Ricorrono 30 anni da quando Mons. Eugenio Corecco tenne la Prolusione in occasione del conferimento della laurea «honoris causa» da parte della prestigiosa Università Cattolica di Lublino, che – osservò Corecco all’inizio del suo intervento – «nel novero dei suoi professori più illustri ed ascoltati vanta Karol Wojtyla, che, tentando una sintesi tra l’ontologia di Tommaso d’Aquino e la fenomenologia di Max Scheler, ha inserito questa Università Cattolica nel dibattito culturale europeo». Era, con precisione, il 23 maggio 1994 e, per il Canton Ticino, fu presente l’onorevole Renzo Respini, allora Presidente del Consiglio di Stato.
L’avvenimento merita di essere ricordato non solo per l’importante riconoscimento internazionale sia accademico che ecclesiale, ma anche per quanto il grande canonista svizzero volle esporre in tale occasione. Da ormai qualche anno Corecco lottava con la malattia ed era ben consapevole che le sue forze stavano irrimediabilmente scemando. Quella prolusione fu di fatto l’ultimo impegno canonistico che riuscì a portare a termine. Proprio la situazione di sofferenza mostra la sua grande passione accademica per il Diritto canonico, passione che evidentemente era frutto del suo grande amore per la Chiesa e del suo desiderio di servirla. Era infatti una delle principali caratteristiche della sua visione canonistica quella di considerare il Diritto canonico pienamente al servizio della comunione e della missione ecclesiale.
In risposta all’onore ricevuto con il conferimento di quel dottorato «honoris causa», egli avrebbe senz’altro potuto limitarsi ai ringraziamenti, riprendendo magari qualche suo testo già pubblicato. Ma non era questo il suo stile, come dimostra egregiamente questo suo intervento inedito, nel quale offre una mirabile sintesi e approfondimento su uno degli aspetti chiave della scienza canonistica: «Il valore della norma canonica in rapporto alla salvezza», come recita il titolo che diede al suo testo, che – non a caso – apre la raccolta dei suoi principali scritti: «Ius et communio. Scritti di Diritto Canonico», editato da G. Borgonovo e A. Cattaneo, Ed. Piemme, Casale Monferrato 1997, Vol. I, pp. 57-64.
Corecco centra la sua riflessione sul principio della «incarnazione». Una prospettiva che, inserendosi nel piano di salvezza del Dio incarnato– nota Corecco – «contrasta la tentazione di procurarsi la salvezza con la propria forza». Di conseguenza, egli può affermare con forza – ed è questo il nucleo del suo discorso – che «il Diritto canonico non è una sovrastruttura sociologica della Chiesa. Non è un fatto puramente additivo, senza nessuna consistenza soteriologica propria, bensì un fenomeno sociale con una autonomia epistemologica e logica propria. In esso si manifesta e può essere conosciuta la Chiesa, nella forza vincolante della sua realtà totale». L’autore esemplifica la sua riflessione anche facendo notare la profonda differenza che esiste fra la legge statuale e quella ecclesiale. L’essenza della prima sta nel suo carattere imperativo, derivante dalla volontà estrinseca del legislatore, sia assoluto che democratico. L’essenza della seconda sta invece in una partecipazione intrinseca di Dio nel cuore dell’uomo.
Con l’Incarnazione, Cristo ha conferito ai mezzi salvifici (Parola e Sacramenti) un valore speciale per l’esistenza umana, poiché attraverso di essi Dio si manifesta e comunica la Grazia, interpellando l’uomo nel più intimo della sua persona ed esigendo una risposta. Questa intimazione formale inerente alla Parola e al Sacramento può essere vista come fondamento della giuridicità dell’ordinamento della Chiesa, come Corecco, riprendendo l’intuizione del suo maestro Klaus Mörsdorf, ha ampiamente sviluppato. Perciò il diritto della Chiesa, a differenza di quello secolare, esige un’obbedienza a livello etico in modo particolare in vista del destino ultimo e soprannaturale dell’uomo.
don Arturo Cattaneo