Un interessante biglietto del Vescovo Eugenio al professor Oscar Cullmann, il famoso teologo protestante recentemente scomparso, chiude questo numero del Bollettino. A ben vedere - sotto l’aspetto di una risposta di cortesia all’augurio di Cullmann per essere stato insignito del dottorato honoris causa dall’università Cattolica di Lublino - Corecco esprime, in poche righe, il miglior giudizio sintetico che si possa dare sul suo contributo al diritto canonico: “Pour ce qui me concerne, je n’aipas écrit beaucoup, maisj’ai réussi a donner une contribution assez claire sur la question de la nature ecclésiale du droit canonique etpar conséquent sur la méthode théologique selon laquelle il faut l’aborder”. Una riprova ci viene offerta da questo stesso numero del Bollettino che ci propone il testo della conferenza tenuta a Lugano nel marzo del 1983 sul nuovo Codice di diritto canonico al quale, come è noto, Monsignor Corecco ha dato un peculiare apporto come membro della Commissione che Giovanni Paolo II ha istituito per l’esame finale del testo. Oggi il contributo scientifico-dottrinale di Corecco alla canonistica è universalmente riconosciuto, non solo nell’ambito degli addetti ai lavori. E non solo alla canonistica! Lo mostra l’intervento, contenuto in questo numero del Bollettino, del celebre antropologo delle religioni, Julien Ries. In esso si studia l’apporto di Eugenio Corecco all’antropologia cristiana, con particolare riferimento al diritto canonico. Il fatto che uno studioso di tale fama si sia chinato espressamente su questo tema che, a prima vista, non rientra direttamente nella sua sfera di competenza, parla da sé.
Quello però che mi interessa sottolineare in questa sede - che, come ci siamo sovente ripetuti, non ha come scopo precipuo di trattare dell’eredità scientifica di Don Eugenio - è la semplicità priva di falsa modestia con cui, in una battuta, egli sintetizza il lavoro scientifico compiuto in trent’anni. Da dove gli derivava questo dono? Certamente dalla radicalità cui la malattia l’aveva condotto. Nell’estate del 1994 - è la data della sua lettera a Cullmann -il Vescovo Eugenio ci 3 appare così concentrato sull’essenziale da saper valutare, con sorprendente immediatezza, il peso del suo lavoro professionale come canonista. Egli si rivela ben consapevole della decisiva originalità del suo contributo scientifico a livello internazionale ma, ancor di più, mostra quanto tale contributo, che pur continua a meritargli una fama crescente -sono in aumento le tesi di dottorato sul lavoro scientifico di Corecco -resti solo un elemento, e neppure il principale, della sua persona. Non posso, in proposito, non fare un paragone con quanto sentii dire da Von Balthasar di fronte a Giovanni Paolo II nella Sala Clementina, in Vaticano, quando ricevette dalle mani del Papa il Premio Paolo VI: “Quello che ho scritto l’ho fatto in mancanza di meglio, ma la mia preoccupazione principale nella Chiesa è stata la Comunità di San Giovanni”. Balthasar e Corecco, alla fine della loro vita, rivelano il dono -tipico di personalità compiute - di saper mettere ogni cosa al proprio posto, nella vita e nella persona. Come non ricavare da qui un prezioso insegnamento?
Il Bollettino ci offre anche la testimonianza di Suor Monica Umiker. Non la si potè leggere per intero nell'Assemblea dello scorso anno, ma merita di essere gustata, attentamente, in tutta la sua ampiezza. Allo stesso modo Gerardo Nostran, custode della Curia vescovile durante l’episcopato di Monsignor Corecco, ci comunica l’intensa esperienza della sua amicizia in Cristo con Don Eugenio. Come sempre, della straordinaria dote di amicizia cristiana di cui Don Eugenio era capace, sentiamo vivida eco nel breve epistolario che il Bollettino ci fornisce.
Tuttavia, le due perle preziose di questo numero sono il discorso per la benedizione del museo del San Gottardo del 1° agosto 1986 e l’Omelia (1° agosto 1990) in occasione del tradizionale pellegrinaggio delle cinque valli che da sette secoli si svolge al Passo del San Gottardo. Si coglie, in entrambi i testi, la lungimiranza del Vescovo Eugenio di fronte all’urgenza della nuova evangelizzazione dell’Europa. Un cristianesimo esangue significherebbe la impossibilità per l’Europa di trovare il suo volto e di sostenere il suo compito storico verso il mondo. Per diventare una Casa comune, capace di valorizzare le differenze culturali e religiose trattenendole in una unità creativa, l’Europa deve ritrovare il volto del Padre di Gesù Cristo e Padre nostro. Solo la paternità di un Dio trascendente e personale può fondare adeguatamente il profilo del civis e della civitas europei. 4 Augurando buona lettura, invito tutti a prendere l’esempio da quanti - e sono elencati nella sezione del Bollettino “Vita dell'Associazione” - hanno inviato, in originale o in fotocopia, lettere e materiale per l’Archivio della nostra Associazione. Non è l’ultimo dei segni della sua ragion d’essere, perché questo materiale potrà aiutare la crescita di quell’amicizia cristiana che Don Eugenio ci ha insegnato
Angelo Scola, Vescovo emerito di Grosseto Rettore della Pontificia Università Lateranense Città del Vaticano, 15 marzo 1999