prescinde dai momenti in cui ha operato direttamente con il papa». Egli trovava che, dopo tanti anni di lavoro, il progetto di CIC fosse mediocre tanto dal profilo sostanziale che da quello formale. «Il problema non è solo quello del CIC, è anche quello dell’immagine del papa che arrischia di compromettere con un CIC, sottilmente proteso alla restaurazione e dominato dalla paura degli abusi, la credibilità del suo insegnamento che, proprio perché tenta di riscoprire i valori primordiali, sottraendosi alla dialettica di una certa teologia intellettualistica, potrebbe essere la soluzione per una ripresa alla base della vita ecclesiale». Altra fonte di delusione per lui era il contributo dell’Istituto canonistico di Monaco, da cui «sono partiti impulsi più dettati dalla preoccupazione di salvare il passato o il presente che di accettare il rischio di svolgere con coerenza, in vista dell’avvenire, tutte le implicazioni teologiche per il sistema legislativo canonico esplicite o implicite nella sua ispirazione originale». Chiudendo lo scritto, Corecco suggeriva alcune correzioni importanti alla sistematica del CIC, per renderla più conforme a quella di Lumen Gentium, avvertendo che un semplice cambiamento lessicale a livello dei titoli non avrebbe avuto alcun valore. Questi mesi di intenso e duro lavoro furono l’occasione per la nascita di una profonda amicizia personale con Giovanni Paolo II. Malgrado le preoccupazioni di Corecco il nuovo Codice fu varato all’inizio del 1983.

1.1.  La «difesa» del nuovo CIC

1.1.1.  Il discorso di Giovanni Paolo II

Promulgato il 25 gennaio 1983[417] e destinato ad entrare in uso il 27 novembre dello stesso anno, il nuovo Codice venne ufficialmente presentato da Giovanni Paolo II a Cardinali, Vescovi, Membri del Corpo Diplomatico, Professori e Alunni delle Università pontificie e Facoltà ecclesiastiche il 23 febbraio 1983, con un ampio discorso, che riprendeva i temi del decreto di promulgazione. A partire dalla domanda fondamentale: «perché il diritto nella Chiesa? A che serve?»[418], in un’ampia introduzione più biblica che storica, il papa evidenziava lo stretto nesso che da sempre ha legato foedus e lex e che nel Nuovo Testamento si è collocato nell’intimo di ogni fedele: «Cristo vive nel cuore dei fedeli in una comunione, per la quale ciascuno instaura in sé stesso il mistero della carità e dell’obbedienza al Figlio. Riappare il nesso tra foedus e lex, e i fedeli, congiunti a Cristo nello Spirito, hanno non solo la forza, ma anche la facilità e la gioia di ubbidire ai precetti»[419]. Sottolineando la stretta dipendenza del nuovo Codice dai documenti del Concilio Vaticano II, che ampiamente citava, egli sottolineava fortemente la natura comunionale della Chiesa, il cui corpo visibile era sviluppato «in più raggruppamenti organicamente collegati, che, senza pregiudizio dell’unica fede e dell’unica divina costituzione della Chiesa (Lumen Gentium, 23), sono a buon diritto chiamati Chiese particolari, in ciascuna delle quali realmente è presente e opera l’una, santa, cattolica e apostolica Chiesa di Cristo» (Christus Dominus, 11)[420]. Giovanni Paolo II affermava poi con forza il diritto di cittadinanza della ragione e del diritto nella Chiesa: «Il legittimo posto, spettante al diritto nella Chiesa, si conferma e si giustifica nella misura in cui esso si adegua e rispecchia la nuova temperie spirituale e pastorale: nel servire la causa della giustizia, il diritto dovrà sempre più e sempre meglio ispirarsi alla legge-comandamento della carità, in esso vivificandosi e vitalizzandosi. Animato dalla carità e ordinato alla giustizia, il diritto vive!»[421]. Egli raccomandava da ultimo di affiancare costantemente gli Atti del Concilio allo studio del nuovo codice, lasciando però che su ambedue campeggiasse «il Libro eterno della parola di Dio, il cui centro e cuore è il Vangelo»[422].

1.2.  Le critiche al nuovo Codice

In realtà il nuovo codice incontrò parecchie critiche negative, fomentando le note accuse di involuzione del magistero papale rispetto a quello dei suoi predecessori ed al Concilio Vaticano II. Alberto Lepori si faceva carico di raccoglierle per un articolo su Dialoghi[423]. Alcuni commentatori, forse al di là della volontà del pontefice, intesero il suo discorso di presentazione come «una sottile presa di distanza dal nuovo Codice»[424]. Altri, come Giancarlo Zizola, indicavano i punti in cui era avvenuto un netto miglioramento sul passato, cogliendo però delle discontinuità, dovute ad una netta contrapposizione tra «lo stile montiniano caratterizzato dall’apertura al mondo moderno, ma conservante fermamente l’architettura monarchica della Chiesa cattolica» e quello di Giovanni Paolo II, «più riservato nelle concessioni al mondo moderno, più convinto dei diritti della Chiesa nella società contemporanea, vista non tanto nella sua autonomia, ma come spazio da penetrare coi valori evangelici»[425]. In generale le critiche si focalizzavano sull’eccessivo centralismo del nuovo CIC, sullo scarso rilievo riservato ai laici (definiti per negazione, cioè come i non-chierici), con la conseguente sottolineatura dell’importanza della struttura gerarchica della Chiesa, frutto anche della nota scarsa collegialità ecclesiale, che aveva caratterizzato la redazione del Codice. Troppo poco spazio era riservato ai diritti fondamentali dell’uomo e del fedele, alla condizione femminile ed al diritto di associazione, alle comunità di base, che, secondo anche un’osservazione del card. Arns, in America Latina erano divenute più importanti delle parrocchie. Ruggieri concludeva: «l’impressione è che questo codice non sia in grado di cogliere la realtà nuova della chiesa quale è stata messa in moto dall’ultimo concilio […] c’è da chiedersi se di fatto questo codice non sia già troppo in ritardo rispetto alla vita concreta delle chiese, e quindi destinato in gran parte a restare lettera morta»[426]. Alberto Lepori, che si era dato pena di presentare questa panoramica dei commenti al nuovo Codice, arruolava tra le voci critiche anche quella di Eugenio Corecco[427], che il 22 marzo aveva tenuto una presentazione a Lugano.

1.3.  La posizione critica di Eugenio Corecco

Intervenendo di fronte ad un pubblico di non specialisti[428], Corecco si era soffermato dapprima sulla lunga gestazione del nuovo Codice, aveva messo in rilievo l’importanza di ogni codificazione «che rappresenta un momento di altissimo valore culturale», per passare poi a spiegare struttura, contenuti e valore del Codice pio-benedettino del 1917, frutto di «un’operazione culturale in perfetta sintonia col momento storico»[429], e solo in seguito si introduceva nella presentazione del nuovo codice, sottolineando il legame con il Concilio: «il Vaticano II senza esprimerlo ha fatto capire che si trattava oggi non più di penetrare il sistema giuridico della Chiesa a partire dalla razionalità, ma di penetrare il sistema giuridico a partire dalla fede. Ha dato così un carattere teologico non più giuridico al nuovo diritto canonico»[430]. Da qui anche un nuovo impianto: «non più i cinque libri di estrazione romanistica e civilistica, ma sette libri di cui tre libri centrali di estrazione nettamente teologica. I tre libri centrali del nuovo codice infatti – il secondo, il terzo ed il quarto libro – non sono più il libro delle persone e il libro delle cose, ma sono il libro del popolo di Dio, dove si parla delle persone, ma in un contesto ecclesiologico: si parla del vescovo dopo aver parlato della diocesi, si parla del parroco dopo aver parlato della parrocchia. Il terzo libro parla dell’insegnamento della Chiesa, il quarto libro dell’ufficio della santificazione»[431], cioè degli uffici del popolo di Dio come indicati nella Lumen Gentium e sottraendo all’ambito delle «cose» sia il munus docendi, che è una funzione, sia il munus sanctificandi, ovvero i sacramenti[432]. Questa chiarissima tendenza teologica mostrava «un profondo legame quindi tra diritto canonico ed ecclesiologia, con sottolineatura del fatto che il diritto nella Chiesa scaturisce dalla dinamica della Grazia (e non da quella naturale come è il caso per le norme civili) […]. Il risultato: una penetrazione delle norme da un interesse che proviene dalla Fede»[433].

L’altra enorme novità riguardava il «protagonista» del nuovo Codice. «Se il Codice del 1917 poteva essere considerato un Klerikerrecht – e a ragione dato che identificava la Chiesa con il clero – il nuovo Codice statuisce che il mandato di costruire la Chiesa è dato a tutti, introducendo la figura del “fedele” soggetto di diritti, e, pur rimanendo la Chiesa una societas inegualis, vi è un’uguaglianza di fondo che deriva dall’essere incorporati nel Cristo e nella Chiesa stessa […]. Il nuovo Codice può quindi servire addirittura da catechismo, in quanto immagine della Chiesa»[434]. Corecco non mancava di rilevare che il nuovo CIC nasceva in un momento culturale non favorevole alle grandi codificazioni, tanto che là dove queste esistevano subivano ora piuttosto una sorta di smantellamento, ma Giovanni Paolo II aveva avuto un ruolo fondamentale: «È stato il Papa che, facendo uso del suo potere discrezionale, ha desiderato che la novità del Codice, quella della dimensione della Fede divenisse norma: in questo pressantemente richiesto dall’Episcopato di tutto il mondo. Pur essendo formalmente un codice, sostanzialmente, la nuova normativa rappresenta un ordo, che non mira a mantenere le prerogative dell’autorità, bensì a suddividere i ruoli tra i fedeli. Più che imporre, la nuova codificazione suggerisce, senza per questo sto perdere nulla della forza in lei insita. Una normativa per la quale deve valere […] la massima che sta sul frontespizio dell’Università di Salamanca: Iuri Canonico Quo Sit Ecclesia Felix»[435].

Egli riservava le critiche ad altre sedi, perché, ovviamente, egli sarebbe intervenuto più volte sul Codice e in ambiti specialistici. Sempre, comunque, indagando a fondo i presupposti culturali ed ecclesiologici del CIC[436], mise in rilievo il potente impulso dato dal Concilio, che spostando «il centro di gravità, formalmente collocato nella Chiesa universale, ad un punto capace di comprendere anche la Chiesa particolare, una Chiesa che si autodefinisce come corpus ecclesiarum o come communio ecclesiarum», aveva portato al superamento del primitivo progetto di aggiornamento di Giovanni XXIII, rendendo necessario un impianto normativo costituzionale, reso più urgente dal fallimento del progetto di LEF. «Non si tratta più solo di unificare la disciplina della Chiesa universale applicando il principio medievale dell’unum imperium, unum ius, ma quello di garantire la cattolicità della Chiesa di Cristo, assicurando la coesione tra la dimensione universale e particolare della stessa, ossia la possibilità dell’immanenza reciproca tra le due dimensioni della stessa realtà. Realtà di immanenza che altro non è se non l’espressione strutturale della communio»[437]. Corecco affrontò analiticamente le differenze tra le due codificazioni, senza tacere circa la fragilità di certi passaggi, in primis «la sostituzione del principio ordinatore giuridico con quello teologico nei tre libri centrali del Codice», divenuto a suo giudizio «irreversibile»[438]. E di nuovo sottolineò che il soggetto protagonista del Codice non era più il clero, ma il fedele, da cui conseguiva che l’autorità era in funzione dell’unità dei fedeli, «diventati al suo posto i veri protagonisti della Chiesa»[439]. «Il principio epistemologico della fede e i contenuti materiali di una grande parte della nuova normativa, bene o male ricavati dal Vaticano II, hanno svolto la funzione di nuovo gene che, innestato sul tronco comune alle codificazioni ottocentesche e al codice canonico del 1917, ha cambiato nella sua specie la codificazione stessa. Anche il fedele che, almeno tendenzialmente ha sostituito la gerarchia come protagonista del nuovo ordinamento canonico, non ha più nulla in comune con l’uomo della società borghese, individualisticamente proteso a realizzare sé stesso avvalendosi del principio della libera concorrenza e della legge del più forte. È piuttosto il soggetto di cui il canone 209, § 1 fissa come primo dovere, non solo morale ma anche giuridico, quello di vivere nel suo comportamento esteriore ed interiore la comunione con tutta la Chiesa, cioè con tutti gli altri fedeli»[440]. Riconosciute queste novità, passava alle critiche. Quelle più serrate riguardavano l’eccessivo attaccamento ai vecchi schemi, con conseguente disattenzione verso i contenuti del Concilio, ad esempio circa il rapporto tra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale con la sistematica dei tria munera (regendi, docendi, sanctificandi), la totale assenza del termine carisma, così presente nei documenti conciliari, stralciato dal Codice nella sua ultima revisione[441] e solo in parte ricuperato nel maggior rilievo giuridico riservato agli Istituti di vita consacrata e alle Società di vita apostolica[442]. Al timore di svuotare l’ordinamento giuridico del suo contenuto specificatamente giuridico, Corecco addebitava l’incapacità di cogliere in profondità gli elementi spirituali soggiacenti alle istituzioni ed anche la valenza «sostanziale» data alla Parola ed al Sacramento[443]. Corecco riconosceva al Codice il merito di aver recepito due elementi fondamentali dell’ecclesiologia del Vaticano II, quello della collegialità e quello della Chiesa particolare, ma poi aveva privilegiato la sistematicità a scapito della storicità e del pragmatismo. Se era vero che la sistematicità era un requisito irrinunciabile della normativa giuridica, la mancanza di pragmatismo non poteva essere passata sotto silenzio, perché aveva portato a privilegiare di nuovo gli aspetti organizzativi della Chiesa, a scapito degli elementi costituzionali previ, come il carisma, la Parola e il Sacramento, «privilegiando gli elementi derivati a scapito di quelli primariamente costitutivi e che non danno le ragioni ultime delle strutture giuridiche»[444]. La critica di Corecco non ignorava che in alcune parti del Codice i Sacramenti erano collocati in un contesto sistematico che metteva in luce la loro funzione genetica, ma tuttavia accadeva a loro proposito quello che avveniva della comunità eucaristica, che era sopraffatta dalla parrocchia, una struttura non teologicamente necessaria. «Era troppo domandare tutto questo al nuovo Codice? Sarebbe stato senza dubbio troppo se l’immagine fosse rimasta immutata rispetto a quella del 1917 e non fosse già stata in parte sostituita da quella, propria ad un Ordo Ecclesiae, comunque vincente in prospettiva futura»[445].

Gli impegni internazionali di Corecco erano destinati ad aumentare e l’avrebbero portato a tenere conferenze in tutto il mondo[446]: nel 1984 Giovanni Paolo II l’aveva voluto nella Commissione d’interpretazione del Codice, scelta che Corecco aveva accolto con commossa gratitudine, perché non aveva mai celato il suo giudizio critico. Ne scriveva quasi familiarmente al segretario del papa, affidandogli anche un ringraziamento più formale per il Pontefice, che si accingeva a visitare la Svizzera. Accennando a questo prossimo viaggio, informava mons. Dziwisz dell’intenzione di far organizzare dal Rettorato dell’Università un congresso sull’opera poetica di Karol Wojtyła. Egli era preoccupato per il previsto incontro con i professori di quell’ateneo, profondamente marcati dall’impronta teologica razionalisticheggiante di Hans Küng; si rammaricava perché gli organizzatori avevano tenuto le tappe del viaggio papale all’interno del perimetro dei cantoni di tradizione cattolica, mentre in realtà buona parte dei fedeli era costituita da lavoratori stranieri, che vivevano e lavoravano nei cantoni protestanti. A proposito di questo viaggio, il grande desiderio di Corecco era che la gente potesse davvero incontrare il pontefice, nella realtà della sua umanità e della sua fede, e parimenti, che il pontefice potesse incontrare il popolo dei credenti e non soltanto i delegati dei numerosi organismi ecclesiastici, che si sentivano in dovere di sottoporre a Giovanni Paolo II i loro disagi ed i loro desiderata. Ma il primo tema della lettera restava il problema dei movimenti, che a suo avviso avevano bisogno di uno statuto particolare a livello della Chiesa universale[447].

L’accenno di Corecco ai migranti non era una preoccupazione astratta: conosceva bene il loro ambiente e la loro condizione, perché da molto tempo egli collaborava con la Conferenza episcopale e con altri organismi sul fronte dell’accoglienza dei migranti, che egli considerava una fonte di ricchezza per la Chiesa svizzera, una irripetibile occasione per rivelare la natura della Chiesa[448].

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[411] Cfr. Fantappiè, Storia del Diritto canonico , 305, n. 142; e cfr. anche Corecco ospite a Gazebo (intervista radiofonica di Monica Gruber, 24 dicembre 1992), in cui sottolinea

[412] ruolo primario di Giuseppe Alberigo e riconosce un certo nesso di causa-effetto tra la lettera e l’invito di Giovanni Paolo II.412 ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: 29 aprile 1982.

[413] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: 10 maggio 1982; l’invio del testo, accompagnato da una lettera di mons. Agostino Casaroli Segretario di Stato, era stato effettuato il 4 maggio 1982, cfr. ibid. : 4 maggio 1982. Così scrive Corecco ad una monaca: «Un mese fa mi è arrivata una lettera dalla Segreteria di Stato in cui mi si dice che il Papa prima di promulgare il Codice vuole studiarlo personalmente e ha perciò scelto un gruppo ristretto di persone alle quali vuole sottoporre delle domande precise. Mi sto preparando in attesa che mi arrivino le domande», cfr. M. G. Lepori, «Farsi ricostituire dallo Spirito Santo», in Bollettino Amici 2/II (dicembre 1997) 69-110, 95s.: 9 giugno 1982.

[414] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: le due lettere ambedue datate 17 maggio 1982.

[415] «Sono ritornato per la commissione ristrettissima sul diritto canonico. 8 sedute con il papa e poi tutti giorni tra noi. È stato molto difficile, nelle sedute senza il papa, perché ero solo contro tutti, con in mente un progetto alternativo. Ma oramai i dadi sono tratti. Il papa ha capito tutto, e magari anche che si poteva fare diverso, ma ora come fare dopo 18 anni di lavoro?», 24 ottobre 1982, da lettera dalla California alla già citata monaca, cfr. sopra n. 413, 97.

[416] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: 17 ottobre

[417] Con il Decreto Sacrae disciplinae leges , 25 gennaio 1983.

[418] Discorso di Giovanni Paolo II per la presentazione ufficiale del Nuovo Codice di Diritto canonico , giovedì 3 febbraio 1983.

[419] Ibid .

[420] Ibid.

[421] Ibid.

[422] Ibid.

[423] a.l., Giudizi critici sul nuovo Codice canonico , in Dialoghi 76/XVI (aprile 1983) 13s.: l’autore aveva consultato Informations catholiques internationales 584 (15 marzo 1983), con interventi di Jean Pierre Manigne, Giancarlo Zizola, padre Hoffmann e Marie Thérèse van Lunen Chenu; Il Tetto 11 (gennaio-febbraio 1983), che pubblicava il commento di Pasquale Colella; e Il Regno Attualità 481 (15 marzo 1983), con articoli di Tullo Goffi, Francesco Zanchini e Giuseppe Ruggieri.

[424] Così G. Ruggieri, in Dialoghi 76/XVI (aprile 1983) 14.

[425] G. Zizola, ibid. , 13.

[426] G. Ruggieri, ibid. , 14.

[427] Ibid. , 14: «concludiamo questa panoramica che vuol essere solo un invito ad approfondire l’argomento, segnalando la conferenza che don Eugenio Corecco, professore di diritto a Friborgo, ha tenuto a Lugano la sera del 22 marzo scorso. I quotidiani ne hanno dato ampia relazione (Giornale del Popolo e Popolo e Libertà del 24 marzo): don Corecco ha specialmente sottolineato il tentativo di fare un codice che rispettasse la natura particolare della Chiesa e fondato sulla teologia, ha manifestato dubbi sull’uniformità insita in una codificazione, per esprimere speranza nelle legislazioni speciali lasciate alle singole chiese. Osservazioni che concordano, come si vede, con quelle contenute negli articoli sopracitati de Il Regno ».

[428] Corecco, Il nuovo Codice di diritto canonico nel segno del rinnovamento conciliare , 7-17; e cfr. anche la pagina di C. L. Caimi, Il nuovo Codice di Diritto canonico nel segno del rinnovamento conciliare , in Giornale del Popolo, 23 marzo 1983.

[429] Corecco, Il nuovo Codice di diritto canonico nel segno del rinnovamento conciliare , 7.

[430] Ibid. , 13; circa l’assenza di altre necessità per il rinnovo del Codice, così nella relazione di C. L. Caimi: «D’altra parte, il Codice del 1917 ha superato bene la prova del tempo, almeno fino alla vigilia del Concilio Vaticano II (e non dimentichiamo che questa Chiesa pre-conciliare e il suo Codice hanno provocato il Vaticano II). Poteva quindi essere ripreso, rimaneggiato in modo adeguato, tanto più che dal Concilio Vaticano II non sono scaturite novità tali da non poter essere inserite nel Codice del 1917».

[431] Ibid. , 17.

[432] Ibid.

[433] Così Caimi, Il nuovo Codice di Diritto canonico nel segno del rinnovamento conciliare .

[434] Corecco, Il nuovo Codice di diritto canonico nel segno del rinnovamento conciliare , 17.

[435] Ibid.

[436] Cfr. ad es. E. Corecco, Presupposti culturali ed ecclesiologici del nuovo “Codex” , in S. Ferrari (a cura di), Il nuovo Codice di Diritto Canonico , Bologna 1983, 37-68.

[437] Ibid. , 41s.

[438] Ibid. , 48.

[439] Ibid. , 50.

[440] Ibid. , 50s.: Corecco nella sua n. 17 cita anche il can. 210 che estende a tutti i fedeli l’obbligo di tendere alla santità.

[441] Ibid. , 63: Corecco annota però che il termine era presente nel Codice unicamente a proposito degli Istituti di vita consacrata.

[442] Ibid. , 65.

[443] Ibid.

[444] Ibid. , 67.

[445] Ibid. , 68; per uno scritto più sintetico, cfr. E. Corecco, Cultura e teologia del nuovo Codice , in Politica del Diritto 3/XIV (settembre 1983) 390-397.

[446] Giornale del Popolo, 9 giugno 1986, 2: le note biografiche pubblicate in occasione della sua nomina episcopale menzioneranno gli inviti come conferenziere a Berkeley, Ottawa, Varsavia, Cracovia, Lublino, Salamanca, Pamplona, Parigi, Roma, Pavia, Urbino, Firenze e presso l’Istituto di Scienze Religiose di Bologna, che tanto peso ha avuto nella carriera di Corecco; Corriere del Ticino, 7 giugno 1986: aggiunge Graz, Yaoundé (Camerun) e l’impegno con l’Ufficio Centrale Emigrazione Italiana.

[447] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1973-1984: 16 febbraio 1984, lettera a mons. Stanisław Dziwisz; allegata con la medesima data una più formale lettera a Giovanni Paolo II, in cui esplicita la sua gratitudine e sollecita il Pontefice a proposito dello statuto giuridico dei movimenti.

[448] Si vedano in proposito le sue pubblicazioni: E. Corecco, Considerazioni teologiche su “Emigrazione e Cultura” , in Servizio Migranti 17 (1981) 106-115; Le migrazioni nell’orizzonte del Regno , in ibid. 12 (1985) 425-437; La Presenza dei migranti nella Chiesa particolare: segno dell’immanenza reciproca fra la Chiesa universale e la Chiesa particolare , in Seminarium NS 25 (1985) 48-66.