Nel novembre del 2023 a Roma - in clima di Sinodo - è stato organizzato un incontro alla presenza del cardinale Schönborn che ha proposto all’attenzione del pubblico un lavoro dello scomparso vescovo e canonista ticinese Eugenio Corecco riguardante la sinodalità. Il volume ha il titolo “Sinodalità e comunione”, edizioni EDB 2023 e contiene la prefazione di Libero Gerosa e l’invito alla lettura del card. Scola. Ne parliamo con il prof. Jacques Bagnou, già autore di un volume uscito in francese su “Carisma e movimenti in Corecco”.
La strada aperta dai saggi di Corecco sulla sinodalità nella Chiesa cattolica in che modo anticipa a livello scientifico l'insegnamento pastorale di papa Francesco proprio sulla necessità di riformare tutte le strutture giuridiche, curia romana compresa, secondo il principio della «fondamentale reciprocità» fra «sinodalità» e «camminare insieme»?
Corecco maturò la sua riflessione di teologo e canonista negli anni del Concilio Vaticano II (1962–1965). Si era addottorato a Monaco di Baviera nel 1962 sul tema dello sviluppo storico della sinodalità negli Stati Uniti, dove la Chiesa nel XIX secolo aveva dovuto riaffermare la propria identità e missione di fronte a una legislazione civile sfavorevole. Oltre al suo Doktorvater Klaus Mörsdorf, fu decisivo nella sua vita lui l’incontro con il sacerdote italiano don Luigi Giussani nel 1964. Questo incontro gli permise non solo di approfondire la ricchezza dell'insegnamento del Vaticano II sul concetto di comunione, ma di percepire la communio come un’esperienza, che Corecco situò al cuore della sua ricerca accademica, ma anche (e soprattutto) umana ed ecclesiale. Tutto nasce dalla communio: anche la sinodalità, pertanto, scaturisce e sgorga dalla communio. Corecco fu in questo senso il “pioniere” del dibattito sulla sinodalità nella Chiesa, perché ne discuteva circa 60 anni prima che divenisse il centro della riflessione e del dibattito attuale, quando il termine sinodalità non compariva nemmeno nei documenti del Vaticano II. Il suo motto potrebbe essere sintetizzato così: sine communione nulla synodalitas (senza communio non c’è sinodalità).
È urgente questa riforma?
Questa riforma è urgente perché il diritto o la burocrazia possono soffocare la vita della Chiesa se diventano un sistema che pretende di assoggettare tutto alla legge, o se impone una camicia di forza che non si adatta alle persone e alle comunità. Se la Chiesa è comunione, è urgente che la legge si adatti al criterio della sinodalità, perché la legge è sempre al servizio della vita e non a svantaggio di essa: è cioè al servizio della vita e non di un ordine astratto. Quando il diritto pretende di sostituire un'organizzazione solo umana a Dio, la Chiesa comincia a diventare egocentrica e sterile. L'autorità che non è orientata alla comunione diventa una lotta per il potere, sia attraverso il clericalismo che il “parlamentarismo”, come abbiamo un po’ visto con il Sinodale Weg tedesco. Nel suo ministero, Corecco ha mostrato una paternità che non è mai stata oppressiva, ma al contrario una paternità che incoraggia, sostiene, solleva e rilancia.
La comunione è il segno e la conseguenza della presenza della carità della Trinità divina nel cuore dei fedeli. La paternità nella Chiesa non può mai essere un potere e non può mai essere autoreferenziale, perché è un umile servizio all'azione di Dio che agisce direttamente nella Parola, nei Sacramenti, nei carismi e nella Chiesa.
Se la sinodalità è un'espressione concreta della comunione, in che modo può essere utile alla Chiesa di oggi la riflessione di Corecco sulla comunione?
Le riflessioni di Corecco possono essere molto utili per aiutare a riscoprire la presenza dello Spirito Santo nella Chiesa. Lo Spirito Santo struttura il popolo di Dio facendo vivere la comunione nella concretezza: ad esempio, in quel “giudizio di comunione” che è il sensusfidei, come pure nei carismi che danno vita a comunità di comunione missionaria, o in un’assemblea sinodale il cui scopo non è essere ossessionata dai risultati e dall’efficienza, ma anzitutto celebrare e vivere liberamente la comunione.
Corecco non solo insegnò la sinodalità, ma ne anticipò i tempi, invitando i Neocatecumenali nella diocesi di Lugano e redigendo gli statuti dei seminari Redemptoris Mater; introdusse CL in Svizzera e favorì la nascita dell'Opus Dei, di cui ammirava gli statuti. Era convinto che l'unità della Chiesa venisse dallo Spirito Santo, che dona carismi per aprire la Chiesa ed espanderla, rendendola più missionaria e aumentandone la comunione tra le Chiese particolari e la Chiesa universale.
Per Corecco era centrale l'idea di una partecipazione nella responsabilità, cioè tutti (preti, consacrati, laici,...) hanno una parte di responsabilità nella comunione ecclesiale. Perché lo riteneva così importante?
Per Corecco è essenziale la corresponsabilità di tutti i battezzati (Christifideles) nella missione universale della missione della Chiesa. L'appartenenza alla Chiesa non può essere qualcosa di passivo o statico, per questo egli sottolineava l’importanza dei carismi nel clero e tra i laici, al fine di sottolineare l’unità tra i due e permettere a ciascuno di “giocare tutta la sua parte” nella Chiesa e di “giocare tutta la propria vita” per Cristo.
Il cammino sinodale che stiamo vivendo cosa chiede al diritto di approfondire su questo punto? Ci sono realtà come l'autorità, la collegialità, la partecipazione dei laici, i nuovi ministeri laicali che chiederanno nuove riflessioni alla Chiesa?
Il fatto che il diritto canonico ignori la nozione di carisma può ingenerare una sorta di clericalismo, secondo Corecco. Il carisma rappresenta un limite oggettivo al potere dei vescovi. La sinodalità non è una presa di potere parlamentaristica, democratica o una sostituzione dell'autorità dei vescovi con quella dei laici, ma consente di vivere una comunione missionaria: questo è ciò che un carisma vissuto intende realizzare.