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Amici Corecco

La grazia di una vita

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GENNAIO 1994 - MARZO 1995: UN ANNO DI 14 mesi

Capitoli

Nel mese di dicembre 1993, le condizioni di salute di Corecco si erano fatte allarmanti. Si rese necessario un ricovero all’Inselspital di Berna per la stabilizzazione del bacino[2]. Dopo l’intervento chirurgico, era stato prescritto a Corecco, oltre ad una chemioterapia, un ciclo di radioterapia, da svolgersi all’ospedale S. Giovanni di Bellinzona. Al rientro da Berna, il vescovo decideva di informare la diocesi del suo peggioramento[3] con una lettera indirizzata ai sacerdoti, alle religiose ed ai membri del Consiglio pastorale: «Sento il dovere di informarvi, sia perché la malattia non è un fatto da nascondere, bensì da saper vivere con grande consapevolezza nella prospettiva della conversione personale, sia perché l’aiuto che mi potete dare con la preghiera e il vostro rinnovato impegno pastorale è molto grande […]»[4]. Riprendeva così il filo del messaggio indirizzato ai pellegrini ticinesi a Lourdes nell’agosto del 1992. E come allora, condividendo quanto andava scoprendo nella malattia[5], con gli scritti, le omelie e le interviste, intesseva con il suo popolo un profondo dialogo[6]. Una signora gli aveva inviato la preghiera di Gregorio Nazianzeno, con la quale quel santo vescovo aveva chiesto – e ottenuto – la guarigione, per poter continuare a servire il Signore. Chiedere il miracolo in questa prospettiva aveva riempito Corecco di stupore e gli aveva aperto lo sguardo, ribaltando le priorità istintive: «Il Salmo 63 (v. 4), che recitiamo nelle Lodi della domenica, afferma che “la tua Grazia vale più della vita”. Se la Grazia di Dio, che è la forza salvifica di Gesù Cristo nella nostra esistenza, vale più della vita stessa, ciò è altrettanto vero per la malattia. Sono certo che, anche questa volta, la preghiera vicendevole e quella delle vostre comunità avrà la potenza di creare tra noi un vincolo di unità più profonda. Posso chiedervi di accompagnare nel Signore il pellegrinaggio che dal 12 al 20 febbraio p. v. compirò in Terra Santa, con un centinaio di giovani?»[7].

Egli anteponeva così, ancora una volta, il suo ministero a tutto. A parte il tempo che doveva dedicare alle cure, Corecco ridusse il meno possibile le sue attività[8]: oltre agli impegni fissi del suo calendario, in quel mese di gennaio, il 18 riceveva in Curia il Comitato cantonale degli Esploratori Cattolici (ECT); il 20 visitava il Convento dei Cappuccini di Lugano ed il 22 teneva il terzo incontro del corso di formazione per animatori della pastorale giovanile. I suoi interventi pubblici testimoniano l’intensità della sua esperienza di fede. Nell’omelia del 23 gennaio, nel corso della celebrazione ecumenica nella Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, ponendosi di fronte allo scandalo delle divisioni, e non tanto e non appena di quelle derivanti dalle differenze confessionali, ma di tutte le divisioni, ritornava sulla «scoperta» della Grazia: «La nostra coscienza impallidisce di vergogna pensando allo scarto ancora esistente tra il nostro amore reciproco e il modello trinitario proposto da Cristo; tra il nostro amore e quello con il quale Gesù stesso ci ha amati durante la sua vita e continua ad amarci dopo la sua risurrezione. Se non riusciamo a realizzare questa vocazione, conferitaci attraverso il battesimo, forse è perché non riusciamo a superare la convinzione, profondamente radicata nella vecchia struttura della nostra persona, che l’amore per Dio e per gli altri sia un impulso di origine umana. Ponendo noi stessi al centro della nostra persona, è inevitabile pensare che sia impossibile amare Dio e gli altri con quella intensità, che può renderci una cosa sola. In realtà siamo chiamati a sviluppare in noi stessi questo amore totalizzante, perché non siamo noi che abbiamo scelto Cristo, ma è Cristo che ha scelto noi […]. È un destino sovrannaturale. Esso è ancora più reale di quello naturale e costituisce l’essenza stessa della nostra vocazione cristiana. […] Ma esiste un’altra ragione della nostra resistenza a questa vocazione. È quella di non arrenderci al fatto che essa, in quanto vocazione suprema all’amore ed all’unità reciproca, ci è stata data per la nostra gioia. Se credessimo al comandamento dell’unità e ci amassimo, così come il Signore ci ha invitato a fare, la nostra vita terrena non sarebbe segnata dal peso del dovere, che suscita sempre ribellione, bensì da una grandissima felicità interiore»[9].

La sera stessa concedeva una lunga intervista al giornalista Michele Fazioli[10], nel quadro della seguitissima trasmissione televisiva Controluce. Il suo comunicato aveva infatti catturato l’attenzione dei mezzi di comunicazione.

Nel corso del dialogo, Corecco approfondiva la sua intuizione a proposito del versetto del salmo 62: «Chiedo due cose, contemporaneamente una più importante dell’altra, ma umanamente l’importanza è rovesciata. Chiedo di guarire, ma chiedo soprattutto di saper vivere bene la malattia, perché questo è più importante della guarigione. Del resto io ho citato un salmo che ho letto per cinquant’anni e non avevo mai scoperto […]. “La Tua grazia è più importante della vita” (Sal 63,5), chissà quante volte ho letto questa frase, chissà quante volte l’han letta i preti, le suore e i laici che pregano le lodi della domenica. Poi improvvisamente ho capito la verità profonda che è contenuta in essa».

Fazioli: «Forse perché la fede per essere viva deve incarnarsi nella vita vera?».

«Certo. L’esperienza umana fa sentire e sperimentare la verità della fede […]; la fede non è un’alternativa alla vita, ma è la rivelazione della verità sull’uomo e dunque su Dio per vivere meglio quello che stiamo facendo. Insomma per dire che la fede è adesione al proprio destino»[11].

Il giorno seguente, 24 gennaio, festa di san Francesco di Sales, come il solito, celebrava la S. Messa per i giornalisti nella cappella della Curia ed il 26 interveniva all’Hotel Villa Principe Leopoldo alla tavola rotonda organizzata dal Rotary Club Lugano Lago sul tema Quale università per il Ticino?; insieme a lui prendevano la parola l’on. Giuseppe Buffi, Consigliere di Stato, e l’on. Giorgio Giudici, sindaco di Lugano. Questi impegni su temi di attualità, importanti ma lontani dalla consapevolezza dolorosa che dominava la sua quotidianità, non erano certo una distrazione. All’indomani della morte, ricordando proprio quell’incontro, Giuseppe Buffi avrebbe scritto il suo commosso ricordo[12]. Il 26 gennaio Corecco riceveva una visita di don Giussani. Andandogli incontro nel corridoio, con le lacrime agli occhi, gli confidava: «il tempo si fa breve». Qualche tempo dopo, don Giussani avrebbe raccontato: «È una delle impressioni più vivide che ho avuto in questi due mesi quando sono stato a trovare un Vescovo gravemente ammalato, il quale, quando mi ha visto, dopo un istante di emozione, si è seduto e ha detto: “il tempo si fa breve”. Eppure il fondo del suo viso era lieto. Lieto non vuol dire che uno dica allegramente “muoio”, non sarebbe vero, neanche san Paolo direbbe così»[13]. «Il tempo si fa breve» sarebbe diventato il titolo dei successivi esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione[14].

Il 29 gennaio Corecco celebrava la S. Messa in occasione dell’assemblea dell’Ospitalità diocesana Nostra Signora di Lourdes presso la Casa S. Pio X ed il 30 era a Mendrisio per la Cresima[15].

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[1] Dal commento di Corecco alla pericope del «giovane ricco», trasmesso dalla TSI il 6 giugno 1986: «Tutti, per appartenere a Cristo, dobbiamo lasciare qualche cosa. Chi una cosa, chi un’altra, qualcuno magari tutto […]».

[2] Malgrado questo intervento, le condizioni del bacino saranno fonte di acuti dolori ad ogni movimento. Corecco ripeterà più volte che il dolore fisico può essere ben controllato dalle terapie e solo a Sua Santità Giovanni Paolo II, di cui condivideva premurosamente le sofferenze fisiche e morali, confesserà che le metastasi al bacino erano dolorose, cfr. ACorecco Lugano, Corrispondenza 1994-1.3.1995: 10 settembre 1994 e 16 settembre 1994: il segretario del Papa ed il sostituto alla Segreteria di Stato ringraziano per la partecipazione di Corecco alla sofferenza di Giovanni Paolo II che ha dovuto rinunciare al desiderato viaggio a Sarajevo e gli assicurano vicinanza e preghiere; 17 dicembre 1994: lettera a Giovanni Paolo II con gli auguri natalizi. Riferendo di sé, scrive: «Le comunico che la mia situazione di salute non è cattiva, anche se momentaneamente i medici mi hanno costretto al riposo assoluto per guarirmi da un’infiammazione assai dolorosa al bacino. Questo mi permette di capire, Santo Padre, quanto la sua sofferenza possa essere difficile da sopportare, anche se ha configurazione della croce destinata comunque alla resurrezione» [il Papa risentiva ancora delle conseguenze della frattura del femore dell’aprile 1994].

[3] La scelta non era ovvia: i familiari, ad esempio, si sentivano imbarazzati, ma Corecco faceva notare che tutti l’avrebbero potuto vedere, mentre nella sala d’attesa dell’ospedale S. Giovanni attendeva il suo turno per la radioterapia (R. Monotti , Diario [presso Rita Monotti, Massagno]). Egli taceva però che non gli sarebbe stato difficile chiedere ed ottenere una corsia preferenziale o almeno discreta.

[4] Cfr. testo integrale in Giornale del Popolo, 17 gennaio 1994, 13.

[5] Su questa «scoperta» della grazia, che data dalla festa del Battesimo di Gesù, 9 gennaio 1994, cfr. R. Monotti , Non ricordo ma una memoria rinnovata , in Bollettino Amici 9/XV (agosto 2011) 55-66, 58; ed anche Monotti , Diario .

[6] Per qualche esempio, cfr. ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1994-1.3.1995: 26 aprile 1994, i genitori di un giovane perito tragicamente ringraziano il vescovo per la vicinanza. Corecco aveva conosciuto questo ragazzo 9 anni prima a Fri burgo ; 31 maggio 1994, una madre gli scrive raccontando della grande testimonianza di fede del figlio di 9 anni, morto dopo una dolorosa malattia accettata persino lietamente, immedesimato al sacrificio di Isacco; 20 settembre 1994, lettera di un giovane che assiste la fidanzata L., ammalata di tumore in fase terminale, incontrata da Corecco durante una degenza a Bellinzona: «stiamo provando a vivere la malattia non come esperienza di morte ma di vita, abbiamo riscoperto l’importanza e la forza della Preghiera». Chiede una copia della lettera che Corecco ha scritto per informare i fedeli della sua malattia perché «Mi piacerebbe veramente molto capire come L. abbia assorbito tanta forza dalla Sua lettera e profuso la stessa forza nelle persone accanto a lei» e poi chiede una preghiera per L. «perché il suo passaggio alla nuova vita sia il più dolce possibile»; 29 ottobre 1994, il giovane scrive dopo la morte di L.: «desidero ringraziarLa di tutto quanto Lei ha fatto per L. e per me stes so. La Sua partecipazione, il Suo interessamento, la Sua guida spirituale, le Sue preghiere, i Suoi scritti sono stati per noi un grande aiuto nell’affrontare una prova così dura […]. L., in molte occasioni, mi ha ripetuto come questa malattia l’avesse arricchita interiormente. Ha vissuto la malattia con gioia, è andata incontro alla morte sorridendo, certa della Luce di Dio […]».

[7] Ibid.

[8] «Il lavoro, il lavoro per il Signore, lo aiutava molto: diceva “bisogna lavorare per il Signore, poi uno prega se no soffoca. La preghiera è nella vita”» ( Monotti , Diario ).

[9] Monitore ecclesiastico (1994) 29s.

[10] Per la testimonianza di questo giornalista, che aveva incontrato Corecco al Liceo, ma che aveva aderito alla sua proposta solo molto tempo dopo, cfr. M. Fazioli, Quel gio -

[11] prete che non parlava come un prete , in F. Lombardi – G. Zois (a cura di), Siate forti nella fede , Lugano 1995, 245-247; e soprattutto Id., Con Corecco i cattolici ticinesi sono stati presi per mano , in Bollettino Amici 11/XX (settembre 2016) 99-109.11 Cfr. E. Corecco , Sulla malattia e sulla sofferenza , in Quaderni di Caritas Ticino, Lugano 1995, 3-8: trascrizione parziale di Controluce TSI 23.1.1994.

[12] Già citato al cap. IV, cfr. Giornale del Popolo, 3 marzo 1995, 2: «L’uomo mi è venuto incontro, a poco a poco, non dai territori dei comuni – pur se talvolta divergenti – interessi di lavoro, non da quelli della sua funzione, bensì dai quartieri, misteriosi e bui, della malattia […]. È stato a una conferenza che abbiamo tenuto insieme a Lugano (c’era anche un terzo relatore il sindaco di Lugano Giorgio Giudici) sul problema universitario. Il suo male si era ormai chiaramente e completamente manifestato. Sapeva di non avere scampo. Me ne parlò a tavola. Mi raccontò di aver avuto inizialmente un moto di ribel lione (“Mi sono persino chiesto se valeva la pena di nascere per morire così”) e d’essersi anche convinto che “lassù” con tutte le cose che ci sono da ascoltare, non avrebbero sicuramente potuto dare udienza ai problemi di un “semplice vescovo”. Disse proprio così “semplice vescovo”. Non era più spaventato. Non aveva più paura, ma la sua non era

[13] L. Giussani, Si può vivere così? , Milano 1994, 218 [questo volume raccoglie la trascri zione di incontri avvenuti tra l’ottobre 1993 ed il giugno 1994]; per la data cfr. ACorecco Lugano, Agenda 1994.

[14] Cfr. le parole di don Giussani in Giornale del Popolo, 2 marzo 1995, 4: «Da quando la malattia, rivelatasi mortale, l’aveva colpito Monsignor Corecco era molto cambiato. Ricordo il giorno in cui lo incontrai. Il male lo aveva appena aggredito. “Il tempo si fa breve” mi disse ricevendomi, ne fui così colpito che quella frase divenne il tema ispiratore di molte riflessioni per l’intera Comunione e Liberazione».

[15] Monitore ecclesiastico (1994) 34s.

Nel mese di febbraio, il 2, Corecco compiva la tradizionale visita al Battaglione di fanteria di montagna 30, di cui era stato cappellano per 10 anni tra il 1960 ed il 1970, ed anche questa visita, quasi di circostanza, era occasione per dire una parola vera: l’indispensabile spirito di collaborazione che doveva esistere tra gli ufficiali si poteva fondare solo su sentimenti di schietta amicizia[16]. Il 5 andava alla Montanina, dove i ragazzi e le ragazze di AC trascorrevano qualche giorno di vacanza[17]. Ma l’appuntamento più importante era quello dell’11 febbraio, con la ricorrenza della Madonna di Lourdes. A cuore del vescovo stava l’insegnamento della Salvifici Doloris di Giovanni Paolo II, la preoccupazione che la sofferenza non fosse inutile, bensì «occasione di conversione personale e in prolungamento tra gli uomini del mistero della Redenzione di Cristo, che ha salvato il mondo offrendo al Padre tutta la sua sofferenza». L’urgenza di cogliere il valore redentivo della sofferenza offerta nasceva in lui anche dalla partecipazione al dolore per le tristi condizioni del mondo, lacerato dalle guerre nell’ex-Jugoslavia, in Africa ed in varie altre regioni. «Chissà quanti fra di noi sciupano le proprie sofferenze, perché dimenticano che la sofferenza fisica e morale può essere trasformata in dolore salvifico […]. La Vergine Santissima, Madre di Dio, che a Lourdes si è mostrata agli uomini del nostro tempo, ha offerto il dolore che ha accompagnato tutta la sua vita – dall’esilio in Egitto fino alla Croce – come partecipazione all’opera di redenzione di Gesù Cristo suo Figlio. Il suo esempio ci deve aiutare a vivere il nostro pellegrinaggio come contributo personale e collettivo alla redenzione del mondo»[18]. «“I luoghi della sofferenza terribile che conosciamo attraverso le immagini che tutte le sere ci vengono mostrate sono solo la punta dell’iceberg che ci fa intravedere la sofferenza di miliardi di persone” […]. La sofferenza non è fine a se stessa, se vissuta nella consapevolezza di doverla offrire al Padre ed “è anche l’unico modo per consolare noi stessi e chi ci sta vicino. Consolare: una parola che significa ‘aiutare a vivere meglio’, a non abbattersi, a sopportare, a non sprecare la sofferenza che ci è data. Si deve stare molto attenti dunque quando incontriamo chi soffre, perché le parole che scegliamo devono avere questo significato. Altrimenti la sofferenza rimane una disgrazia senza senso” […]. Questa consolazione reciproca non rimase lettera morta: al termine della celebrazione quando il vescovo si era soffermato a salutare gli ammalati, prima di rientrare in sacrestia, i presenti lo avevano fermato, trattenuto, avevano voluto a loro volta “consolare” il vescovo, che per tutti ebbe una parola di conforto, di speranza, di consolazione appunto»[19].

Due giorni dopo[20], Corecco partiva per la Terra Santa, alla guida di un pellegrinaggio di 100 giovani, che sarebbe durato dal 12 fino al 20[21]. Tra i pellegrini, c’era anche il dottor Carlo Felice Beretta Piccoli, amico e medico curante del vescovo Eugenio, con la moglie ed il figlio ultimogenito di nove anni, che avrebbe ricevuto la Prima Comunione nella Basilica del Santo Sepolcro. Questa festa fu l’occasione per una profonda omelia, dedicata alla Resurrezione: «L’Eucarestia è la promessa della risurrezione. Questo è importante per noi adulti. La risurrezione di Cristo è il fatto, l’evento più prezioso che possediamo, dà un senso alla nostra vita. Noi viviamo nella speranza di risorgere. Non abbiamo motivo di disperazione. Penso a tutti coloro che non conoscendo Cristo non conoscono la resurrezione, mi sembra che vivano una esistenza senza speranza, senza avere una prospettiva di salvezza. La vita diventa quasi senza senso. Per morire sarebbe addirittura meglio non nascere. L’esistenza sarebbe ultimamente triste. Noi cristiani siamo dei privilegiati. Cosa ne facciamo di questo privilegio? Anche noi viviamo per lunghi periodi della nostra vita distratti, assopiti dalle circostanze e non abbiamo un orizzonte che dà senso a ciò che facciamo. Lo dico perché mi accorgo di come vi state appassionando al Pellegrinaggio […]. La cristianità ha lottato quasi fino all’ultimo sangue per possedere questo luogo. L’impulso è stato un impulso di fede. La cristianità sa che la morte e la resurrezione di Cristo gli appartiene. Il nostro destino è legato a quell’evento di risurrezione che si è svolto in questo luogo. Esso è il fondamento dell’esistenza della Chiesa. Il nostro pregare, il nostro voler essere morali non avrebbero senso se Cristo non fosse risorto […]»[22]. Echeggia in queste parole la domanda di vita del vescovo Eugenio, di vita corporale ma soprattutto di vita spirituale. Emerge anche «la fatica della fede», non la fatica fisica che pure fu grande nel corso di questo viaggio, quando non sempre si potevano trovare strutture alberghiere adatte ad una persona così sofferente[23]. Al ritorno si susseguivano gli impegni di Curia. Il 26 presiedeva a Locarno la S. Messa in occasione dell’Assemblea cantonale delle Conferenze di S. Vincenzo. Il 27 era a Lamone per la Cresima[24]. Il giorno seguente l’agenda prevedeva la partenza per la sessione primaverile della CVS, ma Corecco dovette rinunciare. Vi partecipò mons. Giuseppe Bonanomi[25].

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[16] Giornale del Popolo, 4 febbraio 1994, 15; e cfr. soprattutto il ringraziamento dello SM, in ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1994-1.3.1995: 2 febbraio 1995.

[17] Monitore ecclesiastico (1994) 34s.

[18] Giornale del Popolo, 17 febbraio 1994, 29.

[19] L. Maffezzoli, Lourdes in Cattedrale , in Giornale del Popolo, 12-13 febbraio 1994, 20.

[20] Monitore ecclesiastico (1994) 66; il giorno precedente era giunto in curia il card. Achille Silvestrini, Prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali, invitato a tenere una conferenza nella sala Carlo Cattaneo.

[21] Una troupe televisiva diretta da Claudio Mésoniat avrebbe seguito questo pellegrinaggio, documentando in particolare il cammino di fede dei giovani, chiamati a riflettere

[22] propria esperienza ed a condividere tra loro le proprie intuizioni. Il documentario venne trasmesso dalla RSI la sera del Sabato Santo alle 19.05, cfr. anche Giornale del Popolo, 1° aprile 1994, 18.22 ACorecco Lugano, Omelie, 17 febbraio 1994.

[23] Monotti, Diario : ricorda la difficoltà di trovare un letto adatto.

[24] Monitore ecclesiastico (1994) 66s.

[25] Monotti, Diario.

In marzo, il 5 teneva regolarmente a Pregassona il quarto incontro di formazione per i responsabili della pastorale giovanile; si recava poi all’Ospedale Italiano perché ricorreva la Giornata del Malato ed il giorno seguente visitava l’Ospedale Civico. Domenica 6 marzo, nell’omelia durante la celebrazione dedicata ai sofferenti, Corecco ricordava come fosse stato il Cristianesimo ad insegnare a prendersi cura dei malati. Gli apostoli stessi invitavano i fedeli a radunarsi intorno ai malati ed a pregare su di loro. «La preghiera, infatti, fatta con fede, rialzerà il malato. La preghiera fatta durante il periodo della malattia ci salva. Qualche volta dalla malattia stessa, ma sempre dall’angoscia, perché non permette di equivocare sul significato delle cose. […] La Chiesa invita a pregare perché la disperazione che è dentro il nostro cuore anche se non si vede possa trasformarsi in speranza. […] La malattia può infatti diventare un momento molto positivo e importante per la nostra esistenza. Sul piano morale, spirituale (che è quello che conta visto che la nostra vita è un’esperienza spirituale), la malattia può diventare qualcosa di positivo a condizione di viverla bene. A condizione cioè che possa diventare occasione per incontrare il Signore. […] Se durante la malattia ci avviciniamo al Signore allora è fatta! […] Il Signore stesso lo rialzerà magari dal suo letto, ma sempre dalla depressione, dalla malinconia, se ha commesso peccati si salverà»26. Frattanto nella diocesi iniziavano gli incontri di preghiera per i malati ed in particolare per lui[27].

In quello stesso mese, una nuova preoccupazione cadeva sul cuore di Corecco, quella per la chiusura della Monteforno SA[28]. Per lui, leventinese, patrizio di Bodio e uomo con un alto senso della giustizia, era un dolore particolarmente grande. La storica acciaieria era l’unico polo industriale della Leventina ed aveva portato in valle molti lavoratori stranieri, soprattutto italiani. Guardati all’inizio con estrema diffidenza, avevano finito per arricchire con la loro cultura operaia quella contadina della valle. La vicenda riempiva le pagine della stampa ticinese: lo stabilimento era stato acquistato dalla von Roll, un colosso dell’acciaio, con l’impegno a proseguirne l’attività, perché redditizia e troppo importante per l’economia della Leventina. Invece ogni promessa venne disattesa ed il 3 marzo i responsabili della von Roll decretavano la sua chiusura[29], lasciando un sentimento di tradimento. Il 6 marzo Corecco andava a Bodio e celebrava una S. Messa di fronte ai cancelli della Monteforno alla presenza di numerose autorità e di una folla di fedeli; fungeva da altare un carro semovente di solito utilizzato per il trasporto dei rottami di ferro. Nella sua vibrante omelia, accanto ai ricordi personali, faceva presente, sul filo della Veritatis Splendor, il valore dei 10 comandamenti a garanzia di una società autenticamente civile: «Di fronte a quello che sta avvenendo in questo stabilimento sentiamo il bisogno di rivendicare il rispetto di due comandamenti fondamentali: “non dare falsa testimonianza” e “non rubare”. Abbiamo bisogno tutti, operai, famiglie e autorità, che sia detta la verità su quello che sta avvenendo o è già avvenuto. La vita deve essere fondata sulla giustizia. Non è possibile che la gente perda il lavoro, che le famiglie e la regione siano destabilizzate solo per la massimalizzazione del profitto. Di fronte alla verità è impossibile accettare quanto avviene. La menzogna va contro la dignità della persona umana»[30]. Il 10 marzo a Bellinzona incontrava i Consigli diocesani ed il 14 il clero del Mendrisiotto[31]. Ma il giorno seguente doveva ricoverarsi a Berna dove sarebbe rimasto fino al 7 aprile, dovendo rinunciare a tutte le celebrazioni di Pasqua: la S. Messa crismale sarebbe stata presieduta da S. E. mons. Gilberto Agustoni, arcivescovo di Caorle e pro-prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica[32], mentre era il vicario generale a guidare il Cammino della Speranza e gli incontri con tutti i cresimati e cresimandi del Sopra e Sottoceneri[33]. A Berna lo raggiungeva una telefonata di Giovanni Paolo II: Corecco gli confessava di aver bisogno di un miracolo ed il papa lo affidava alla beata suor Faustina Kowalska[34].

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[26] L. Maffezzoli, Nelle cattedrali della sofferenza , in Giornale del Popolo, 7 marzo 1994,

[27] Giornale del Popolo, 4 marzo 1994, 15: un incontro di preghiera è proposto in S.

[28] delle Grazie a Bellinzona dall’Azione Cattolica Adulti del Bellinzonese per sabato 5 marzo.28 Per la storia di questa acciaieria, cfr. https://ocst.com/index.php?option=com_content&view = article&id =469&Itemid=3 (consultato il 31 maggio 2019).

[29] Giornale del Popolo, 4 marzo 1994, 1.

[30] Monitore ecclesiastico (1994) 157-160: il testo integrale; cfr. anche Giornale del Popolo, 7 marzo 1994, 10: A. Fogliani, Invocate dignità giustizia .

[31] Per le date, cfr. Monitore ecclesiastico (1994) 161.

[32] Da segnalare le considerazioni di don Mino Grampa, a proposito di questa assenza:

[33] è prete per sé stesso: siamo preti solo per il Signore e per la sua Chiesa che ci chiama e ci abilita ad esserlo con la consacrazione ed il mandato […]. Il nostro presbiterio si è riunito ieri nella chiesa Cattedrale per la celebrazione della Messa Crismale: momento forte e significativo della comune appartenenza al medesimo sacerdozio. Mancava il Vescovo a quella celebrazione e la sua mancanza non può essere sottaciuta, passata sotto silenzio, perché i presbiteri sono parte del presbiterio proprio in quanto cooperatori del ministero del Vescovo. Mancava il Vescovo Eugenio perché costretto ancora in ospedale dal recente intervento per la sua malattia. Mi pare giusto, mi viene spontaneo, rivolgere a lui il pensie ro di tutto il presbiterio diocesano riunito nella Cattedrale senza di lui e quindi sentendo in maniera più visibile e sofferta la mancanza del proprio pastore. Al di là di ogni gradimento soggettivo era una mancanza oggettiva che si faceva sentire e impone a tutti di ricordare il Vescovo […]», cfr. Giornale del Popolo, 1° aprile 1994, 18: M. Grampa , Ricordo e preghiera per il Vescovo Eugenio: con lui la sofferenza di tutta la Chiesa .33 Monitore ecclesiastico (1994) 162.

[34] Monotti , Diario [nel 2000 suor Faustina Kowalska è stata canonizzata da papa Gio vanni Paolo II].

Rientrato a Lugano il 7 aprile, un comunicato stampa informava la diocesi che le sue condizioni di salute erano buone, ma che sarebbe stato costretto ad osservare un periodo di riposo per tutto il mese. Il Vescovo ringraziava per le numerose attestazioni di stima e di affetto nei suoi confronti: «Monsignor Vescovo ha sentito particolarmente vicina la sua gente»[35]. Anche con i medici, curanti ed amici, che quasi si affollavano intorno a questo paziente illustre, malgrado la sofferenza aveva sempre la capacità in instaurare un dialogo profondamente umano[36]. Corecco riuscì comunque ad assistere, dal 19 al 22 aprile a Roma, al simposio sulla Partecipazione dei fedeli laici al Ministero presbiterale, promosso dalla Congregazione del Clero[37]; ed insieme ai congressisti fu ricevuto in udienza da papa Giovanni Paolo II. Di ritorno a Lugano, il 25 aprile in Curia incontrava i vicari foranei[38]. Frattanto prendeva avvio il nuovo Centro diocesano per la pastorale familiare, nel quale il Vescovo aveva voluto fossero presenti esponenti di tutti movimenti ed al quale intendeva dare, senza rivoluzionare dall’alto il prezioso lavoro locale e senza ingabbiare in una struttura diocesana le decine e decine di iniziative sul territorio, una maggiore possibilità di coordinamento[39]. Alla fine del mese Corecco prendeva viva parte alla sofferenza di Giovanni Paolo II, ricoverato al Gemelli per la frattura di un femore[40].

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[35] Cfr. Giornale del Popolo, 9-10 aprile 1994, 1.

[36] La dr. Monotti ricorda il rapporto con il più prestigioso oncologo ticinese, il dr. Franco Cavalli, e le riflessioni sulla morte, in particolare dei malati giovani ( Monotti , Diario ).

[37] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1991-1993: 10 dicembre 1993, accetta l’invito ed il tema proposto.

[38] Monitore ecclesiastico (1994) 254s.

[39] Giornale del Popolo, 29 aprile 1994, 32.

[40] Monitore ecclesiastico (1994) 318.

Gli impegni della prima parte del mese di maggio furono piuttosto ridotti: il 7 teneva il sesto incontro di formazione per gli animatori della pastorale giovanile; il 20 a Prato Leventina incontrava, insieme ai professori della neonata Facoltà di Teologia di Lugano, numerosi professori dell’omonima Facoltà di Friburgo[41]. Il 23 partiva per Lublino per ricevere il dottorato HC di quell’Università[42]. La prolusione di Corecco fu l’occasione per rendere omaggio alla prestigiosa tradizione giuridica e religiosa di quell’Ateneo polacco, segnato dal martirio del suo corpo accademico all’avvento dell’occupazione nazista, e per ribadire la natura teologica della norma giuridica nella Chiesa cattolica: «Il diritto canonico non è una sovrastruttura sociologica. Non è un fatto puramente additivo, senza nessuna consistenza soteriologica propria. In essa si manifesta e può essere conosciuta la Chiesa, nella forza vincolante della sua realtà totale»[43]. Di ritorno dalla Polonia, il 28 maggio, Corecco era in pellegrinaggio al santuario di Re, in occasione dei 500 anni del «miracolo del sangue», accompagnato da più di 500 ticinesi; 40 giovani avevano compiuto il tragitto a piedi da Intragna durante la notte. L’omelia di Corecco inseriva il gesto che si stava compiendo nel «flusso interminabile di gente che è venuta qui a raccomandarsi alla bontà e alla misericordia. E anche noi siamo tra quelli che vengono per chiedere aiuto spirituale e materiale alla Vergine; […] ognuno è venuto qui con la sua richiesta e insieme abbiamo una domanda collettiva: di aiutarci ad evangelizzare, di aiutarci a rendere sempre più presente la proposta cristiana nella nostra società […]. Ognuno ha dentro la propria domanda. Anch’io, di guarigione e di ottenere la forza spirituale per vivere questo tempo. Abbiamo dentro il bisogno di essere aiutati dal Signore». Ma l’invito pressante era ad andare oltre il «gesto primario del chiedere», perché il pellegrinaggio doveva essere occasione per fare un passo avanti nella maturazione della fede, «ad interrogarci per capire se Gesù è presenza reale nella nostra vita, se ha il primo posto su ogni altra questione ed esperienza. Per chiederci chi è Gesù per noi». Avendo come modello Maria, che «dal profilo psicologico e affettivo vive il rapporto con il Figlio come ogni altra madre. Ma vive anche un rapporto attraverso la fede […] anche lei ha faticato a capire tante cose, intrise di mistero […] anche lei ha dovuto fare nella sua vita l’esperienza di Gesù come noi»[44]. E come assillo costante quello della ri-evangelizzazione, possibile soltanto attraverso una fede realmente vissuta. «Riuniti in questo pellegrinaggio alla Vergine, presente in mezzo a noi come lo era per gli Apostoli e la Chiesa primitiva, dobbiamo riscoprire la nostra vocazione a vivere come cristiani e, quando saremo di ritorno nelle nostre case, a testimoniare la nostra fede agli altri fratelli e sorelle cristiani e a tutte le persone che conosciamo e incontriamo»[45]. Il giorno seguente incontrava gli animatori dell’AC giovanile e dal 30 maggio al 1 giugno partecipava alla 224ma Assemblea ordinaria della CVS[46].

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[41] Giornale del Popolo, 21-23 maggio 1994, 15; era questo un appuntamento che era stato sollecitato da tempo da don Sandro Vitalini professore a Friburgo e direttore del Salesianum , cfr. ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1994-1.3.1995: 15 gennaio 1994, lettera di don Sandro Vitalini.

[42] Monitore ecclesiastico (1994) 328s: la cerimonia avviene il 23 maggio; cfr. anche Giornale del Popolo, 24 maggio 1994, 1: Fede diritto e umanità , di Filippo Lombardi; e ibid ., 3: Riconoscimento per l’uomo e per l’opera , di Moreno Bernasconi.

[43] Monitore ecclesiastico (1994) 320-327: il testo integrale; ibid ., 325: il passo citato.

[44] Giornale del Popolo, 30 maggio 1994, 7: servizio di Gianni Ballabio.

[45] Il testo integrale in Giornale del Popolo, 28 aprile 1994, 29.

[46] Monitore ecclesiastico (1994) 330.

Dal 1° al 4 giugno si teneva a Lugano anche l’VIII Colloquio internazionale di teologia, dedicato questa volta a von Balthasar a 5 anni dalla morte. Ma poi Corecco doveva fare un breve ricovero al Civico, per un intervento alla testa, dove si era formata una metastasi[47]. Il tradizionale incontro con i giovani sul Tamaro avvenne l’11 giugno con la partecipazione di mons. Miloslav Vlk, Arcivescovo di Praga e Presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee. I giovani presenti erano più di mille[48]. E fu ancora mons. Vlk ad incontrare i responsabili della pastorale giovanile il giorno seguente. Corecco presiedeva però la celebrazione eucaristica il 13 giugno al Santuario della Madonna dei Miracoli a Morbio inferiore in occasione della Giornata dell’Unione apostolica del Clero; compiva poi anche un «pellegrinaggio lampo» a Lourdes[49], occasione di un importante passo nel suo cammino di accettazione e di offerta. Ne scriveva a padre Mauro Lepori, da un altro luogo mariano, il santuario della Salette:

«Ho fatto un pellegrinaggioblitz a Lourdes […] seguendo la processione del Santissimo, improvvisamente mi sono sentito come uno degli apostoliche andava dietro a Gesù intanto che parlava e faceva miracoli. In quel momento gli ho chiesto 6 anni di vita, senza accorgermi che c’era dentro il Giubileo del 2000, prima di tutto non per me, ma per concludere le cose iniziate (soprattutto la Facoltà e l’AC). Costa moltissimo anche autolimitarsi così, ma chiedere la guarigione tout court mi sembra indebito e troppo facile. È comunque un passo avanti nell’accettazione di lasciarsi prendere la vita […]. Continuiamo dunque a pregare prima di tutto per morire con fede totale, perché questa è e rimane la grazia più grande»[50]. Dal 20 al 25 giugno, Corecco era alla Salette, con un centinaio di giovani. Le sue condizioni di salute erano talmente precarie che dubitava di poter svolgere il suo compito, ma su tutto si impose come sempre la preoccupazione educativa. Si accorse che i ragazzi pregavano molto per la sua guarigione, ma come se volessero forzare la mano di Dio, e non vedeva in questo fervore una vera posizione di fede. Li richiamò allora con decisione: il suo – ed il loro – più grande bisogno era di saper aderire alla volontà di Dio, prima ancora che di ottenere la salute[51]. Dalla Salette, Corecco scriveva anche a mons. Martinoli, che gli rispondeva ricordando l’ottavo anniversario della sua ordinazione: «Quanto mi ha scritto dalla Salette mi ha fatto bene. La ringrazio e le dirò anche che l’ho presente ogni giorno e non solo nel ricordo obbligato della Messa. Ho seguito le sue operazioni, il malessere che ne è seguito e che cerca di nascondere, avvicinando più che è possibile la gioventù. Tutto questo ha valore e penso lo constati ogni volta. Il primo vero incontro con Lei l’ebbi a Claro, quando si preparava all’Ordinazione episcopale, un incontro che non ho mai dimenticato e che mi lasciava prevedere molto. La sua malattia, guidata da tanta fede e speranza, è il dono più bello che ha dato alla sua diocesi, anche se non se ne accorge. Dio ha salvato il mondo con la Croce […]. Mi sembra di poter dire che il popolo le è vicino; vorrei le fosse più vicino anche il Clero, tutto il Clero senza eccezioni. C’è qualche cosa che sta cambiando ed apre forse un’era nuova […]»[52]. Sempre dalla Salette rispondeva al fax del piccolo Alvaro Foletti e scriveva ai suoi genitori, affidando alle loro preghiere e a quelle dei loro bambini le preoccupazioni per la sua salute e la domanda, già fatta a Lourdes, di avere ancora sei anni di vita per consolidare la Facoltà dal punto di vista finanziario e l’AC dei giovani «che viene su come un fungo. È un fatto straordinario di cui non mi capacito, ma riesce con molta rapidità e senza i tanti scossoni e fatiche di quello che avvenne per CL dei vostri tempi»[53]. Al ritorno dal pellegrinaggioblitz a Lourdes, il 19 giugno, nella sala Aragonite di Manno, nel corso di una concelebrazione eucaristica, Corecco aveva ammesso all’ordine presbiterale sei studenti del seminario diocesano e tre studenti del seminario Redemptoris Mater; al ritorno dalla Salette lo attendeva invece un consiglio direttivo della Consociatio[54].Il 17 maggio, il Giornale del Popolo aveva dato la notizia dell’elezione di padre Mauro Giuseppe Lepori, originario di Canobbio, classe 1959, ad abate del monastero cistercense di Hauterive nel canton Friburgo. Mauro Lepori aveva incontrato il movimento di Comunione e Liberazione mentre frequentava il Liceo di Lugano. Orientato fin dall’adolescenza ad una forma di vita consacrata, pensava al sacerdozio. Terminato il Liceo si iscriveva all’Università di Friburgo ed andava a vivere nella casa di Gambach, ponendo la sua vocazione sotto la guida di Corecco[55]. Conobbe l’abbazia di Hauterive per caso, chiedendo ospitalità per alcuni giorni perché doveva studiare per un esame, e capì che lì era la sua casa. Era il 1985, nel 1986 faceva la professione semplice e nel 1989 quella solenne. Corecco nel 1990 aveva voluto ordinarlo prete di persona, dopo che oltre alla laurea in filosofia padre Mauro aveva ottenuto anche quella in teologia. Ora a soli 5 anni dalla professione solenne, grazie ad un indulto, la sua comunità lo eleggeva abate[56]. La benedizione abbaziale era prevista per il 29 giugno e, malgrado le condizioni di salute, Corecco decideva di essere presente ad Hauterive[57]. Al ritorno era ricoverato all’Ospedale Civico e vi rimaneva fino all’8 luglio. Quel mese avrebbe dovuto rinunciare a due solenni celebrazioni mariane[58]. Era un momento difficile: «il Signore ha ancora margine di gioco, ma non deve aspettare troppo». Si affacciavano talvolta anche momenti di paura, di ribellione, ma in Corecco si chiariva che questo Getsemani era parte della sua missione: «ho l’animo a fior di labbro»[59].

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[47] Dal 7 al 9 giugno. L’intervento non era pesante dal punto di vista chirurgico, mentre lo era molto sotto il profilo psichico ( Monotti , Diario ).

[48] Su questo momento, cfr. ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1994-1.3.1995: 17 giugno 1994, «Carissimo Vescovo, sabato 11 giugno ero presente al Mte Tamaro. Ho sentito le sue parole quando diceva che Gesù è la persona più cara e subito ho guardato dentro la mia anima e non ho trovato Gesù come la persona più cara. La sua presenza così semplice e importante e le sue parole che parlavano di Gesù mi hanno fatto riflettere e mi hanno rattristato per il tempo che Gesù mi ha regalato fino a oggi e che io ho gettato in gran parte alle ortiche. Carissimo Vescovo, non ci siamo mai conosciuti personalmente e lei mi ha già dato tantissimo» (lettera di G. B.).

[49] ACorecco Lugano, Agenda 1994: 15-16 giugno.

[50] ACorecco Lugano, Epistolario post mortem , 23 giugno 1994; cfr. anche M. G. Lepori, Testimonianza di P. Mauro Giuseppe Lepori, Abate di Hauterive , in Bollettino Amici 8/XIV (gennaio 2010) 20-31, 28-30.

[51] Monotti , Diario ; per la predicazione alla Salette nel 1994, cfr. gli appunti manoscritti di Maria Vittoria Cherchi e di Rita Monotti , in ACorecco Lugano, Scat. 3, nr. 76/A; e cfr. anche ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1994-1.3.1995: 6 luglio 1994, «Monsignor vescovo Eugenio, ero con lei alla Salette e ho molto ammirato e apprezzato il suo lavoro ed il suo sforzo per sottrarre agli inganni e alle illusioni, alle spire del mondo i giovani e i giovanissimi che hanno avuto la grazia del cielo di ricevere il sacramento della confermazione da lei […]» (lettera di un giovane, che si sente chiamato alla vita consacrata).

[52] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1994-1.3.1995: 29 giugno

[53] ACorecco , Epistolario post mortem , Lettera F: 22 giugno 1994.

[54] ACorecco Lugano, Agenda 1994: 25 giugno.

[55] Cfr. sopra, n. 50, per il racconto di questo incontro.

[56] Giornale del Popolo, 17 maggio 1994, 3: pagina a cura di Bruno Boccaletti e di Moreno Bernasconi.

[57] Monitore ecclesiastico (1994) 377s.

[58] Monitore ecclesiastico (1994) 443: alla festa della B. Vergine del Carmelo di Giornico, quando è sostituito da mons. Giovanni Locatelli, vescovo di Vigevano (16 luglio) e alle solenni celebrazioni per il 400° del miracolo nella Basilica di Morbio Inferiore, presiedute dal Nunzio apostolico in Svizzera mons. Karl Joseph Rauber (29 luglio).

[59] Monotti , Diario : osservazioni di Corecco , riferite al 10 luglio 1994.

Il mese seguente gli riservava un nuovo, inatteso, grande dolore[60]. Il 16 luglio in un incidente di montagna periva il dottor Carlo Felice Beretta Piccoli, primario di medicina interna dell’Ospedale Italiano di Lugano, brillante nefrologo, amico di lunga data di Eugenio Corecco e suo medico curante. Carlo Felice Beretta Piccoli era stato tra gli universitari che per primi avevano partecipato ai ritiri con don Giussani e da allora non aveva più perso i contatti, approfondendo l’amicizia soprattutto con Corecco. Lasciava i genitori, la moglie e 5 figli. Anche per Corecco era un lutto straziante. «Vi confesso che avrei preferito se nessuno mi avesse mai posto questa domanda, che invece mi è stata rivolta, quasi con violenza e con la pretesa che il Vescovo potesse e dovesse darle una risposta. Perché è avvenuta la morte di Carlo Felice? In realtà è una domanda che anch’io, come tutti voi, sento emergere, insopprimibile, nel profondo della mia coscienza […] perché Dio, che potrebbe impedirlo, permette che la morte sopraggiunga, inaspettata, in circostanze non corrispondenti al corso normale della vita? Sappiamo che la grazia ed il miracolo sono possibili, ma ciò che non possiamo spiegare è perché a volte essi sono concessi ed a volte Dio non ce li concede […]. La morte di una persona non è mai conseguenza di una fatalità cieca ed anonima, perché l’uomo non appartiene ad un destino anonimo ed inafferrabile, ma ad un Dio personale, che ci ama intensissimamente. […] Ne consegue che, per noi, l’essenziale non sta nella capacità di interpretare gli eventi che ci concernono, magari anche durissimamente, ma nella capacità di affidare la nostra persona a Dio, con la certezza incrollabile che Lui vuole sempre e comunque il nostro bene […]»[61].

Corecco era già molto sofferente quando il card. Giuseppe Caprio, Gran Maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro, lo nominava Gran Priore per la Luogotenenza svizzera, al posto di mons. Vonderach, deceduto nel corso del mese di febbraio[62].

Alla fine del mese si celebravano solennemente a Morbio i 400 anni del miracolo all’origine della fondazione del santuario. Corecco non poteva presiedere alla cerimonia principale, affidata al Nunzio mons. Rauber, ma aveva compiuto una visita a sorpresa il 26 luglio e aveva celebrato la S. Messa, al termine della quale aveva invitato chi voleva e poteva a fermarsi con lui per la recita del Rosario. «“Siamo figli di Dio e quindi anche eredi, eredi di una ricchezza somma, tesoro e sostanza della nostra vita”. L’eredità che richiama immediatamente la dimensione dell’attesa, “è profondamente radicata nell’animo e nella cultura dell’umanità”. “Per questo […] l’uomo vive in forma più o meno esplicita, nell’attesa di ricevere un’eredità”. Per il cristiano “l’attesa si accompagna all’esperienza di sentirsi figlio di Dio”, esperienza che diviene scoperta “di chiamare Dio con il nome di Padre, vivendo la centralità del mistero d’amore nella persona di Gesù, la persona più cara”. Salutando i presenti, il vescovo ha ringraziato per le preghiere che, anche dal santuario di Morbio, vengono fatte per la sua guarigione. Lo ha detto con estrema serenità e partecipazione affettiva. Parlando di vita e in nome della vita. Con tanta fiducia. Anche con il sorriso»[63].

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[60] Ibid .: ne parlò come di una commozione.

[61] Dall’omelia per le esequie, 19 luglio 1994. Testo in Monitore ecclesiastico (1994)

[62] 438.62 Giornale del Popolo, 27 luglio 1994, 15.

[63] Giornale del Popolo, 31 luglio-1° agosto 1994, 14: servizio di Gianni Ballabio.

All’inizio di agosto si imponeva un ricovero in ospedale, che lo obbligava a rinviare un previsto viaggio a Montsvoirons[64], e doveva affidare a mons. Pierre Burcher, vescovo ausiliare di Losanna, i festeggiamenti a Cademario in occasione dell’ottavo centenario della nascita di santa Chiara[65]. Questo fu un mese tutto mariano, non solo perché segnato dalla festa della Madonna Assunta, che Corecco celebrava salendo al monastero di Claro e dal pellegrinaggio diocesano a Lourdes dal 22 al 26 agosto, ma soprattutto per lo sguardo che Corecco portava alla figura della Madonna, la cui vicenda culmina «“nella sua assunzione al cielo, perché esentata, in vista della sua maternità totale umana e divina di Gesù, dal peccato di ribellione nel quale è coinvolta l’umanità”. Proprio perché la morte è una conseguenza del peccato “la Vergine non la conosce. Il tempo determinato della vita terrena si conclude con la sua dormizione, secondo il termine usato dalla Tradizione, che segna il suo passaggio alla vita definitiva nel Paradiso”. Corecco ha richiamato la centralità della Madre di Dio nella storia della salvezza e nella nostra esperienza di fede, invitando a “riscoprire la verità della nostra devozione a Maria per cogliere il significato della sua missione, che appartiene in modo essenziale alla nostra fede e quindi alla nostra vita […] è modello al nostro cammino di fede e di adesione a Gesù, perché dall’inizio alla fine della sua esistenza terrena ha vissuto rispondendo con lo sguardo della fede alla chiamata. Per questo ci aiuta a conoscere Gesù. Ci avvicina a lui, diventa nostra mediazione. Così Maria appartiene in modo essenziale alla nostra fede e dobbiamo esserle devoti, superando la tentazione di ricorrere a lei solo per chiedere, radicandoci invece nella conoscenza del ruolo a lei affidato nella storia della salvezza”»[66]. Pochi giorni dopo, il 20 agosto, Corecco saliva in Leventina, a Bodio, per inaugurare la teleferica Ronc-Tinciareu, opera del patriziato locale voluta per valorizzare una zona di rara bellezza naturale. Era l’occasione per il vescovo di ricordare le sue radici, volgere un grato pensiero alle generazioni passate alle cui fatiche era dovuta l’odierna prosperità e per raccomandare la riconciliazione, la concordia e l’unione[67].

Dal 21 al 26 presiedeva il pellegrinaggio diocesano a Lourdes. Nell’omelia della S. Messa alla Grotta del 23 agosto, commentava la lettura dall’Apocalisse della Donna vestita di sole: «Il sole di cui è ammantata e le 12 stelle che le adornano il capo esprimono la piena trasfigurazione in Dio della sua persona. Tuttavia questa incantevole visione di Donna vestita di sole ci è presentata nel contesto di un dramma pauroso […] questa simbologia religiosa coglie in profondità il mistero di una lotta terribile sempre in atto nella storia della Chiesa. Di fronte a quel Bambino che Maria un giorno ha presentato al tempio, oggi come allora una scelta si impone, decisiva, immancabile. Se il sì della fede e dell’amore coincide con la gioia indicibile della salvezza, il no del peccato, al quale si collegano tutte le crudeltà diaboliche del nostro secolo, è causa di alienazione e di morte. È la storia tristissima del nostro secolo […] esser cristiani significa accettare questa lotta con lucidità di fede e con coraggio missionario […] Maria non è semplicemente una bellissima icona da contemplare, ma in virtù della sua maternità spirituale è intimamente legata alla storia di fatica e di lotta di ogni credente […] dalla dimora dei cieli, dove è incoronata regina si prende cura con materna carità dei fratelli del Figlio suo perché superando le prove della vita la raggiungano nella patria beata […] anche la Confessione dei peccati, che è innanzitutto Confessione dell’amore infinito di Dio, è già anticipo ed esperienza concreta della gioia immensa del Paradiso»[68]. Il 25 agosto durante la S. Messa veniva impartito il sacramento degli infermi. Nell’omelia ricordava ancora l’origine di questo sacramento: nella rivoluzione di rapporti che il Cristianesimo aveva portato, nelle Beatitudini («Beati gli afflitti perché saranno consolati»). Corecco sottolineava con forza il valore redentivo di questo sacramento: «se ha commesso peccati gli saranno perdonati». Ma soprattutto «È già una grande consolazione sapere queste cose e rendersi conto che la Chiesa, cioè la Comunità di tutti cristiani, ha il dovere, che nasce dalla sua natura stessa, dal suo esistere stesso, di occuparsi delle persone ammalate. Questa preghiera, questo olio versato sugli ammalati hanno un potere redentivo, salvano i cuori degli uomini, promuovono conversioni interiori, provocano lacrime di dolore per i nostri peccati, consolano, ci aiutano ad accettare la malattia e pure la morte, magari ci danno anche il dono della salvezza fisica. È difficile dire qual è il Sacramento, dopo l’Eucarestia, che dovremmo avere più caro, ma questo tocca le corde più profonde della nostra umanità, dell’uomo, che vive bene quando è sano, ma che vive nell’angoscia, quando è ammalato e intravede che potrebbe anche esser vicina la sua morte. Questo sacramento esprime la carità della Chiesa, la vostra carità nei confronti di tutte le persone ammalate. E la carità è l’apice dell’esperienza cristiana: tutto quello che facciamo e ci diciamo deve sfociare nella carità vicendevole, nella comunione. È un Sacramento che, se vissuto veramente bene, esprime l’essenza stessa della Chiesa, la ragione ultima per cui la Chiesa esiste: quella di perdonare i nostri peccati. […] Noi ora abbiamo domandato perdono a Dio davanti a tutti, perché ci siamo riconosciuti peccatori, abbiamo recitato il Confiteor e stiamo pregando assieme. Vi rendete conto di quanto sia grande la consolazione della persona, sentendo che gli altri pregano per la sua salvezza, del corpo e dell’anima. Personalmente sto facendo largamente questa esperienza. Mi auguro che ciascun ammalato, che abbiamo qui tra noi, possa vivere questa esperienza. Possa sentire che tutta la comunità diocesana prega per lui, per la sua salvezza, che può esser data anche attraverso la consolazione, attraverso la pace del cuore di fronte al pensiero della morte, con l’accettazione del fatto di dover morire. È la cosa più grande che dovremmo riuscire a fare nella vita, perché la morte è il momento più importante. […]. Dovete diffondere il significato di questo Sacramento tra i cristiani, perché lo stiamo riducendo a un breve rito, fatto quasi di nascosto all’ultimo momento, per non incutere paura nell’ammalato, mentre è il Sacramento che dovrebbe aiutarlo ad assumere consapevolmente la sua situazione [..]»[69].

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[64] ACorecco Lugano, Agenda 1994: all’Ospedale Italiano , 8-10 agosto.

[65] Monitore ecclesiastico (1994) 443.

[66] Giornale del Popolo, 16 agosto 1994, 8: servizio di Gianni Ballabio.

[67] Giornale del Popolo, 22 agosto 1994, 7.

[68] Giornale del Popolo, 24 agosto 1994, 13: articolo di d. G. F. (don Gianfranco Feli ciani, responsabile del pellegrinaggio).

[69] Cfr. trascrizione integrale omelia in Monitore ecclesiastico (1994) 439-442; a proposito del sacramento degli infermi, Corecco lo voleva ricevere prima di ogni intervento chirurgico e lo richiese in ogni momento grave della sua malattia, era per lui un sacramento per la vita (cortese comunicazione di Rita Monotti , Massagno).

In settembre assumeva al meglio i suoi compiti organizzativi: presentava la Linea spirituale agli animatori di Azione Cattolica Giovani, ma era mons. Giuseppe Bonanomi a celebrare la S. Messa in occasione della partenza delle Suore di S. Agostino, attive fin dalle origini nella Tipografia La Buona Stampa. Il 7 presiedeva una veglia di preghiera in cattedrale per la pace in Ruanda; il 9 celebrava la S. Messa alla Facoltà di Teologia ed incontrava i professori; l’11 concludeva a Morbio le celebrazioni dell’anno del IV centenario del miracolo[70]. Nell’omelia ritornava sul compito della testimonianza – «non essere sopraffatti dal drago e superare la contraddizione di cristiani che non vivono come cristiani» – con l’aiuto e seguendo l’esempio della Vergine, che ebbe come unico compito quello di mostrare nel mondo la Presenza di Gesù e faceva un esplicito accenno al progetto delle «zone pastorali», come punto di riferimento per un impegno ed un lavoro di dimensioni sovraparrocchiali[71]. Intanto era arrivato in Curia mons. Crescenzio Sepe, Segretario della Congregazione per il Clero, che avrebbe partecipato la sera seguente al Simposio presso il Palazzo dei Congressi sul tema La libertà religiosa tra Stato e Chiesa presieduto da Corecco[72]. Accanto al suo erano previsti gli interventi di Gian Piero Milano, docente di Diritto canonico ed ecclesiastico all’Università di Roma Tor Vergata ed alla Facoltà di Teologia di Lugano e del dott. Guido Corti, giurista dello Stato ticinese e già segretario del Tribunale Federale. Il simposio si inseriva nel quadro della settimana dedicata alla Storia religiosa della Svizzera presso la Villa Cagnola a Gazzada (Varese), a cura del Centro studi Paolo VI e guidata da padre Guy Bedouelle[73], evento che Corecco aveva caldeggiato ed avrebbe aperto la possibilità di realizzare un’altra opera che gli stava grandemente a cuore:

una storia religiosa del Ticino, che aggiornasse quella ormai datata di Alfonso Codaghengo[74]. Nel saluto di apertura del simposio, Corecco individuava chiaramente la crescente difficoltà che accompagnava il rispetto della libertà religiosa, non solo per l’evidente incapacità dimostrata dalle vicende di tutto il XX secolo, ma perché strettamente connessa con il concetto di libertà di coscienza, sempre più inteso come tendente «ad omologare qualsiasi forma di estrinsecazione della libertà come derivante dall’intangibile sacrario della coscienza, che arrischia di dare a questo principio un contenuto solo formale, da riempire di volta in volta non sempre con giustificazioni dottrinali che si impongono per il loro valore oggettivo ultimo. Il principio della libertà di coscienza potrebbe così divenire una fonte giustificativa di qualsiasi comportamento, purché non leda l’assetto normativo vigente o turbi la nozione corrente (in perenne evoluzione) dell’ordine pubblico»[75]. Ben diversa la posizione della Chiesa: «che non si accontenta di una nozione formale, ma persegue l’obiettivo di mantenere alla libertà di coscienza dei contenuti oggettivi, il cui fondamento può essere il diritto naturale oppure la rivelazione stessa. […] Se il nocciolo della questione è quello della libertà dell’individuo e dei gruppi, nei confronti del potere costituito, potenzialmente coercitivo, allora all’interno della Chiesa bisogna tenere conto del fatto che il Magistero non ha come missione fondamentale quella di omologare, dal punto di vista della liceità, ogni opzione della coscienza ed ogni conseguente comportamento soggettivo, così come sembra essere indotto a fare lo Stato, bensì ha il compito, per investitura sacramentale e non politico-democratica, di richiamare le coscienze alla verità oggettiva e, alla luce di questa, valutare la bontà del comportamento dei singoli. […] chi differisce o dissente nella Chiesa sui contenuti fondamentali della fede, non può invocare la libertà di coscienza, poiché si pone di sua iniziativa al di fuori della piena comunione ecclesiale, e ciò prima ancora e a prescindere da un intervento sanzionatorio dell’autorità ecclesiale. In tal senso è giustificata l’affermazione che la scomunica, per fare l’esempio principe, non è una pena in senso proprio, bensì la semplice constatazione o dichiarazione di un fatto, posto dal credente stesso»[76]. Quel medesimo giorno, Corecco aveva presieduto anche la S. Messa in occasione del rinnovo dei voti delle ascritte alla Compagnia di S. Teresa del Bambin Gesù in via Nassa[77]. Il 14 era al monastero agostiniano di S. Caterina di Locarno per la S. Messa e l’elezione della priora[78]. Le attività diocesane non impedivano a Corecco di guardare costantemente al ministero di Giovanni Paolo II ed era profondamente partecipe del suo impegno per la pace e per la vita. Invitava la diocesi a pregare per i progetti di Giovanni Paolo II, in particolare per la sua intenzione di visitare Sarajevo, tormentata dalla guerra, ed invitava tutti ad unirsi alla preghiera perché questo progetto potesse realizzarsi[79].

Sempre nel solco di questa appassionata sequela, dal 21 al 24, al Palazzo dei Congressi di Lugano, si teneva un importante Congresso europeo, dedicato a La famiglia alle soglie del III millennio, organizzato dall’Unione internazionale dei Giuristi cattolici e dalla Facoltà di Teologia di Lugano. Anche per l’ONU il 1994 era l’anno della famiglia, proprio mentre Giovanni Paolo II poneva questo tema come tappa fondamentale della nuova evangelizzazione. Nell’introdurre il convegno, Corecco si rallegrava della felice coincidenza e proseguiva con un excursus sulla vicenda giuridica del matrimonio. A partire dal XII secolo il diritto della Chiesa aveva fondato questo atto sul consenso e non sulla copula e questo impianto giuridico aveva a tal punto affascinato che anche il diritto civile lo aveva posto alla base del suo contratto, pur rinunciando ad altri caratteri, in primis quello dell’indissolubilità. Tuttavia il modello di riferimento canonico negli ultimi decenni era sempre più lontano da un diritto civile preoccupato di assicurare parità giuridica e sicurezza ad altre forme di convivenza umana. Questo imponeva alla Chiesa di chinarsi sul problema della famiglia in quanto tale, come istituzione umana e non esclusivamente cristiana. Nel fare questo la Chiesa interrogava prima di tutto il diritto naturale, terreno sul quale poteva trovare convergenze anche con il pensiero laico. Ma essa era chiamata anche ad offrire una riflessione teologica. Il Concilio aveva osato definire la famiglia «quasi una Chiesa domestica», spostando l’attenzione dal livello tradizionale sacramentale a quello della realtà sociale dell’ecclesiologia. Il matrimonio ha infatti una dimensione socio-ecclesiale, indipendentemente dall’esistenza della prole. Ma su questo aspetto la riflessione era ancora iniziale. Infatti la famiglia, osservava Corecco, «non è la cellula costitutiva delle Chiesa, come lo è per la società; neppure trasmette necessariamente la fede, che resta un dono, neppure è il luogo in cui si realizza la Chiesa, come lo sono le Chiese locali rispetto a quella universale, perché priva delle dimensioni costitutive (gerarchia e dimensione escatologica), è tuttavia l’istituzione necessaria ed imprescindibile per l’esistenza stessa della Chiesa».

«La Chiesa infatti non esisterebbe senza il sacramento del matrimonio. Non tanto perché il matrimonio è uno dei sette sacramenti istituiti da Cristo, ma perché il matrimonio genera la famiglia, è l’unico dei sette sacramenti a non essere, come ha intuito san Tommaso d’Aquino, un sacramentum tantum. È in effetti l’unico fra i sacramenti che ha un precedente reale già esistente nell’economia della creazione […]. Secondo il libro della Genesi l’unione tra l’uomo e la donna è l’evento verso il quale è finalizzata tutta la creazione. Un evento che ha già una dimensione sacra in sé stesso, essendo in grado di preannunciare il fatto che l’unione sponsale tra l’uomo e la donna, voluta esplicitamente da Dio Creatore, prefigura l’amore di Cristo per la Chiesa. Il matrimonio in facto esse, cioè la famiglia, è l’unico evento antecedente a Cristo che nell’economia della redenzione non avrebbe potuto non diventare un sacramento. […] Senza il matrimonio l’umanità sarebbe destinata ad estinguersi. Se il matrimonio non avesse assunto la forza efficace del sacramento la Chiesa rimarrebbe disincarnata dal mondo ed in posizione estrinseca rispetto alla storia dell’umanità, perché il sacramento del matrimonio rappresenta il punto di sutura tra la natura e la “sovranatura”. […] L’imprescindibilità, l’unicità e l’esclusività del sacramento del matrimonio in seno all’esperienza della Chiesa, come unica forma di rapporto spirituale e coniugale totale ed esclusivo tra l’uomo e la donna, è il patrimonio culturale che i cristiani oggi devono saper affermare di fronte all’umanità. Ciò non significa che possano esimersi dall’entrare in merito ai problemi legislativi attuali, che mirano a concedere la parità e la protezione giuridica ad altre forme parentali, o di convivenza tra persone di sesso diverso o uguale. Convivenze che, non originando dal matrimonio, non possono essere omologate alla famiglia»[80]. Nell’omelia, pronunciata durante il solenne pontificale di apertura, Corecco si era soffermato invece sul rapporto tra la Santissima Trinità, mistero centrale della fede, e la famiglia. Senza pretendere di penetrare in quello che rimane un mistero, solo intuibile, si proponeva di seguire le indicazioni che la Scrittura offre sul rapporto esistente tra il mistero trinitario e la famiglia: chiamati all’unione matrimoniale, l’uomo e la donna partecipano «alla fecondità del misero trinitario, conoscibile solo per fede. […] Al di là di tutti i tentativi di trovare in seno alla famiglia umana un riscontro dei rapporti specifici e irripetibili, esistenti tra le persone della Trinità, è tuttavia profondamente vero che la famiglia racchiude e approfondisce in sé stessa l’impronta del Dio Uno e Trino: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. […] Esiste, tuttavia, un altro momento centrale nella storia della salvezza, in cui il rapporto tra il mistero della Trinità e la famiglia diventa ancora più stringente, rispetto alla primigenia rivelazione della Genesi. La sacra famiglia di Nazareth, infatti, è il primo ambito umano in cui la Trinità si è rivelata al mondo in modo immediato ed esplicito […] distinguendo in sé stessa l’esistenza di tre Persone. Il mistero dell’esistenza delle tre Persone divine è entrato così inequivocabilmente nella storia degli uomini, attraverso la famiglia. Ma ciò non vale soltanto per la famiglia di Nazareth […]. Da sempre, l’educazione cristiana in seno alla famiglia è iniziata invitando i bambini al segno della croce: è il segno attraverso il quale il bambino apprende che la sua persona trova origine ultima nel misero della Trinità. È il momento nel quale la famiglia esplicita il sacramento del battesimo, attraverso il quale l’uomo viene e assunto a partecipare misteriosamente ma realmente al mistero del Dio vivente in tre persone. “Andate e battezzate tutte le genti, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Il fatto che, nella condizione concreta della nostra vita, questa consapevolezza non sia certo frequente non significa che essa possa essere considerata di importanza secondaria rispetto allo sforzo che tutti i cristiani, degni di questo nome, compiono per vivere una vita morale». Corecco riprendeva in questo modo il pressante invito perché le famiglie riscoprissero la loro fondamentale missione educativa, che Giovanni Paolo II aveva espresso nella Familiaris Consortio[81]. Al termine del convegno, il 24 settembre, presiedeva in Curia il Consiglio direttivo della Consociatio. Il giorno seguente era a Cabbio, per la Cresima[82]. Il tema della vita, della sua sacralità, tornava prepotentemente in primo piano pochi giorni dopo, quando Corecco benediceva a Locarno la cappella dell’Ospedale La Carità, istituto all’avanguardia per quella che era chiamata «procreazione medicalmente assistita». Un eufemismo – pari a «interruzione volontaria di gravidanza» – che, come denunciava Corecco, serviva a celare le crude realtà dell’aborto e della riproduzione medicalmente assistita[83]. Qualche mese prima, i grandi progressi tecnici realizzati a proposito della fecondazione in vitro erano stati presentati durante una giornata di studio alla biblioteca cantonale della città, in toni abbastanza trionfalistici e soprattutto senza alcun accenno all’esistenza di problematiche morali[84]. La mattina del 28, prima di andare a Locarno, aveva ricevuto in Curia la visita dei ragazzi dell’Oratorio e dei cresimandi di Rancate e Besazio[85]. Il 30 settembre celebrava la S. Messa in S. Rocco ed incontrava le associazioni professionali cattoliche, rinnovando il mandato che aveva loro consegnato all’inizio[86]. «Malgrado l’allegria il pensiero della morte mi è sempre presente. È meno angosciante, almeno per ora, poi al momento… Ho poco tempo per la preghiera, ma è sempre meno formale e sempre presente»[87].

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[70] Monitore ecclesiastico (1994) 527.

[71] Giornale del Popolo, 12 settembre 1994, 10: servizio di Gianni Ballabio.

[72] Monitore ecclesiastico (1994) 527.

[73] Cfr. la presentazione in Giornale del Popolo, 8 settembre 1994, 30; per gli atti, cfr. F. Citterio – L. Vaccaro (a cura di), Storia religiosa della Svizzera , Milano 1996; per l’edizione francese, cfr. G. Bedouelle – F. Walter, Histoire religieuse de la Suisse , Fribourg 2000.

[74] Si tratta di A. Codaghengo , Storia religiosa del Cantone Ticino: note storiche, agiografia, appunti biografici, memorie religiose della Svizzera italiana , 2 voll., Lugano 1941; il nuovo stu dio, tanto auspicato, sarebbe uscito qualche anno dopo, a cura di L. Vaccaro – G. Chiesi – F. Panzera, Terre del Ticino. Diocesi di Lugano , Brescia 2003.

[75] Monitore ecclesiastico (1994) 482-485: Apertura e saluto alla tavola rotonda “La Libertà religiosa fra Stato e Chiesa” , Lugano 12 settembre 1994.

[76] Ibid .

[77] Ibid. , 528.

[78] Ibid .

[79] ACorecco Lugano, Corrispondenza 1994-1.3.1995: 10 settembre 1994, risposta di mons. Dziwisz che ringrazia, a nome del Santo Padre, per un precedente messaggio di Corecco a Giovanni Paolo II, con il quale prende parte alla sua sofferenza per la dolorosa rinuncia; 16 settembre 1994, la Segreteria di Stato risponde a sua volta.

[80] Cfr. Monitore ecclesiastico (1994) 486-491: Benvenuto e introduzione ai partecipanti al Congresso europeo su «La famiglia alla soglia del III millennio» ; per l’importanza delle conside razioni di Corecco sulla famiglia, cfr. A. Scola con L. Geninazzi, Ho scommesso sulla libertà , Milano 2018, 155: «Mi ricordo che fui colpito da un giudizio del mio amico monsignor Corecco […]: il venir meno della soggettività della famiglia disincarna il cristianesimo. E questo ovviamente lascia ampio spazio alla secolarizzazione e alla scristianizzazione».

[81] Monitore ecclesiastico (1994) 492-495: omelia per il pontificale di apertura del Congresso europeo su «La famiglia alle soglie del III millennio», Lugano 21 settembre 1994.

[82] ACorecco Lugano, Agenda 1994.

[83] Monitore ecclesiastico (1994) 497-499: omelia in occasione della benedizione della cappella dell’Ospedale La Carità, Locarno 28 settembre 1994.

[84] Cfr. M. Bernasconi, La fecondazione in vitro non è una terapia contro la sterilità , in Giornale del Popolo, 26-27 febbraio 1994, 11.

[85] ACorecco Lugano, Agenda 1994.

[86] Monitore ecclesiastico (1994) 528s.; e sopra, cap. IV, § 4.3.2.

[87] Monotti , Diario.

In ottobre, il primo, teneva in Cattedrale le nuove ordinazioni presbiterali e diaconali, il giorno seguente a Taverne presiedeva la giornata d’inizio attività dell’AC. Il 3 ottobre, giorno del suo 63mo compleanno, partecipava al Palazzo dei Congressi alla giornata di riflessione organizzata dall’ATTE: «Permettetemi di tentare un parallelo tra la malattia grave e la terza o quarta età, non certo perché queste ultime siano una, o la malattia della vita… […]. Prescindendo dall’evidente diversità esiste […] un fatto comune: quello del tempo. Nell’uno e nell’altro caso una persona si accorge che il tempo stringe […]. Per quanto mi concerne, mi sono accorto che, in questa situazione, l’essenza della vita si è concentrata, assumendo uno spessore esistenziale molto più forte di prima. Immagino che moltissimi tra di voi se ne siano accorti. La vita assume una dimensione di urgenza, prima insospettata, anche se l’ipotesi di guarire o di poter vivere a lungo fosse reale. Si capisce che, oltre ad essere irripetibile, il tempo è diventato breve, per cui deve essere vissuto ed apprezzato più intensamente di prima. Questo non certo per quello che si riesce ancora a fare, ma per quello che si vive interiormente, paragonando sé con sé stessi ed il proprio destino […]. Anche facendo questa constatazione non intendo affatto caricarla di significato negativo. […] deve diventare una possibilità per prendere consapevolezza di sé stessi. Tanto più che per acquisire questa coscienza della vita e del significato del nostro destino non è mai troppo tardi. Può sopraggiungere anche alla fine, e questo basta»[88]. Ed il mese proseguiva con una serie regolare di impegni[89], quasi quotidiani: il 5 apriva l’anno accademico alla Facoltà di Teologia con una S. Messa in via Nassa; il 6 era a Bellinzona per l’Assemblea del Consiglio del Clero e l’8 a Lucino dove benediceva la nuova ala del Liceo diocesano; lo stesso giorno amministrava la Cresima a Giubiasco. Il 9 partecipava a Trevano alla Giornata diocesana della famiglia; il 13 riceveva in Curia la visita dei bambini della Scuola elementare Piccolo Principe ed il giorno seguente presiedeva la veglia di preghiera con i brancardiers di Lourdes in Cattedrale. Era un appuntamento atteso e si trattava di tenere fede alla promessa, fatta al termine del pellegrinaggio diocesano, di ritrovarsi presto. Era un incontro «da apprezzare fino in fondo, perché l’essere qua è un fatto che ci costituisce. Non un qualcosa di occasionale, ma un momento bello, appagante, irrinunciabile. Esprime infatti quello che siamo»[90]. «Gioia per il momento di preghiera con il Vescovo, un momento forte del nostro comunicare con lui, in amicizia e preghiera», ribadiva Ivo Pellegrini, mentre don Gianfranco Feliciani ricordava la vocazione «ad aderire a un’impresa che supera i calcoli e i progetti umani, per rendere la fede testimonianza viva. Per aderire con il coraggio della fede al progetto della nuova evangelizzazione, per rispondere al mondo che predica l’antivangelo». In chiusura Corecco ricordava come a Lourdes alcuni avessero preso coscienza della loro vocazione «giovani che hanno definito la loro scelta del matrimonio, altri che hanno maturato la loro chiamata verso il presbiterato […]. Apriamo i nostri orizzonti all’impegno missionario della Chiesa, che significa prima di tutto capacità di coinvolgere dentro la prospettiva ecclesiale le persone più vicine e più care. A cominciare dalla propria famiglia […]. Per questo Lourdes allarghi i vostri cuori, spacchi i confini, vi faccia guardare alla fede con la responsabilità della testimonianza assunta in modo sempre più grande»[91]. L’allusione alla necessità di fare partecipi del cammino della fede i più prossimi ritornava spesso e non era astratta per Eugenio Corecco, confrontato come era con il dolore dei suoi stretti familiari per la sua malattia. Il 15 settembre teneva la prima lezione al nuovo corso di formazione per gli animatori della pastorale giovanile; il 16 amministrava la Cresima a Pazzalino; il 19 era ad Ascona al Papio, dove benediceva la nuova sala multiuso e presiedeva la S. Messa. Il 23 era a Bedigliora per la Giornata missionaria mondiale[92]; il 29 a Lugano partecipava ai festeggiamenti per il 70° di presenza delle Suore di S. Brigida e si spostava poi a Tegna per le Cresime. Il 30 presiedeva in S. Francesco a Locarno la S. Messa in occasione del 70° della comunità cattolica di lingua tedesca[93]. Nell’adempimento fedele dei suoi compiti: «Sento la morte che mi ghermisce. In questi giorni è più forte»[94].

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[88] E. Corecco , Sulla malattia e sulla sofferenza , in Quaderni di Caritas, Lugano 2005 (ristampa), 18.

[89] Cfr. per le date Monitore ecclesiastico (1994) 615s.

[90] Così Corecco in apertura della veglia, cfr. Giornale del Popolo, 17 ottobre 1994, 12: servizio di Gianni Ballabio.

[91] Ibid .

[92] Cfr. anche Giornale del Popolo, 24 ottobre 1994, 13: con padre Luigi Geranio, missionario in Tanzania, padre Guido Zanetti, in missione nello Zimbabwe, e don Emilio Conrad, parroco a Barranquilla in Colombia.

[93] Monitore ecclesiastico (1994) 615s.

[94] Monotti , Diario : 16 ottobre 1994.

All’inizio di novembre, dal 2 al 4, Corecco partecipava a Roma, in qualità di presidente, al convegno L’espressione canonica della famiglia fondata sul matrimonio dinanzi al III millennio, patrocinato dalla Consociatio nell’Ateneo Romano della S. Croce. Nel tardo pomeriggio del 4 era di nuovo a Lugano e parlava all’Hotel de la Paix sul tema La Chiesa e la Massoneria, chiarendo i cambiamenti intervenuti dopo il Concilio Vaticano II[95]; il giorno dopo teneva la II lezione al corso di formazione per gli animatori della pastorale giovanile; era in seguito ad Arogno dove amministrava la Cresima e visitava la Casa per anziani Tusculum.

Il 6 novembre, festa di san Carlo Borromeo patrono della diocesi, era l’occasione per accogliere ufficialmente padre Mauro Lepori, che presiedeva in Cattedrale la S. Messa solenne. Si trattò di un incontro profondamente personale e profondamente ecclesiale. Corecco salutava padre Mauro: «Oggi festeggiamo la tua elezione ad abate dell’ordine cistercense, che aveva suscitato qualche sussulto nel mondo monastico d’Europa [a causa della giovane età], ma quelli che ti conoscevano da molto tempo per il lungo cammino compiuto insieme con Comunione e Liberazione non ne sono stati sorpresi e ci rallegriamo nel vedere che i tuoi monaci hanno subito scoperto le profondità spirituali e la saggezza, che molti già avevano intuito […]; la tua scelta diviene un arricchimento per tutti noi e quando non sapremo più dove guardare con sicurezza potremo sempre venire da te». Padre Mauro rispondeva: «Quando penso alla paternità penso alla tua persona, perché ogni paternità richiama una figliolanza» e coglieva, nell’accoglienza ricevuta in Cattedrale, «un gesto di gratitudine nei confronti di te [Corecco] riconoscendo con la mia comunità la gratitudine verso la tua paternità nei miei confronti. […] Ti accogliamo come familiare nella nostra abbazia e sarai particolarmente presente nella nostra preghiera e nella nostra offerta. Con te accogliamo nel nostro ricordo e nella nostra vocazione monastica la tua Chiesa ticinese»[96]. Il giorno seguente volava a Ginevra per recarsi poi al monastero di Montsvoirons[97]. Sperava, nella pace di quel luogo, di scrivere il suo testamento, sebbene non avesse grandi beni materiali di cui disporre[98]. Nelle meditazioni sui Vangeli di quei giorni, a partire da Luca 17,1-6, Corecco esprimeva la stupita coscienza dell’identificazione della persona con Cristo, iniziata con il battesimo e rinnovata attraverso la celebrazione dell’Eucarestia. La mossa iniziale del suo primo commento era quasi intrisa di timore, a causa della gravità dello scandalo in cui l’uomo poteva incorrere, ma subito seguiva la consolazione del perdono, possibilità incessantemente offerta dalla mediazione di Cristo: da lì l’affidamento totale a questa Presenza e la chiara intuizione della novità portata da Questa. Ricordando la domanda che gli aveva posto un giovane sulla differenza tra i dieci comandamenti e le Beatitudini, Corecco ridiceva il frutto della sua riflessione. La differenza non era né superficiale né ovvia: «le Beatitudini non sono precetti, né auspici, le Beatitudini sono Cristo stesso, ci dicono quello che Lui è. La vita cristiana è partecipazione a quello che Lui è. In questo si radica l’aspetto di profezia e compimento della vocazione monastica claustrale»[99]. Pochi giorni dopo, il 12 novembre[100] a Lugano un momento di festa: si teneva al Palazzo dei Congressi la giornata di studio Antropologia, fede e diritto ecclesiale. Il contributo di Eugenio Corecco alla canonistica post-conciliare, con la presentazione di un volume di suoi scritti, raccolti ed ordinati da Libero Gerosa e Ludger Müller[101]. In quell’occasione l’Università di Bari gli conferiva il suo Sigillo d’Oro e la Gregoriana gli trasmetteva una medaglia, in riconoscimento del suo impegno scientifico. Intervenivano alla giornata, commentando ed approfondendo l’opera canonistica ed ecclesiale del vescovo di Lugano, Julien Ries dell’Università di Lovanio[102], Peter Krämer dell’Università di Eichstätt e Rinaldo Bertolino dell’Università di Torino[103]. Anche per Corecco era l’occasione per tracciare un bilancio della sua attività e ne scaturirono osservazioni di sconcertante umiltà e grata soddisfazione: il suo lavoro era stato per lui fonte di gioia ed occasione per costruire legami di profonda amicizia. Riconosceva che gli approcci al diritto canonico potevano essere molteplici, lui da prete qual era non poteva se non privilegiare l’approccio teologico. L’originalità del suo pensiero non era scaturita da «un’elucubrazione intellettuale», ma dall’osservazione della dinamica dei rapporti di fede, come li vedeva vivere tra i giovani di Comunione e Liberazione[104]. Il giorno seguente amministrava la Cresima a Tesserete; il 15 novembre saliva a Cademario dalle Clarisse ed il 17 visitava il Seminario Redemptoris Mater a Melano; nel giorno intermedio era volato di nuovo a Ginevra, questa volta per recarsi a Losanna a consultare un medico, specialista della medicina del dolore[105]. Il 18 riceveva in Curia la visita di Oscar Cullmann[106] ed in serata incontrava il movimento dei Neo-catecumenali in Cristo Risorto; il 19 novembre riceveva la visita di don Giussani. Insieme ricordarono il comune amico e medico Carlo Felice Beretta Piccoli. Per don Giussani sussistevano le condizioni per avviare un processo di beatificazione. «Ci vorrebbe un segno», osservava Corecco e, quasi ridendo di sé, aggiungeva: «tiro sempre l’acqua al mio mulino»[107]. Il 20 amministrava la Cresima a Viganello; la sera incontrava la Commissione pastorale giovanile ed i responsabili dei movimenti e dei gruppi giovanili[108]. Lo stesso giorno, approfittando della sua familiarità con il Papa, gli aveva scritto per sollecitare un’udienza privata per don Giussani, per il 40° del movimento di Comunione e Liberazione. Corecco ricordava a Giovanni Paolo II «la grande attenzione che ha sempre avuto verso Comunione e Liberazione», un movimento «nel quale ho trascorso un’arricchente esperienza ecclesiale, mantenendo, soprattutto con la prima generazione dello stesso, significativi contatti di amicizia personale»[109]. Il 22 visitava il cantiere della nuova chiesa di Mogno. Volava poi a Roma, il 25 novembre, con un gruppo di pellegrini e partecipava al Concistoro pubblico in cui era eletto cardinale mons. Gilberto Agustoni[110]. Il 27 presiedeva la S. Messa ed inaugurava i restauri della chiesa parrocchiale di Melano; aderendo al pressante invito di Mimi Bonetti Lepori, andava poi a Trevano a parlare sulla sofferenza e sulla malattia nel quadro di un incontro patrocinato dalla Caritas[111]. L’incontro era stato annunciato sul Giornale del Popolo: «Cosa può significare parlare ad altri della propria malattia? Confidarsi, chiedere, sfogarsi, partecipare? Domenica pomeriggio – prima domenica di Avvento – presso l’Aula Magna della Scuola Tecnica Superiore di Trevano Caritas Ticino organizza un incontro con il Vescovo alle 16.00. È aperto a tutte le persone che, vivendo in prima persona o essendo confrontate con l’esperienza di sofferenza e di malattia, desiderano incontrare il vescovo e vivere con lui un momento di profonda comunione»[112]. Al centro della riflessione pose non solo l’accettazione della sofferenza, ma il suo valore: «Gesù ha fatto sua tutta l’esperienza umana, ha sudato sangue. Significa che la sua paura di fronte alla morte ha superato tutti i limiti dell’espressione umana. Vuol dire che ha avuto veramente paura di scomparire nel nulla […]. Sulla Croce ha gridato: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?… noi non sudiamo sangue perché nella nostra esperienza non realizziamo tutta la forza dell’umanità presente in Gesù, che ha riassunto in sé stesso l’esperienza di tutti. […]. L’uomo è sminuito dalla malattia, se la vive con fede essa può diventare un’immensa grazia di Dio. Ciò che mi sta capitando è una grazia»[113]. Aderire all’insistente invito di Caritas non era stata per lui una cosa scontata, ma, come altre, una decisione sofferta ed alla fine un’opportunità umilmente accolta[114]. Più volte infatti si era sorpreso a costatare:

«sono più utile da malato che da sano». Aveva sempre cercato il contatto con il suo popolo, ne aveva valorizzato di cuore tutte le espressioni di fede, ma aveva anche spesso sentito una distanza, come se la sua figura o il suo tratto incutessero una soggezione che non riusciva a superare. Ora, non solo l’aver condiviso la sua condizione di malato aveva rotto ogni separazione, tanto che la gente – e soprattutto i malati – lo sentiva vicino[115], ma qualcosa dentro di lui era cambiato e sentiva compiersi in lui qualcosa di profondamente desiderato[116].

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[95] Cfr. sopra, cap. IV, § 8.3.

[96] Giornale del Popolo, 7 novembre 1994, 12: servizio di Gianni Ballabio.

[97] ACorecco Lugano, Agenda 1994: 7-9 novembre a Montsvoirons , rientro ad Agno il 9 alle 22 e 15.

[98] Avrebbe poi scritto il suo testamento il 14 febbraio 1995: nominava mons. Giuseppe Bonanomi suo esecutore testamentario, sua erede la Fondazione Vincenzo Molo, ai suoi diocesani lasciava le sue riflessioni sulla sofferenza. Il 30 gennaio 1988 Corecco aveva già scritto un testamento olografo, dichiarando sua erede universale la Diocesi con l’onere di fare qualche legato in accordo con la sorella Stefania, cfr. ACorecco Lugano, Corrispon denza 1994-1.3.1995.

[99] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1994: Homélies du Père Corecco , Les Voirons 7-8-9-novembre 1994. Cfr. testo integrale negli Annessi.

[100] Monitore ecclesiastico (1994) 671.

[101] Cfr. E. Corecco , Ordinatio fidei . Schriften zum kanonischen Recht , hrsg . von L. Gerosa – L. Müller, Paderborn 1994.

[102] Per il suo contributo, cfr. J. Ries, L’«homo religiosus » e l’uomo nuovo nel diritto della Chiesa. Diritto canonico e antropologia cristiana , in Bollettino Amici 3/IV (marzo 1999) 2536.

[103] Cfr. Giornale del Popolo, 14 novembre 1994, 3: servizio di Gianni Ballabio; per gli atti del convegno, cfr. L. Gerosa (a cura di), Antropologia, fede e diritto ecclesiale. Atti del Simposio internazionale sugli studi canonistici di Eugenio Corecco , Lugano 12 novembre 1994 , Milano 1995.

[104] Così in Discorso di ringraziamento di Eugenio Corecco , raccolto da Libero Gerosa, in Gerosa (a cura di), Antropologia, fede e diritto ecclesiale , 140.

[105] ACorecco Lugano, Agenda 1994: 16 novembre.

[106] ACorecco Lugano, Agenda 1994.

[107] Monotti , Diario.

[108] Monitore ecclesiastico (1994) 671.

[109] ACorecco Lugano, Corrispondenza 1994-1.3.1995: lettera del 20 novembre 1994; cfr. anche ibid ., lettera a Giovanni Paolo II del 17 dicembre 1994: un’annotazione a mano a margine: «Grazie per aver ricevuto mons. Giussani».

[110] Monitore ecclesiastico (1994) 671s.

[111] Ibid. , 672s.

[112] Così Gianni Ballabio sul Giornale del Popolo, 24 novembre 1994, 17.

[113] E. Corecco , Sulla malattia e sulla sofferenza , in Quaderni di Caritas Ticino, Lugano 1995, 21-34: Sulla malattia e sulla sofferenza, Trevano 27.1.1994.

[114] Monotti , Diario.

[115] Così don Pierangelo Regazzi, protagonista di un notevole cambiamento personale, nella sua testimonianza, cfr. P. Regazzi, Corecco viveva una piena comunione con Roma , in Bollettino Amici 11/XX (settembre 2016) 93-98.

[116] Egli stesso lo riconosceva in un colloquio con Corinne R., una giovane che aveva conosciuto negli anni ’80 quando era studentessa di medicina a Losanna. Corinne si era poi ammalata di tumore, aveva affrontato pesantissime cure che le avevano provocato una parziale infermità. Il rapporto con Corecco non si era mai interrotto e frequentemente lo veniva a trovare a Lugano per cercare il suo conforto. Spesso però si lamentava e gli rimproverava di non capire davvero la sofferenza legata alla condizione della malattia. Ora, confrontato lui stesso con questa circostanza, Corecco le confessava: «Finalmente ti capisco » (testimonianza di Consuelo Guffi-Morresi, Lucino/Breganzona, settembre 2018); per le lettere a questa corrispondente, cfr. Epistolario , in Bollettino Amici 6/VII (luglio 2004) 31-40: dal gennaio 1990 ad aprile 1992, dall’inizio della malattia di Corinne all’inizio della sua.

Il 4 dicembre amministrava la Cresima a Castione. Il 9 dicembre il Giornale del Popolo annunciava la morte del vescovo emerito Giuseppe Martinoli, all’età di 91 anni. Corecco gli dedicava una meditazione, commossa e profondamente personale, che ripercorreva i lunghi di anni di lavoro al servizio dei vescovi, quando incarnava il rigore e la severità dell’istituzione, fino alla nomina episcopale che aveva rivelato la profonda umanità della sua persona: «quel giorno era veramente felice. La felicità di una persona che sa di aver lavorato a lungo e vede la Chiesa premiarlo, conferendogli proprio quel ministero episcopale, di cui era sempre stato “il servo buono e fedele” […] il clero l’ha capito e l’ha amato proprio vedendolo così felice […]. Oggi, il Vescovo Giuseppe è passato all’altra vita portando tutti noi, consapevolmente o inconsapevolmente, nel suo cuore, perché nel cuore di un Vescovo che muore, sono iscritte tutte le persone che in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare con lui, rappresentante di Cristo sulla terra. Il giudizio che il Signore esprimerà su di lui è un giudizio che viene espresso anche su di noi […]. Assieme a lui saremo giudicati anche noi, perché il rapporto che ci lega al Vescovo non è solo di natura umana e sociale […] è un rapporto più profondo, perché nascendo dalla comunione ecclesiale coinvolge e determina la nostra salvezza e il nostro destino eterno […] ogni Vescovo è giudicato perciò da Cristo sul rapporto nella fede intrattenuto con i fedeli che Cristo gli ha affidato, ed ogni fedele è giudicato dal rapporto avuto con il Vescovo che lo stesso Cristo, attraverso la Chiesa, gli ha donato per guidare il cammino della sua vita [..] la moralità del cristiano non si esaurisce nella pratica dei 10 Comandamenti e delle Beatitudini. Si estende anche al rapporto che ha avuto con la comunità dei cristiani, cioè con la Chiesa, e di conseguenza anche con il proprio Vescovo e con il Papa»[117]: Corecco scriveva anche l’omelia, letta dal vicario generale mons. Giuseppe Torti, durante i funerali celebrati da mons. Pierre Mamie, presidente della CVS. Il suo stato di salute gli aveva impedito di presenziare[118] ; ed il 16 dicembre era don Carmelo Andreatta, assistente della pastorale giovanile, a presiedere la S. Messa per i giovani di associazioni, gruppi parrocchiali e movimenti ecclesiali[119]. Tuttavia era Corecco a annunciare sul Giornale del Popolo una serie di contributi affidati ai professori della Facoltà, per presentare gli articoli del Credo, seguendo le tracce del Catechismo della Chiesa cattolica. «Il tempo liturgico dell’Avvento è l’occasione favorevole perché l’invocazione della liturgia che “il Giusto venga dal cielo come pioggia ad irrorare la terra deserta” si avveri nelle nostre persone. Gesù Cristo è il Giusto; è la rugiada che placa la sete interiore dell’uomo. È Lui infatti il contenuto della nostra fede. Tuttavia se il nostro incontro e il nostro rapporto con Lui dovessero rimanere una pura affermazione senza penetrare profondamente nella nostra vita e nel nostro destino, la nostra fede rischierebbe di dissolversi come la rugiada al primo sole […] la prova che il nostro incontro con Cristo è davvero avvenuto è data dalla nostra capacità di darne agli altri testimonianza: “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione delle speranza che è in noi”, ci ammonisce infatti san Pietro»[120]. Il 17 dicembre scriveva anche a Giovanni Paolo II, prima di tutto per «esprimerle tutta la mia affezione che si traduce nella preghiera al Verbo che si è fatto carne, perché illumini la sua mente, il suo cuore e tutta la sua persona. Le comunico che la mia situazione di salute non è cattiva anche se momentaneamente i medici mi hanno costretto al riposo assoluto per guarirmi da un’infiammazione assai dolorosa al bacino. Questo mi permette di capire Santo Padre quanto la sua sofferenza possa esser difficile da sopportare, anche se ha la configurazione della croce destinata comunque alla risurrezione. Ogni tanto mi capita di leggere nei giornali discussioni attorno alla sua capacità di governare la Chiesa. So benissimo che queste insinuazioni, soprattutto quando sono fatte da ecclesiastici, toccano un punto molto sensibile della nostra persona di pastori, perché tendono a destabilizzare il nostro essere, il quale in ultima analisi si trova solo nell’affrontare il problema. Il noi che ho usato significa evidentemente che le stesse insinuazioni sono state fatte anche nei miei confronti. La differenza sta nel fatto che un vescovo ha sempre il papa con il quale può confidarsi e con l’aiuto del quale agire nell’obbedienza. Mi permetta perciò di dirle che il pensiero delle dimissioni, legato ad una presunta debilitazione nell’esercizio del ministero petrino, non deve neppure sfiorare la sua coscienza e la sua mente. Basta una sua parola detta alla Chiesa, come potrebbe essere la sua Lettera ai bambini, per giustificare ampiamente l’esercizio del suo ministero nel presente e anche nel futuro […]»[121]. La risposta, con firma autografa di Giovanni Paolo II, non tardava: «Desidero manifestarLe la viva gratitudine per tale atto di comunione ecclesiale, che mi ha procurato grande conforto. Mentre ricambio le gentili espressioni, imploro per Lei dal Salvatore divino, che ci apprestiamo a contemplare nell’ineffabile mistero della natività nella grotta di Betlemme, pienezza di consolazioni, auspicando un completo ricupero della sua salute […]»[122]. Ed in verità come aveva confidato al Papa, Corecco aveva dovuto delegare molti impegni: il 3 dicembre era stato don Luigi Negri a tenere la veglia d’Avvento per i giovani a Locarno[123] e la S. Messa in Cattedrale per i giovani era stata celebrata da don Carmelo Andreatta[124]. Corecco comunque neppure in questo momento aveva cancellato le udienze[125]. Dal 22 al 30 dicembre si imponeva un ricovero all’Inselspital di Berna[126]. Da lì mandava alla diocesi il suo messaggio di auguri natalizio: «La nascita di un bambino, in qualsiasi situazione avvenga, anche tra le più dolorose della vita, è sempre un momento magico: fa nascere in tutti una grande voglia di festa. Per noi cristiani la nascita di Gesù è un giorno di gioia per un motivo incommensurabilmente più profondo […] con questo Bambino inizia la storia della nostra salvezza che, oltre a concederci il perdono di tutti i peccati, ci dà la possibilità di conoscere il vero volto di Dio, quello della Trinità. Il Natale è tuttavia un momento di gioia mai disgiunto dal dolore. Non lo fu neppure il primo Natale […] tuttavia, anche gli innumerevoli Natali celebrati dai cristiani nel quadro di immani sofferenze fisiche e morali non hanno mai perso quell’attimo di gioia insopprimibile provocata dalla nascita di Cristo […]. Cari fratelli e sorelle, come il Natale di Nostro Signore, così come quello di moltissimi cristiani e della stragrande maggioranza degli uomini e delle donne di questo nostro pianeta, anche il mio è tinto quest’anno non solo di gioia ma anche con po’ di dolore […] evidentemente non esiste nessuna proporzione tra il dolore di Cristo sulla croce, tra quello da cui sono afflitti miliardi di persone e la sofferenza fisica e morale di chi subisce un intervento chirurgico in un ospedale moderno e super attrezzato […] tuttavia un rapporto tra queste diverse manifestazioni della sofferenza umana esiste. Sta nel fatto che tutti coloro che soffrono, indipendentemente dalla gravità della loro sofferenza, possono diventare sull’esempio e credendo in Cristo fonte di purificazione e di espiazione del male commesso da noi stessi, nella nostra società e nel mondo intero […] so benissimo che […] posso avvalermi di un privilegio straordinario: quello di essere accompagnato dalla vostra preghiera. So di aver accumulato, grazie a voi, un patrimonio di preghiere così enorme, che mi permette di superare ogni difficoltà, come lo permetterebbe a qualsiasi altra persona. La difficoltà maggiore, del resto, non viene mai dalla sofferenza fisica e morale in quanto tali, bensì dall’accettare la malattia come un segno della presenza di Dio nella nostra vita. Di fronte a questo segno siamo invitati a pronunciare interiormente il nostro “sì”, come ci invita a fare la preghiera modello del cristiano, il Padre Nostro: “sia fatta la tua volontà”. Del resto anche per Cristo il momento più difficile da superare non è stato quello della Croce, ma quello dell’orto del Getsemani, quando sudando sangue, ha avuto la netta percezione di dover promettere al Padre di compiere la sua volontà: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Sono sicuro che l’immenso patrimonio di preghiere da voi accumulato in questi anni per aiutare il vostro Vescovo, sarà anche questa volta efficace. Proprio in forza di questa certezza faccio il possibile per accettare dal Signore questa difficoltà. Sono però sicuro che l’aiuto che vi apprestate a darmi avrà un risvolto benefico anche per voi […]»[127]. La S. Messa di Natale per Corecco era stata celebrata nella sua camera di ospedale; soffriva ed era scoraggiato:

«ho detto cose che non sono in grado di vivere… questo è un giorno da passare in preghiera. Aiutatemi a pregare!»[128]. Corecco rientrava a Lugano il 30 dicembre ed il giorno seguente, ultimo giorno dell’anno, pubblicava un messaggio sul Giornale del Popolo: dava tranquillizzanti notizie sulla sua salute, pur segnalando che avrebbe dovuto osservare un periodo di riposo e ringraziava per i numerosissimi auguri, messaggi, attestazioni di stima ed affetto che gli erano giunti: impossibile per lui rispondere a tutti: «sono profondamente dispiaciuto di non essere in grado di onorare questo dovere e desiderio, ma sono sicuro di poter affidarmi alla vostra comprensione. Domando comunque al Signore di ricompensarvi e benedirvi tutti, affinché l’anno nuovo ci permetta di fare un passo avanti nella comprensione di noi stessi e degli altri, di tutte le persone che ci stanno vicine e lontane. In questa sera desidero unirmi alla preghiera del Papa che ha pregato Gesù Bambino perché asciughi le lacrime di tutti i bambini e di tutti gli adulti del mondo»[129].

Pubblicava anche una vibrante esortazione per la «Preghiera perenne»[130], unendosi al messaggio del Papa per la pace: parlava della preghiera come «della sostanza del nostro vivere […]. Proprio dall’esperienza quotidiana che la pace, a livello locale e mondiale, è un’utopia senza l’aiuto di Dio, possiamo capire quanto sia vera l’esortazione data da Gesù agli Apostoli e ai discepoli ma anche a noi “Pregate sempre, senza mai stancarvi” (Lc 18,1)»[131].

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[117] Giornale del Popolo, 9 dicembre 1994, 1 e 7: E. Corecco , Il Signore ti accolga, Vescovo Giuseppe .

[118] Gli scriveva don Cortella: «Eccellenza illustrissima e reverendissima. Carissimo Vescovo. Ero triste, sì, ai funerali di S. E. Monsignor Vescovo Martinoli. Ma la mia più dolorosa tristezza era la S ua assenza, che diceva, a me e a tutti, la Sua sofferenza. Per quanto Lei soffre, soffro anch’io, per il Suo cuore che soffre e per il Suo corpo che soffre. Lei ci ha detto, con parole che ci hanno “educato”, come accetta, vive e offre la Sua malattia. Grazie, carissimo Vescovo! Mi sembrano queste quattro parole un “ componimentino ”, e me ne vergogno. Ma sono le sole che riesco a dire per esprimere la mia ammirazione, per dirle la mia riconoscenza e il mio affetto. Mi benedica. Grazie per avermi concesso di starLe , per un momento, accanto, mi ha fatto bene. Con la devozione che devo a Vostra Eccellenza e col bene che voglio al mio Vescovo», in ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1994-1.3.1995: 15 dicembre 1994.

[119] Monitore ecclesiastico (1994) 734.

[120] Giornale del Popolo, 17-18 dicembre 1994, 1: E. Corecco , Per essere capaci di ren dere ragione della speranza .

[121] ACorecco Lugano, Corrispondenza 1994-1-3.1995: lettera del 17 dicembre 1994.

[122] Ibid .: 22 dicembre 1994; Giovanni Paolo II gli telefonava il 24 dicembre ( Monot ti, Diario ).

[123] ACorecco Lugano, Agenda 1994.

[124] Ibid ., 16 dicembre.

[125] Ad esempio l’on. Buffi, cfr. ACorecco Lugano, Agenda 1994: 1° dicembre; oppure Giovanni Pedrazzini, cfr. ibid .: 15 dicembre.

[126] ACorecco Lugano, Agenda 1994.

[127] Giornale del Popolo, 27 dicembre 1994, 2: Vita, gioia, dolore in parti uguali ; cfr. anche Monitore ecclesiastico (1994) 708-710.

[128] Monotti , Diario: annota che talvolta si sentiva come sopraffatto, ma gli bastava recitare una decina del Rosario per riprendersi: «come fa il Signore a sopportarci tutti?». Il Rosario era la preghiera che Eugenio Corecco non abbandonava mai, lo recitava ogni giorno, accompagnato, mentre camminava lungo il corridoio e si commuoveva: «Che bello pregare per il Papa».

[129] Giornale del Popolo, 31 dicembre 1994, 15. Proprio questo messaggio fu per qualcuno l’occasione di un passo, cfr. Regazzi, Corecco viveva una piena comunione con Roma , 97.

[130] Una pia pratica da lui stesso ripristinata in diocesi, su invito di don Sandro Bonetti, che vede giorno dopo giorno susseguirsi a turno una comunità religiosa, un monastero, una parrocchia, i membri di un movimento o di un gruppo in un impegno particolare di preghiera per le intenzioni indicate dal vescovo per tutti i giorni dell’anno.

[131] Giornale del Popolo, S. Silvestro-Capodanno 1995, 22.

Malgrado il messaggio tranquillizzante, le condizioni di salute erano tutt’altro che buone e Corecco ben se ne rendeva conto, affrontando l’ultima battaglia: quella di poter aderire con amore alla volontà del Signore. Il 6 gennaio incontrava i giovani in partenza per la X Giornata mondiale della gioventù, che si teneva a Manila e, lo stesso giorno, faceva iniziare una novena al servo di Dio mons. Aurelio Bacciarini, suo predecessore[132]. Sperava sempre nel miracolo: «Ho dentro una così grande resistenza nei confronti della morte. Il Signore avrà pietà della mia voglia di vivere» (9 gennaio 1995)[133].

Il 18 gennaio andava in elicottero al CHUV di Losanna per un consulto[134] ed il giorno seguente riceveva di nuovo i giovani di ritorno da Manila[135]. La lotta per l’accettazione della volontà del Signore non veniva meno:

«devo pregare perché non è giusto aver dentro una resistenza così grande nei confronti della morte. Ho sempre chiesto di pregare perché io muoia bene, che è più importante della guarigione. È come il comandamento dell’amore: il I è il più importante»[136]. Il 26 gennaio incontrava i seminaristi, il rettore ed il vice-rettore del seminario diocesano[137]; quello stesso giorno le sue condizioni si aggravavano ulteriormente: si preoccupava anche per la dottoressa Monotti, che aveva preso il posto del dottor Beretta Piccoli[138]: «anche tu sei sola a portare una cosa così». «Tu ti senti solo?».

«No, solo è un termine sbagliato. È un’esperienza di fede malgrado la resistenza. In tutto c’è domanda di salute, di guarigione. Faccio tutto ma sono triste dentro»[139]. Il 27 gennaio partecipava ad una riunione di Amateca; la sera, accompagnato da mons. von Schoenborn, che gli aveva somministrato l’Estrema Unzione, a sorpresa andava in Cattedrale dove si celebrava la S. Messa per i giovani di associazioni, gruppi parrocchiali e movimenti ecclesiali e teneva una breve omelia[140]. Il 29 riceveva in Curia mons. Gilberto Agustoni, neo cardinale, all’inizio della sua visita di tre giorni in Ticino[141]. Nel frattempo la notizia del suo aggravamento si era diffusa. Da Roma il card. Gantin, prefetto della Congregazione per i Vescovi, gli aveva inviato un affettuoso telegramma e Corecco rispondeva il 25 gennaio: «Eminenza, la sua e la fraterna presenza degli ufficiali della Congregazione mi è di grande sostegno e consolazione. Mi sento accompagnato dai battiti del cuore della Chiesa universale e questa esperienza è molto gratificante. Il Signore vi accompagni»[142]. Pochi giorni dopo scriveva a mons. Javier Echevarría, consacrato vescovo da poco e succeduto alla guida dell’Opera (Opus Dei) a mons. Alvaro del Portillo: «Eccellenza, nella mia situazione di salute, non posso non chiederle di raccomandarmi al Signore per l’intercessione del vostro Beato J. Escrivá, non solo per ottenere eventualmente il dono della guarigione, ma soprattutto la capacità di sapermi abbandonare totalmente alla Sua volontà»[143]. Il 3 febbraio si incontrava con i membri della Fondazione Vincenzo Molo e l’8 febbraio con mons. Francesco Coccopalmerio, don William Volonté, segretario della Facoltà, ed il rettore di questa; l’8 era la volta del Comitato AC Giovani ed il 12 del direttivo della Consociatio. Ma ben sapeva che gli sarebbe mancato il tempo per consolidare le sue opere, soprattutto quelle più giovani e più care: la Facoltà e l’AC giovani. Ne faceva cenno al telefono a padre Mauro, il quale gli rispondeva con una lettera: «Mi sento di dirti riguardo a quello che mi dicevi ieri al telefono (un certo scoraggiamento di fronte a quello che dovresti ancora fare per la Diocesi), che intuisco che è come una tentazione. […] là dove non ti è più data la forza o il tempo vuol dire che il Signore ti chiama ad un’opera più profonda e duratura, infinitamente più feconda dell’apporto umano che puoi ancora dare. È vero che apparentemente può sembrare che tutto quello che hai lanciato si addormenti e minacci di crollare. Ma è uno sguardo ancora umano. In realtà hai seminato e molto. Il frutto verrà, magari totalmente diverso da quello che avresti immaginato. […] Ho l’impressione, anzi la certezza, che quello che il Signore ti chiede ora è una tappa ulteriore rispetto alla semina e che il Signore ti fa letteralmente portare l’apparenza di morte attraverso la quale tutte le tue iniziative ecclesiali daranno frutto, molto frutto. […] Spero sempre nel miracolo, ma anche se avverrà non cambia nulla rispetto a quello che ti è chiesto ora, e ho come l’impressione che le sollecitazioni ad agire, che probabilmente ti assillano da ogni parte, ti possano distrarre dalle doglie del parto della tua Chiesa, in cui già ti trovi. Ed è quella l’opera più preziosa, più conforme a Cristo per te in questo momento. […] Mi viene in mente la Nella[144]. Aveva lì i suoi tre bambini piccoli e sapeva di dover morire. Credo che ha voluto andare a Lourdes per affidarli alla Madonna, e poi è rimasta serena fino alla fine. E infatti sono cresciuti bene. Ho fatto spesso l’esperienza in questi mesi che lo spazio fra quello che sarebbe richiesto e l’impossibilità a realizzarlo adeguatamente è proprio quello che il Signore rende più fecondo, se l’impotenza si afferra a Lui: “senza di me non potete far nulla”»[145]. Questo scritto, aperto e ben visibile, rimase come esposto sul comodino di Eugenio Corecco, a significare il suo consenso[146]. Il 14 febbraio padre Mauro arrivava a Lugano[147]. Aderendo alla volontà di Corecco, il 15 febbraio la Curia diramava un comunicato stampa. «Nella giornata di martedì 14 febbraio lo stato di salute del nostro Vescovo mons. Eugenio Corecco si è ulteriormente aggravato, avviandosi verso quella che umanamente sembra essere la fine della sua vita terrena. Il nostro amato pastore invita tutta la Chiesa diocesana ad intensificare nei prossimi giorni la preghiera perché il Signore gli sia vicino in questo momento particolarmente difficile. La Madonna dei dolori ci aiuti a riconoscere anche in questa circostanza la volontà del suo Figlio»[148]. Ma dal 13 febbraio l’angoscia, il timore di scomparire nel nulla, avevano lasciato il posto all’abbandono: «non credevo che fosse così facile… è un mistero… è un mistero»[149]. Il 15 febbraio, in vista del solenne Dies Academicus previsto per il 25, giungeva un messaggio di Giovanni Paolo II: «Formulo voti che il nuovo Centro teologico, da Lei voluto e realizzato con lodevole impegno, svolga nel territorio ticinese un servizio prezioso di studio e di riflessione, allo scopo di offrire ai Pastori delle anime, agli Insegnanti delle discipline religiose ed a quanti sono interessati ai problemi della Fede, opportuni aiuti per l’approfondimento del messaggio evangelico […]. Per Lei personalmente, venerato e caro Fratello, in questo momento di sofferenza che La mette a così dura prova, ma che propone anche all’ammirazione dei fedeli la sua coraggiosa partecipazione ai patimenti di Cristo pro corpore eius quod est Ecclesia (Col 1,24), invoco ogni celeste conforto, auspice la Vergine Santissima, verso la quale La so legata da profonda e tenera devozione […]»[150]. Il 16 febbraio si faceva presente Chiara Lubich con un affettuoso messaggio ed il giorno precedente era stato il prof. Patrick de Laubier[151] a venire in visita. Il 16 febbraio fu pubblicato il decreto di conferma e approvazione dell’Associazione “Azione Cattolica Diocesana”, suddivisa nei settori: AC Ragazzi (11-16 anni), AC Giovani (17-30 anni), AC Adulti, con nomina dei responsabili: Franco Ponzoni, Vacallo, Carmen Pronini, Camorino, Dafne Balerna, Locarno, Luigi Maffezzoli, Melide, Paola Bazzurri, Fescoggia, Andrea Bionda, Preonzo, Jole Gianini, Bellinzona. Lo stesso giorno era venuto, per quella che sarebbe stata l’ultima visita, il suo confessore mons. Luigi Villa[152]. Il 18, in sostituzione del previsto incontro di formazione, gli animatori della pastorale giovanile si radunavano per una veglia di preghiera[153].

Il 20 febbraio anche don Giussani accorreva al capezzale del vescovo Eugenio, che in quel momento era assopito e parlava a stento. Padre Mauro assisteva al colloquio fatto soprattutto di sguardi, quasi con il compito di farsi interprete tra due persone, ambedue impedite dalla malattia a comunicare con facilità[154]. Nell’atteggiamento vigile di Corecco, don Giussani coglieva tutto il valore della sua offerta e ne era profondamente commosso:

«Ti prego, ti domando a nome di tutti, di tenerci presenti nella tua offerta.

Quello che tu vivi è perfetto, è perfetto, non manca nulla [...] ed è di una fecondità incredibile»[155].

Il 24 febbraio, vigilia del Dies Academicus, Corecco partecipava ancora una volta ad un consiglio della Facoltà[156]. Quello fu anche l’ultimo giorno in cui Corecco poté ricevere l’ostia consacrata. Normalmente mons. Torti celebrava la S. Messa nella sua stanza ed egli vi assisteva, in grande raccoglimento. Quel giorno non era stato possibile, verso sera la dr. Monotti chiedeva a suor Clara, superiora delle suore che servivano in Curia, di portargli almeno la S. Comunione. Dopo essersi comunicato, Corecco volle alzarsi dal letto e rimase a lungo in ginocchio. In seguito si poté soltanto fargli assumere il vino consacrato[157]. Il 25 febbraio, mons. Grab era passato per una visita e Corecco l’aveva salutato con un «ciao»[158]. Ma l’ultima sua parola fu l’«Amen» dopo la Comunione, il 26 febbraio. Il 27 febbraio era giunto anche mons. Scola. Vegliato a turno durante le notti, da Chiara Canonica (infermiera presso l’ospedale La Carità), dalla dr. Monotti, da don Willy Volonté ed anche da padre Mauro, di giorno era accudito da suor Gabriella Moratto, delle Suore di S. Vincenzo, da Mechthild Scholz, infermiera all’ospedale Civico di Lugano, ed ancora da Chiara Canonica. Il 28 febbraio padre Mauro doveva partire. Il 1° di marzo, Mercoledì delle Ceneri, verso le 15, Eugenio Corecco concludeva la sua esistenza terrena. Erano presenti la sorella Stefania, la dr. Monotti, suor Clara ed il segretario don Matteo Pontinelli[159].

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[132] ACorecco Lugano, Agenda 1995: 6 gennaio.

[133] Monotti , Diario.

[134] Ibid .: 18 gennaio, rientro in auto.

[135] Monitore ecclesiastico (1995) 44.

[136] Monotti , Diario.

[137] Monitore ecclesiastico (1995) 44.

[138] All’epoca la dottoressa Monotti , dei Memores Domini, aveva sostituito ad interim il dottor Beretta Piccoli anche nella carica di primario di medicina interna all’Ospedale Italiano .

[139] Monotti , Diario : sottolinea che faticava a parlare.

[140] Ibid .; cfr. C. von Schoenborn , “Eugenio sei con noi”, soprattutto adesso , in Siate forti nella fede , 249s.; e Monotti , Diario : fu un’impressionante testimonianza di comunicazione non verbale, perché la comunicazione era sempre più scarna ed essenziale. Lui stesso se ne preoccupava ed il 12 di febbraio si chiedeva se non fosse il caso di dimettersi visto che non poteva più parlare.

[141] Monitore ecclesiastico (1995) 45.

[142] ACorecco Lugano, Corrispondenza 19941.3.1995.

[143] ACorecco Lugano, Corrispondenza 1994-1.3.1995: lettera del 31 gennaio 1995 a mons. Echevarría .

[144] Un’amica comune morta di tumore.

[145] Lepori, Testimonianza , 28s.

[146] Ibid .

[147] A Corecco Lugano, Agenda 1995.

[148] Giornale del Popolo, 15 febbraio 1995, 1.

[149] Monotti , Diario : ricorda quel giorno, l’ultimo in cui Corecco lasciava il letto, riordinava la scrivania e scriveva il suo testamento. Erano presenti con lei mons. Angelo Scola, vescovo di Grosseto, ed il prof. Gian Piero Milano, amico di lunga data e stretto collaboratore nel campo del diritto canonico; la sorprendente scoperta della facilità dell’abbandono è del 14 febbraio. Per il significato del termine mistero, vale la pena ricordare una riflessione di don Giussani del 1997, che parla di Gesù «come del disvelarsi del Dio come Mistero, della Trinità come Mistero», cfr. L. Giussani, L’uomo e il suo destino. In cammino (1992-1998) , Milano 2014, 26s. In altri termini, la parola Mistero può qui indicare una Alterità che diventa familiare, tanto che è possibile abbandonarsi alle sue mani.

[150] ACorecco Lugano, Corrispondenza e Documentazione 1994-1.3.1995: 15 febbraio dell’anno 1995; il messaggio accompagnava un’offerta per il finanziamento della Facoltà.

[151] Ibid. : lettere del 15 febbraio 1995 e del 16 febbraio 1995.

[152] Monotti , Diario : anche con mons. Villa si parlò del desiderio di don Giussani di aprire un processo di beatificazione del dr. Beretta Piccoli; le visite di mons. Villa si erano intensificate con l’aggravarsi della malattia, cfr. ACorecco Lugano, Agende: era venuto il 27 ottobre 1994, con il dr. Alen Pandolfi; il 3 gennaio 1995 ed ancora il 21 gennaio.

[153] Monitore ecclesiastico (1995) 81s.

[154] Don Giussani risentiva già delle conseguenze del morbo di Parkinson.

[155] M. G. Lepori, Quello che vive è già perfetto! , in Bollettino Amici 7/XI (settembre 2007) 55.

[156] ACorecco Lugano, Agenda 1995; Monitore ecclesiastico (1995) 82: sarebbe stato S.

[157] mons. Gilberto Agustoni a presiedere la S. Messa.157 Monotti , Diario .

[158] Ibid.

[159] Ibid .

Eugenio Corecco si era dunque spento qualche minuto prima delle 15 del mercoledì 1° marzo, Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima, quasi l’ora della morte di Gesù in croce.

Nel darne notizia sul giornale del 2 marzo la Curia annunciava il trasferimento del feretro in Cattedrale per le 9 di quella mattina con la celebrazione di una S. Messa, l’apertura della chiesa fino alle 22 e una veglia di preghiera la sera del 3 marzo. I funerali erano previsti per sabato 4 marzo alle 10.

Quello che forse la Curia non aveva previsto era l’afflusso di popolo che si sarebbe visto in quei brevi giorni di veglia: il susseguirsi delle S. Messe, l’arrivo dei vescovi e dei prelati desiderosi di celebrare, di tenere l’omelia, di farsi presenti: ma soprattutto il popolo.

Lo stesso popolo che 9 anni prima, in una torrida giornata di giugno, aveva colmato la Cattedrale, attirato da un senso di attesa (e come non essere in attesa dopo una così lunga vacanza della sede episcopale) e da una grande curiosità. Ora questo stesso popolo affollava la stessa chiesa, sfilava in silenzio davanti alla bara e guardava il volto del suo pastore, leggendovi i segni della fatica e della sofferenza lasciati non solo dalla malattia.

Colpiva la presenza dei suoi giovani dell’AC, che, se non trovavano posto accanto al feretro, tendevano a radunarsi nel piccolo spazio di un altare laterale in fondo alla chiesa un po’ per conto loro; sembravano orfani e come inselvatichiti dal dolore.

A chi, tanti anni prima, aveva incontrato Corecco proprio come loro a 18 anni ed aveva avuto la possibilità di crescere, di diventare adulto con la sua compagnia, si poteva stringere il cuore: che ne sarà di loro?

Ma furono proprio loro a prendere l’iniziativa. Al termine delle esequie, quando la bara fu presa sulle spalle dai due segretari – quello di sempre e quello degli ultimi mesi (don Matteo Pontinelli, che aveva iniziato il suo servizio quando Corecco aveva dovuto privarsi della compagnia quotidiana e dell’assistenza rodata di don Patrizio Foletti, mandato d’urgenza a reggere il liceo diocesano) – nessuna indicazione era stata data alla folla presente per il corteo funebre. Il giornale aveva invitato la gente a portarsi in forma privata alla chiesa del Sacro Cuore dove la bara sarebbe stata tumulata nella cripta dei Vescovi, ma non così l’intendevano loro. Nel mormorio confuso della gente, che non sapeva cosa fare, improvvisamente una voce chiara intonava il Credo e il Padre Nostro e poi d’autorità i giovani si incollavano al carro funebre, costringendolo ad andare al passo e un’imponente processione attraversava in silenzio il centro della città, senza che nessuno avesse bloccato il traffico, predisposto un itinerario, invitato a mettersi in fila per quattro…

La chiesa del Sacro Cuore traboccava già di fedeli prima dell’arrivo del corteo: a stento i portatori potevano aprirsi la strada verso la cripta e di nuovo una voce giovane si faceva sentire intonando dei canti e l’inno alla Madonna Nera, che da anni accompagnava il cammino di AC Giovani ed ora accompagnava la discesa della bara verso il sepolcro, dove avrebbero riposato le spoglie mortali di Eugenio Corecco, ma soprattutto invocava la protezione della Vergine sul suo popolo e sulle sue opere.

«Il santo offre tutto ciò che ha: più di quello che ha a disposizione. Certo il “tutto” dal punto di vista umano è sempre solo “qualcosa” e il Signore è colui che risponde all’offerta con il suo “tutto”, prendendo tutto in suo possesso e arrotondando la dedizione. La santità non consiste nel fatto che l’uomo dà tutto, ma nel fatto che il Signore prende tutto. Tra offerta ed esaudimento vi è sempre come un contrasto, uno sbaglio, una svista […] e quando [il Signore] prende tutto nel suo senso, allora probabilmente l’uomo grida e rimpiange quello che gli è stato preso, ma la grazia della santità sta appunto nel fatto che il Signore permette la svista»160.

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[160] A. von Speyr , Mistica oggettiva , a cura di B. Albrecht, introduzione di H. U. von Balthasar, Milano 1989 , 249, nr. 250.